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La distruzione della coscienza è il diabolico capolavoro della democrazia totalitaria

La civiltà moderna si caratterizza per un tenace, ostinato, inflessibile sforzo di distruzione della coscienza: volendo instaurare, al suo posto, il regno dell’uomo, ma inteso in senso puramente istintuale ed edonistico, cosa che si traduce, in effetti, nel suo esatto contrario, ossia nell’asservimento dell’uomo: un asservimento quale non si era mai visto, neppure nelle epoche antiche, le più lontane dallo spirito della democrazia e dei diritti umani.

Le basi della modernità sono state poste dall’umanesimo e dal rinascimento, permeati di edonismo e fondati sull’antropocentrismo; vengono poi sviluppate, nel XVII secolo, da un lato mediante la rivoluzione scientifica, che assolutizza il Logos strumentale e calcolante, brutalmente utilitaristico (non il Logos come totalità armoniosa di pensato e di pensabile), dall’altro lato mediante la filosofa del libertinismo, che proclama audacemente il diritto dell’uomo di farsi norma a se stesso, il rifiuto di Dio (e, naturalmente, la negazione del Diavolo), la rivendicazione del principio di piacere e della libertà assoluta nei confronti di tutti e di ciascuno, a cominciare dalla tradizione e dalla Rivelazione, per giungere fino alla legge morale naturale, dichiarata illusoria e fuorviante. Nello stesso tempo, viene sferrato il grande attacco contro la metafisica e contro la teologia, che culmina nel secolo successivo, con l’illuminismo, e il cui fine ultimo è scalzare qualunque idea di verità assoluta, di trascendenza, di sacralità, per instaurare, al loro posto, l’orgogliosa fiducia dell’uomo in se stesso, nella sua capacità di plasmare un mondo ordinato e felice, manipolando illimitatamente le cose e gli enti della natura, com’era stato teorizzato da Francis Bacon.

Intanto Parigi e Londra, le due grandi città che si apprestano a fare da cassa di risonanza alla rivoluzione industriale e alle rivoluzioni liberali e democratiche, conquistano per sé il palcoscenico non solo della politica, ma della cultura, dell’informazione, della moda, rafforzando il mito auto-celebrativo del Progresso illimitato (che è una contraddizione in termini) e creando una cosa che prima non era mai esistita, tranne che nelle repubbliche antiche, ma con caratteristiche diverse: l’opinione pubblica, nuovo Moloch al quale tutti si devono inchinare, anche se, a sua volta, esso è continuamente orientato, manipolato, strumentalizzato, da poteri occulti, soprattutto di natura finanziaria, che ne fanno il loro zimbello e se ne servono per raggiungere un controllo invisibile, ma reale e sempre più soffocante, sui popoli e sulle nazioni.

La campagna ha finito di significare qualcosa: soggetta alle leggi del’industrializzazione e alla ricerca esasperata del profitto, la terra e gli animali vengono inglobati anch’essi nella nuova mentalità capitalistica, avara e rapace nel medesimo tempo, che vuol trasformare in oro, come il re Mida, tutto ciò che tocca, ad esempio recintando le terre e sopprimendo gli usi agricoli comuni, e intanto provoca, direttamente o indirettamente, lo sradicamento, la miseria e l’espulsione di milioni e milioni di contadini, divenuti ormai inutili e incapaci di sostentarsi, e riducendoli a nuovi schiavi dell’industria in espansione, che ha bisogno di sempre nuove braccia servili per alimentare gli altiforni, giorno e notte; per estrarre il carbone, il ferro, lo zolfo, dalle miniere; per varare navi a vapore e gettare sempre nuovi chilometri di strade ferrate. Muore, con ciò, la millenaria civiltà contadina, e si spegne l’anima spirituale che aveva sostenuto il cuore dell’Europa, che aveva reso umani i suoi valori, che aveva tenuto lo sguardo degli uomini rivolto verso il Cielo. Fra Otto e Novecento trionfa il materialismo più radicale e si celebrano i fasti della scienza e della tecnica, elevate al rango di uniche forme di conoscenza e di progresso, al di fuori delle quali non vi sono che le tenebre dell’ignoranza, della superstizione e del fanatismo religioso.

