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Io sono la vite, voi i tralci, significa che il cristiano è già in Cristo, e Cristo in lui

«Io sono la vera vite, voi siete i tralci, e il Padre mio è il vignaiolo»: con questa similitudine, splendente di bellezza e sorprendente per evidenza plastica e chiarezza concettuale, Gesù espone uno dei grandi misteri del Vangelo: che il cristiano, allorché si mette a disposizione di Cristo, diviene tutt’uno con Lui, ed Egli, a sua volta, diventa una cosa sola con il cristiano: come la vite e i tralci, appunto, che sono una cosa sola, viva e portatrice di frutti.

Le parole adoperate da Gesù nel corso dell’Ultima cena, e riferite nel Vangelo di Giovanni (15, 1-13), sono di una potenza e di un lirismo ineguagliabili:

Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.  Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.  Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 

Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

Si dice che una volta, a Santa Caterina da Siena che tentava di esprimere al suo direttore spirituale, Raimondo da Capua, la bellezza e l’intensità della sua unione mistica con Cristo, questi rispose con una espressione d’incredulità e scetticismo; espressione che improvvisamente si trasformò in stupore, tremore, sconfinata ammirazione, allorché, alzando di nuovo lo sguardo sulla donna, non vide il suo viso mortale, il suo viso abituale, ma vide il volto stesso di Cristo.

Che cosa significa questo? Significa che il cristiano è una cosa sola con Cristo, beninteso non sempre, ma quando abbandona il suo piccolo io, meschino e perennemente bramoso e insoddisfatto, per lasciarsi andare nel gran mare dell’amore divino, adorandolo e contemplandolo nella sua eterna presenza: che si concretizza, sì, in modo pieno e perfetto, nel mistero dell’Eucarestia, ma anche, quotidianamente e incessantemente, nel rapporto di fedeltà, amore e devozione che lega i tralci alla vite, cioè i cristiani a Cristo, secondo le Sue stesse parole.

Tutti sanno che il Gesù storico, l’uomo Gesù, non è tutto il Cristo; che il Cristo, per usare le parole dell’evangelista, esisteva ancor prima che il mondo fosse creato; che egli è l’Alfa e l’Omega della creazione, e che tutte le cose sono stare create per mezzo di Lui; però, sovente, i cristiani tendono a dimenticare, o a sottovalutare, la logica e inevitabile conseguenza di tale assunto: che là dove sono essi, c’è anche Lui; che là dove essi si amano, c’è la Sua luminosa presenza; che se essi rimangono uniti nel Suo amore, diventano una cosa sola con Lui.

Questo concetto è stato esposto in maniera limpida e chiara dal padre gesuita Rodolphe Plus (nato  a Boulogne-sur-Mer nel 1882 e morto nel 1958, a 72 anni di età, dopo una feconda vita di sacerdozio e di scrittura edificante) in uno dei libri più tipici della sua spiritualità, In Cristo Gesù (Roma, Marietti, 1949, pp. VII-IX  e X-XI):

"In Christo Jesu. In Cristo Gesù". Non c’è nel Nuovo Testamento formula più spesso ripetuta: centosessantaquattro volte in San Paolo, ventiquattro volte in San Giovanni. Non vi è in tutto il dogma cristiano formula più piena. E non vi è neppure formula più incompresa, almeno nei suoi aspetti profondi. […]

Un giorno Saulo di Tarso andava a Damasco per perseguitare i cristiani; ma una luce l’atterra sulla via, e dall’alto una voce gli grida: "Io sono Gesù che tu perseguiti".

Chi è questo Gesù? Paolo perseguita i cristiani, è vero, ma che cosa può fare a Cristo, crocifisso già da molti mesi e risalito al Cielo?

Eppure, la voce che non inganna ha detto: "Io sono Gesù che tu perseguiti".

"Cristo" e "i cristiani" sarebbero forse la medesima cosa? 

– Appunto! I cristiani perseguitati da Saulo sono Gesù.

E noi vorremmo parlare di questo Gesù, del Gesù che siamo noi. Troppo pochi sanno che egli esiste.

Si dice: "christianus, alter Christus", "il cristiano è un altro Cristo" e nulla è più vero. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno. "Altro" qui non significa "diverso". Noi non siamo un Cristo diverso dal Cristo vero. Siamo, per destinazione, il Cristo, il solo che esista, il Cristo unico: "Christo facti sumus", come dice San’Agostino. Non dobbiamo divenire una cosa diversa da Lui; dobbiamo divenir Lui. […]

Dottrina audace, senza dubbio. Ma l’audacia non è nostra, bensì del testo ispirato, della Chiesa che ce la dà e ce l’interpreta, di qualcuno insomma molto bene indicato per saperlo, e cioè del Maestro stesso, Gesù Cristo. […]

Il cristiano forma una sola cosa con Gesù. Gesù non è tutto Lui, senza di noi; non è tutto Lui se non siamo una sola cosa con Lui. Incorporati  a Lui, formiamo parte integrante della sua unità totale.

Corollario immediato: non formando se non una sola cosa con Gesù, non formiamo, noi, gli uniti a Gesù, se non una sola cosa tra di noi. […]

Nella "casa del Padre" ci sono molte mansioni. Gli uni scelgono come virtù principale da praticare la povertà, l’umiltà, la carità, e questo con innumerevoli sfumature. Gli altri invece, preferiscono adottare, come incitamento alla loro ascesi, una verità dottrinale. il dogma Eucaristico, per esempio, o il Sacro Cuore, oppure l’imitazione di Cristo o della Vergine in questo o quel mistero. Qui si darà la precedenza le considerazioni di ordine pratico; là alle considerazioni speculative. Non si trovano due Istituti religiosi che non differiscano almeno nei particolari, e neppure due anime che vadano per vie assolutamente identiche.

