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L’ideologia buonista e progressista sta imponendo la dittatura delle minoranze

L’ideologia buonista e progressista, quella politically correct, cambia il significato delle parole come primo atto di un obiettivo di amplissimo raggio: la codificazione legale della dittatura delle minoranze aggressive a danno della maggioranza, moralmente ricattata e, perciò, rassegnata alla sudditanza.

Gli invasori sono "migranti", anzi, sicuramente profughi, oppure, meglio ancora "disperati", aggettivo sostantivato che toglie il vizio di dubitare anche a chi abbia un cuore duro come la pietra (perché la parola "migrante" non impietosisce abbastanza e perché, in quanto semplici migranti, potrebbero anche non avere il diritto di rimanere a casa nostra, mentre questo diritto bisogna riconoscerlo in anticipo, a tutti, nessuno escluso, nemmeno i terroristi dell’Isis); gli invertiti sono "gay", cioè omosessuali felici; gli handicappati sono "diversamente abili". Il genocidio nazista a danno degli Ebrei non è uno dei genocidi della storia, ma è l’Olocausto, anzi, la Shoah, e la cifra ufficiale di 6 milioni di vittime va difesa a colpi di codice penale: per chi la mette in discussione, tre anni di galera. Gli islamici, poi, se appena non inneggiano alla strage contro i cristiani in qualunque luogo e in qualsiasi momento, automaticamente vengono promossi al rango di "moderati". E i ragazzi violenti e caratteriali, o semplicemente delinquenti, che rendono la vita impossibile ai loro compagni, alle maestre, ai professori, ai vicini, ai controllori degli autobus (che prendono a calci e pugni se osano chiedere il biglietto), sono semplicemente dei ragazzi "sfortunati", che le circostanze della vita hanno reso un po’ "vivaci", un po’ "irrequieti". E così via.

La televisione di stato, pagata con i nostri soldi, è la principale agenzia di manipolazione e di stravolgimento del linguaggio. È lì che siamo costretti a vedere, nei minuti che precedono lo sceneggiato dell’ora di cena, le immagini delle Paralimpiadi: perché provare disagio davanti alo spettacolo di quei corridori senza gambe sarebbe una intollerabile forma di egoismo e mancanza di solidarietà, figuriamoci poi dirsi cristiani. Impossibile dire che il voler bene a tutti, e specialmente a chi ha dei problemi, non implica che si debba aver voglia di assistere alle sue esibizioni sportive o di qualsiasi altro genere, ora che anche gli sceneggiati per famiglie sono incentrati sulla figura del nano o della nana, ovviamente simpaticissimi, intelligentissimi, e con un cuore grande così. Vietato pensare che la par condicio non dovrebbe spingersi fino a questo punto. Tra poco, sarà considerata una forma di razzismo trovar da dire su uno speaker del telegiornale che sia balbuziente, o su di una showgirl con una gamba artificiale. Si verrà accusati di voler vedere sempre e solo gente bella, giovane e sana, insomma i soliti manichini di plastica. Strano: la stessa televisione che ci ha abituati ai manichini, che non sceglie più i suoi "eroi" sul criterio della professionalità, ma solo dell’avvenenza fisica (per giunta, secondo gli standard più banali del mondo della celluloide), ora ci rimprovera perché troviamo da ridire sui nani. Quando si dice la coerenza.

Come si fa spiegare alle minoranze che la comprensione e la solidarietà non implicano un debito morale nei loro confronti? Chi ha la salute, non dovrebbe sentirsi in colpa di fronte a un malato di cancro; e chi ha entrambe le braccia, non dovrebbe sentirsi responsabile del fatto che un altro ne abbia persa una, né in dovere di offrire un risarcimento morale. La bontà è una virtù solo a patto di essere perfettamente libera e volontaria. Io posso scegliere di essere buono, ma non ho il diritto d’imporre la bontà per legge ai miei concittadini. Se lo faccio, instauro la dittatura del buonismo: cioè proprio quello che sta accadendo ai nostri giorni. Ci si vuol convincere che abbiamo il dovere di accogliere tutti, di ospitarli, di sfamarli, di trovar loro una casa, un lavoro, o, almeno, di mantenerli a nostre spese e di offrir loro dei servizi adeguati, secondo i nostri standard; e che, se non lo facciamo, o se abbiamo dei dubbi o delle perplessità, non siamo dei bravi cittadini, né dei buoni cristiani; anzi, che non siamo nemmeno delle brave persone. Che siamo dei vermi, dei mostri di egoismo e insensibilità. Che ci starebbe bene di trovarci al posto loro, perché forse in tal caso capiremmo. E che i nostri nonni, anche loro, a suo tempo, eccetera, eccetera (menzogna: i nostri nonni emigravano, in maniera perfettamente regolare; non invadevano le terre altrui, né pretendevano di essere accolti mostrando i bambini annegati e le donne incinte che rischiano di morire anch’esse). L’importante è essere buoni e generosi con gli altri, coi diversi, coi lontani. I vicini, crepino pure. Lo stato italiano non ha fatto i salti mortali per i 10 milioni di suoi concittadini poveri, rovinati dalla crisi del 2008, come li sta facendo adesso per gli invasori che vengono dall’Africa. E i terremotati di Ariccia finiranno sotto le tende, non negli alberghi, come i giovanotti clandestini che sbarcano sulle nostre coste mostrando l’indice e il medio nel segno di vittoria, come fossero appunto dei vincitori (ma di chi, o di che cosa? e chi sono i vinti, allora?).