Tuttavia l’uomo, ridotto ad una variabile secondaria del modo di produzione industriale, è scontento, frustrato, infelice; non trova quel che cercava, se ne stupisce, e raddoppia gli sforzi per soddisfare le sue brame sul piano materiale, allontanandosi sempre di più da se stesso e dall’armonia con i suoi simili e con la natura tutta: ciò che alimenta la sua rabbia impotente, la sua furia distruttiva, che esplodono nelle due guerre mondiali, nei genocidi, nell’invenzione e nel prontissimo impiego dell’arma atomica, cosa che minaccia l’intero pianeta dell’olocausto nucleare. Eppure nei totalitarismi del Novecento è da vedere soprattutto lo sforzo disperato, irrazionale, minato dal senso di decadenza e di morte, col quale gli uomini sperano, o s’illudono, di riprendere il controllo di una storia che è sfuggita loro di mano, che va non dove vogliono essi, ma dove la trascinano le dinamiche del gigantismo moderno, a cominciare dalla dittatura finanziaria e dalla sua mostruosa primogenita, l’economia virtuale, che divora ricchezze, posti di lavoro, risparmi e speranze, in cambio di pezzi di carta che rendono i ricchi sempre più ricchi, e la massa sempre più povera ed esposta agli alti e bassi delle quotazioni di borsa, ai giochi sporchi della speculazione cinica e usuraia.

E a quest’uomo stremato, confuso, sradicato, diviso in se stesso, disperato, è stata offerta la panacea universale: la democrazia moderna, nella quale si afferma e si consolida sempre di più quel totalitarismo occulto che sfrutta la grande illusione dell’opinione pubblica, concetto alienante in se stesso perché privo di corrispondenza nella realtà della vita concreta, e non più reale di quanto lo sia l’immenso fiume di denaro mosso, ora qui, ora là, dal gioco incrociato dei listini e dalle manovre spregiudicate delle banche centrali e della agenzie di rating, vere e proprie centrali del terrorismo finanziario, aventi il potere di decretare la fortuna o la rovina di interi popoli nello spazio di poche settimane o di pochi mesi. Non stupisce, dunque, che la moderna democrazia totalitaria, che è, in effetti, una oligarchia plutocratica neanche troppo abilmente dissimulata, stia portando a termine in maniera efficiente e metodica l’opera iniziata a suo tempo con sistemi più sbrigativi, ma infinitamente più rozzi e malsicuri; la grande operazione iniziata dal libertinismo e dall’illuminismo, e proseguita con i totalitarismi del XX secolo: la distruzione sistematica, implacabile, definitiva, della coscienza umana, intesa come centro morale della vita interiore. E come avrebbe potuto essere diversamente, se la coscienza presuppone l’autonomia della persona e la consapevolezza di sé, mentre la cultura moderna, e gli stili di vita dominati dal consumismo selvaggio, sono riusciti ad incrinare, a disarticolare e, sovente, a distruggere, sia l’una che l’altra cosa, sicché l’uomo moderno si presenta, sempre più spesso, come un essere privo di coscienza e privo persino di unità e coesione interiore: intellettuale, affettiva, morale?

Ci piace riportare, a questo punto, alcune riflessioni svolte da Joseph Ratzinger, assai anteriori all’epoca del suo pontificato ed esposte nella conferenza La coscienza nel tempo, tenuta presso la Reinhold-Schneider-Gesellschaft (cit. nel volume Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia; titolo originale: Kirche, Okumene und Politik; traduzione dal tedesco di Guido Sommavilla e Ellero Babini, Torino, Edizioni Paoline, 1987, pp. 159-161):

Nei suoi "Colloqui con Hitler", Hermann Rauschning, che nel 1933-34 era presidente del senato della libera città di Danzica, riferisce la seguente dichiarazione del dittatore fatta in sua presenza: "Io libero l’uomo dalla costrizione di uno spirito diventato scopo a se stesso; dalle sporche ed umilianti auto afflizioni di una chimera chiamata coscienza e morale, e dalle pretese di una libertà ed autodeterminazione personale, di cui ben pochi possono essere all’altezza"