Ma sopra alle realissime diversità dei particolari, che dimostrano l’incomparabile ricchezza della Chiesa di Dio, non bisogna dimenticare il comune punto d’origine, qui più apparente, là meno visibile, ma sempre e da per tutto necessariamente esistente: ossia quel complesso di verità dogmatiche, dalle quali sgorgano tutte le spiritualità particolari. Qualunque sia la sfumatura o la profondità o l’estensione delle diverse vene d’acqua, a cui vanno attingere le differenti scuole spirituali, la sorgente ultima che alimenta tutte queste vene è una: "la sorgente che zampilla sino alla Vita eterna".

Santa Teresa, come Santa Geltrude e Margherita-Maria, sono compagne della Samaritana; tutti i maestri della vita spirituale, nel corso dei secoli, si sono seduti accanto al pozzo simbolico, donde sgorga l’Acqua Viva.

Non c’è al mondo se non un solo pozzo di Giacobbe.

Naturalmente, l’unione con Cristo si realizza solo quando i cristiani — lo abbiamo già detto — abbandonano la loro parte egoisticamente umana (fin troppo umana, direbbe il vecchio Nietzsche) e si abbandonano pienamente a Lui; il che non avviene per un atto della loro volontà — che è, appunto, una volontà umana, per quanto bene orientata — ma mediante il dono soprannaturale della Grazia. Per il cristiano, dunque, essere un tralcio di vite fedele alla sua vocazione equivale ad aprirsi al mistero della Grazia, a riceverlo degnamente, a rimanere fedele ad essa. Incorporarsi in Cristo, allora (per usare l’espressione di padre Plus), equivale a incardinarsi nella Grazia: ciò che richiede un superamento dell’uomo vecchio, della sua prospettiva tutta umana, fatta di brame e di timori, di passioni disordinate e di superbia intellettuale, per divenire un uomo nuovo, fatto a immagine di Cristo e unito a Lui da un vincolo profondo, che nessuna forza umana potrebbe spezzare o anche solamente incrinare.

San Paolo ribadisce continuamente questo aspetto, questo mistero luminoso: l’incorporazione dell’uomo nuovo in Cristo. Nella Prima epistola ai Corinzi (6, 12-20), afferma:

«Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Ma io non mi lascerò dominare da nulla. «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!». Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo.  Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito.  Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

Dunque, i cristiani diventano il corpo di Cristo, e le loro membra diventano le Sue membra: essi sono diventati una cosa sola con Lui. Il cristiano, la cui vita è illuminata dalla Grazia, non è più l’uomo vecchio che era prima: è divenuto un uomo nuovo, un alter Christus, un altro Cristo, unito a Lui con lo stesso vincolo tenace con cui il tralcio resta unito alla vite. Il vignaiolo, poi, che è Dio Padre, pota la vite e recide i tralci secchi, poi li getta via, nel fuoco, a bruciare: perché il tralcio, da solo, non serve a nulla, non produce frutto, è assolutamente inutile. Ma per dare molto frutto, i tralci devono restare attaccati alla vite, cioè a Cristo: questo è il segreto che rende loro possibile anche l’impossibile, che moltiplica le forze a colui che è sfinito, che rinnova la speranza in colui che è scoraggiato. E tutto questo non lo fa l’uomo da se stesso, egli non si dà la speranza, il coraggio, la forza da sé: li riceve dal vignaiolo, cioè dal Padre; perché quando l’uomo si decide per Cristo e Gli si affida, allora Cristo è in lui ed essi diventano una cosa sola.

Ciò avviene quando il cristiano è fedele a Cristo e quando è in grazia di Dio; perché, se si allontana da Lui, non serve più a nulla, è come il tralcio secco: una cosa inutile, che si vanta senza ragione e che presume di essere quel che non è. Non è una cosa sola con Cristo, colui il quale si abbandona all’avidità, alla cattiveria, all’invidia, all’assassinio, all’inganno, al tradimento; che è maligno, traditore, calunniatore, nemico di Dio, violento, superbo, presuntuoso, inventore di mali, ribelle ai genitori; colui che è disonesto, che non mantiene le promesse, che non conosce la pietà ed è incapace di amare (cfr. Romani, 1, 30-31). Non è una sola cosa con Cristo colui che si abbandona alle passioni vergognose, che commette azioni turpi, che inverte l’ordine della natura e si sprofonda nella concupiscenza, uomo con uomo e donna con donna (idem, 1, 26-27). E non è unito a Cristo neppure colui che, dicendosi cristiano, predica e mette in pratica ciò che è l’esatto contrario del Vangelo: che è favorevole al divorzio, all’aborto e all’eutanasia; che nega l’indissolubilità dei sacramenti, nega il peccato originale, nega il peccato individuale; colui che nega l’anima immortale, o che la mette in dubbio; che nega o mette in dubbio il Giudizio finale, la vita eterna, l’Inferno e il Paradiso; che nega o mette in dubbio la divinità di Cristo, la sua morte e Resurrezione, la Verità da Lui insegnata, o che la relativizza, equiparandola a tante altre "verità" contingenti; che vorrebbe fare di Cristo uno dei tanti e agitatori politico-sociali, e mettere l’Uomo in trono, al posto di Dio…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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