Ora un noto spettacolo di Maria De Filippi porterà sul piccolo schermo non solo il corteggiamento (idiota) delle coppie eterosessuali, ma anche quello delle coppie omosessuali; avremo — vantaggi della civiltà: perché ci dicono sempre che l’Italia, finalmente, sta cominciando a diventare un Paese civile — dei tronisti gay e delle troniste lesbiche: potremo deliziarci ai loro baci, ai loro abbracci, ai loro sospiri di passione. Evviva. Era tanto che sognavamo un’Italia così: finalmente matura e civile. Senza più la palla al piede della vecchia cultura oscurantista; senza più quel fantasma del passato che si chiamava cattolicesimo. Del resto, a demolire quest’ultimo ci stanno pensando già i preti, non c’è nemmeno bisogno della televisione cialtrona e pornografica: ci pensano quelli come monsignor Nunzio Galantino — che non è un signor nessuno, ma il segretario della Conferenza Episcopale Italiana — il quale, di recente, ha spiegato che Dio, per intercessione di Abramo, risparmiò i Sodomiti. Strano. Abbiamo letto la Bibbia, ma non ci sembra che la storia sia andata così; ci sembra che Dio distrusse Sodoma e Gomorra, incenerendole, e proprio per quel peccato che il monsignore, a quanto pare, non considera nemmeno tale, o, al massimo, un peccato veniale, visto che Dio lo ha perdonato. Eppure, è vero che Abramo aveva interceduto: e Dio gli aveva promesso che non avrebbe distrutto Sodoma, se vi avesse trovato anche solo dieci "giusti", cioè dieci abitanti che non fossero omosessuali impenitenti. Ma, evidentemente, non li trovò, e dunque la distrusse. Così dice la Bibbia; ma forse monsignor Galantino ne sa qualcosa in più; forse ha un filo diretto con l’Onnipotente — nella versione liberal del terzo millennio, ben s’intende, e non in quella arcigna della Bibbia: un testo da rivedere, o, se possibile, da rottamare.

Altra possibile soluzione: un bel referendum: vogliamo proporlo al monsignore buonista e progressista. Un referendum per espungere dalla Bibbia tutto quel che non piace al pubblico di oggi, che non è più formato da rozzi pescatori o, peggio, da pastori analfabeti, come quelli che si recarono ad adorare Gesù Bambino nella mangiatoia, o che lo seguirono nella sua vicenda terrena. Che ne dice, monsignore: le piace l’idea? Facciamo un bellissimo referendum abrogativo, per eliminare dalla Bibbia tutto quel che dà ombra ai nostri istinti di lussuria, superbia, avarizia; togliamo dei libri interi, se necessario: quelli più fastidiosi. Prendiamo esempio dai protestanti, da quel gran personaggio di Lutero, che ha dichiarato apocrifi tutti i libri della Bibbia che non erano di suo gusto, cioè che non si conciliavano con le sue idee sulla salvezza per mezzo della sola fede e sul sacerdozio universale dei credenti. Così anche la Chiesa cattolica diventerà, finalmente, una Chiesa civile: a immagine e somiglianza di quella luterana. E dove non si farà più del terrorismo psicologico ai danni dei divorziati rispostati; dove — come è stato osservato da qualcuno — non ci saranno più energumeni inclementi, come san Giovanni Battista, che rimproverano a Erode di vivere more uxorio con Salomè, moglie di suo fratello, e hanno l’indelicatezza di dir sul muso ai peccatori che non è loro lecito fare quel che vogliono. La Neochiesa modernista e progressista è una chiesa dove non si dice "no" a nessuno, non si giudica più nulla (e chi siamo noi per giudicare?), non si respinge nemmeno il peccatore impenitente; semmai, lo si "accompagna". Accompagnare, ecco il grande verbo "scoperto" dai preti buonisti e dai teologi del perdono incondizionato. Vili e ipocriti come sono, non hanno il coraggio di dire apertamente che il peccato, per loro, non esiste più; perché tanto, secondo loro, basta regolarsi "secondo coscienza", e tutto è a posto. Qualcuno ricorderà una certa intervista a Eugenio Scalfari, il gran papa del laicismo massonico, nella quale si esprimeva, da parte di un altissimo personaggio, un concetto del genere: che è sufficiente regolarsi secondo la propria coscienza per essere a posto con Dio. Uno sproposito teologico inconcepibile; una vera e propria eresia, e delle più devastanti, per le sue evidenti implicazioni e le prevedibili conseguenze. Proprio ciò di cui si sentiva il bisogno, in questa fase storica di massima confusione e di massimo sbandamento morale. L’atto di nascita della Neochiesa relativista e indifferentista: adorate chi volete, pregate come vi pare, fate ciò che si sembra giusto, e sarete comunque dei credenti degni di stima e di rispetto. Complimenti a questa nuovissima teologia della dissoluzione.