La chimera era per quest’uomo una chimera dalla quale l’uomo doveva essere liberato; la libertà che egli prometteva doveva esser una libertà dalla coscienza. Del tutto affine è quanto Göring dichiarò allo stesso autore: "Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza si chiama Adolf Hitler". La distruzione della coscienza è il vero presupposto di una soggezione e di una signoria totalitaria. Dove vige una coscienza, esiste anche una barriera al dominio dell’uomo sull’uomo e all’arbitrio umano, qual,cosa di sacro che rimane inattaccabile e che è sempre sottratto all’arbitrio, sottraendosi ad ogni dispotismo proprio o estraneo. Solo l’assolutezza della coscienza è l’opposto assoluto nei riguardi della tirannide; solo il riconoscimento della sua inviolabilità protegge l’uomo nei confronti dell’uomo e nei confronti di se stesso; solo la sua signoria garantisce la libertà. Qui possono insorgere obiezioni da direzioni molto diverse. Una prima obiezione potrebbe contestare l’attualità di simili affermazioni. Ciò poteva avere importanza contro la dittatura hitleriana. Ma oggi non incombono problemi del tutto diversi? La prima questione oggi non dovrebbe concernere il dovere sociale invece della libertà individuale, la liberazione strutturale invece di quella personale? Ora, è vero che possono mutare le accentuazioni del dibattito sull’uomo e possono affacciarsi in primo piano compiti molto diverso a seconda della situazione storica diversa; ma resta sempre vero che l’attualità di un tema non può offrire il criterio di misura della sua umanità e che, al tempo stesso, ciò che è davvero umano è e resta sempre attuale nel significato più profondo del termine. Anche quando non è alla ribalta della scena della storia, esso appartiene alle forze decisive del dramma "uomo", e il suo oblio non può che essere fatale, non importa in quale atto del dramma ci si trovi. La dittatura e la schiavizzazione dell’uomo sotto il pretesto della sua liberazione è sempre un pericolo in agguato nell’uomo, e l’anatomia del totalitarismo, come del suo contrario, appartiene perciò ai compiti perenni della riflessione dell’uomo sull’umano.

Oso inoltre affermare che la tentazione cui noi oggi siamo esposti dimostra, per chi guarda in profondità, pur con nomi e colori diversi, una paurosa somiglianza, anzi unità, con quanto si trova apparentemente già dentro di noi. Al riguardo, ancora una citazione di Rauschning. Quest’uomo, che aveva visto il diavolo in faccia e gli aveva anche creduto per un po’, prima di percepirne l’errore, aveva poi nel 1938 diagnosticato, in un libro ancora importante, il nazionalsocialismo come rivoluzione del nichilismo. Egli scrive: Questo è, nei circoli che fungono da guida e di stimolo, del tutto privo di presupposti e di programmi, pronto a ogni tipo di azione, istintivo nei suoi migliori gruppi militanti e, nella sua élite direttiva, altamente elevato, freddo e raffinato. Non è esistita, né esiste una meta che il nazionalsocialismo, solo in vista del movimento, non sia pronto in ogni momento ad afferrare o a buttar via". Per una rivoluzione di questa specie non ci sono scopi sicuri di politica estera, come non ce ne sono di economici o di politica interna. La distruzione degli elementi d’ordine finora vigenti è la sola cosa che caratterizza la "rivoluzione nichilista in Germania con il suo vuoto dottrinale".naturalmente anche un nichilismo privo di dottrina contiene, a modo suo, una dottrina e in questo senso le righe appena citate sono criticabili. Ma nel contenuto centrale esse definiscono con molta precisione quanto è allora successo e mascherano una falsa interpretazione diffusa e fatale. Ossia: l’essenza della rivoluzione di cui si parla resta compresa solo parzialmente nei concetti di "fascismo" e di "nazionalismo", i quali coprono o deformano la parte più rilevante. Nell’orizzonte spirituale del suo tempo la rivoluzione hitleriana si è servita del nazionalismo della borghesia, che Hitler fanaticamente odiava e che voleva distruggere unitamente all’ordine borghese, che gli appariva come il vero ostacolo alla sua volontà. In questo senso si assiste ad una vera perversione della storia quando con lo slogan "law and order" il diritto viene parodiato come fascista-hitleriano, mascherando di nuovo con questa parodia proprio la rivoluzione del nichilismo, che è la vera conseguenza del dramma del 1933. Chi vede meglio le cose, chi non si lascia abbagliare dalle frasi, scoprirà parecchie somiglianze tra il dramma di allora le forze che oggi annunciano come salvezza la rivoluzione per se stessa, la negazione per se stessa dell’ordine. L’aggancio di questo nichilismo all’idea sociale, e alla nostra commozione per la miseria di milioni di uomini del mondo d’oggi, è un game ingannevole non meno di quello tra il nichilismo di allora e l’idea nazionale.

Soltanto chi è cieco, o vuole esserlo per comodità, può trascurare il fatto che la minaccia del totalitarismo è una questione della nostra ora storia. E in tal senso essa è un’ora della coscienza…

In quella conferenza, Ratzinger alludeva alla folle moda post-sessantottesca, cui non andò esente lo stesso mondo cattolico, secondo la quale una "buona" rivoluzione marxista avrebbe contrastato le forze del disordine capitalista, mentre era essa stessa portatrice del virus mortale del nichilismo. Ma oggi quella prospettiva è miseramente caduta, senza che una risposta sia stata data alle forze cieche della modernizzazione senz’anima, potatrici, esse stesse, di una nuova forma di nichilismo, la più micidiale: quella espressa da una democrazia totalitaria, che altro non lascia all’uomo se non la scelta fra programmi televisivi apparentemente diversi, ma in realtà simili e ugualmente futili o aberranti, e fra prodotti di consumo, capi firmati o partiti politici, differenti per taglio e aspetto esteriore, ma omologhi nella sostanza. E, se ci si domanda come ciò sia potuto accadere; come si siano abbattuti dei totalitarismi espliciti ma localizzati, soltanto per poi rimpiazzarli con un totalitarismo occulto e planetario, onnipresente e inafferrabile, la risposta non può essere che una: perché abbiamo permesso a quelle stesse forze del nichilismo avanzante di erodere lentamente e silenziosamente quel che restava della nostra coscienza, sino a farla sparire quasi del tutto. Un solo esempio basterà a chiarire il concetto. Quando Hitler varò il programma eugenetico che prevedeva l’eliminazione silenziosa di alcune centinaia di migliaia di persone affette da gravi patologie congenite, alla fine dovette desistere, per la resistenza incontrata, e divenuta sempre più forte, specialmente da parte della Chiesa cattolica e dei settori più sensibili e generosi della società civile. Oggi, mentre si eliminano silenziosamente milioni di nascituri, mediante l’aborto assistito nelle strutture sanitarie pubbliche, nessuno, o solo pochi, trovano qualcosa da eccepire, e la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica e delle forze politiche tacciono ed approvano tutto questo, implicitamente o esplicitamente.

C’è ampia materia di riflessione, per chi ne abbia voglia.

Forse dovremmo smetterla di suonare le trombe della retorica per la lotta contro un nemico che non c’è più, e prendere atto, invece, che ci troviamo alle prese con un altro nemico, ancora più pericoloso, perché più subdolo e non riconosciuto come tale, anzi, abituato a indossare la maschera del progresso, della libertà e dei diritti umani: un nemico che, come osservava Ratzinger, trova misteriose e inquietanti consonanze con gli strati più profondi, e meno belli, della nostra sfera istintuale, dopo che la coscienza è stata neutralizzata o eliminata. Infatti, una volta eliminata la coscienza, qualunque aberrazione, qualunque mostruosità diventano possibili, e possono venire spacciate per dei gloriosi passi in avanti della nostra società, come un ulteriore tratto di strada sulla via dell’emancipazione dell’uomo rispetto a tutto ciò che lo limita. Perché un uomo privo di coscienza è anche un uomo privo di senso del limite: sia verso gli altri, che verso se stesso…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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