Riassumendo. La stragrande maggioranza della popolazione, è un fatto incontrovertibile, è formata da persone che sono nate in Europa, da genitori europei; che ama gli individui dell’altro sesso, e non del proprio; che ama fare il tifo per gli atleti delle Olimpiadi e non più di tanto per quelli della Paralimpiadi; che rispetta i nani, ma preferirebbe non vederseli al centro degli sceneggiati televisivi; che non capisce perché un cittadino che si prende in casa cinque o sei "profughi" africani meriti uno speciale e pubblico encomio dal presidente della repubblica, mentre non si sente mai di un cittadino che si offra di ospitare cinque o sei concittadini ridotti in miseria dall’avidità delle banche e abbandonati a se stessi dallo stato; e che non capisce perché agli stranieri, ospitati nei centri di accoglienza, sia concesso di andare a spasso liberamente, di delinquere, di spacciare droga, di esercitare la prostituzione, di rapinare abitazioni e di scippare persone indifese, come tutti i giorni accade (e se i nostro governanti non lo sanno, o se dicono che queste sono esagerazioni, vuol dire che vivono su Marte: il che, tutto sommato, è esatto), né comprendono perché, se un ragazzino italiano ruba la bicicletta di un compagno, viene sgridato e punito, ma se lo fa un ragazzino proveniente dal Marocco, allora il preside della scuola in questione gli regala, con i soldi del fondo scolastico, una bella bicicletta nuova, per premiarlo della sua splendida azione, cioè, no, volevamo dire: perché — poverino — ne aveva tanto, tanto desiderio…

Questo, però, cioè il fatto di essere maggioranza, non è una cosa giusta: è una mancanza di umanità e di solidarietà nei confronti delle minoranze. Il pensiero ideologico ragiona così: non contano i fatti, contano solo le idee; e se i fatti non confermano le idee, o le smentiscono addirittura, tanto peggio per i fatti, li si butta nel cestino e non ci si pensa più. Né gli stupri, né le molestie e le offese sessiste, con tanto di sputi in faccia e di palpeggiamenti osceni, ampiamente documentati da immagini fotografiche (e perciò, se Dio vuole, incontrovertibili) da parte di centinaia di islamici immigrati in Germania ai danni di ignare donne tedesche, hanno strappato alle femministe europee politically correct, signora Boldrini in testa, la centesima parte di quella indignazione, di quel sacro furore che abbiamo visto e che vediamo così spesso nei loro occhi e nelle loro parole, quando si tratta di bollare e di stigmatizzare i comportamenti "omofobi" o "razzisti" di qualche cittadino esasperato che, non potendone più di tanta ingiustizia, reagisce (sbagliando) e cerca di far da sé quel che uno Stato serio, e che abbia a cuore i propri cittadini, dovrebbe fare lui. La conclusione è sempre la stessa: se non si appartiene a una delle minoranze "sacre" e intoccabili — quelle, per intenderci, che pretendono di zittire le critiche a suon di querele da decine di migliaia di euro — è meglio rassegnarsi e mettersi il cuore in pace: non si hanno i loro stessi diritti, si è cittadini di seconda classe. Loro possono, noi no. Perché, poverini, loro sono vittime della discriminazione.

Andrà a finire che fare la vittima diverrà un’ambita professione, tale da consentire una vita interamente a carico degli altri; e che l’attività principale degli studi legali e degli stessi pubblici ministeri sarà quella di trascinare in tribunale tutti quei cittadini che, in un modo o nell’altro, tentano di sottrarsi al ricatto e si rifiutano di sottostare alla dittatura delle minoranze aggressive. Il segreto del potere, infatti, è tutto qui: fare in modo che a pagare i costi sociali siano proprio coloro che subiscono il peso della dittatura, cioè le vittime. Le vittime vere, però, ossia quelle effettive, e non le vittime di professione. Come dite? Come si farà a distinguere le vittime vere da quelle professionali? Oh, è semplicissimo: ce l’hanno insegnato i nostri nonni e genitori, in tutto il corso della loro vita, spesso povera, ma dignitosa. La vittima vera è quella che non ama fare la vittima…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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