
Paolo Sarpi è il prototipo del frate progressista, intrigante, sleale verso la sua Chiesa
13 Marzo 2016
Abbiamo bisogno di discernimento spirituale per partecipare alla vita divina
14 Marzo 2016Che la cristianità non sia più cristiana, è cosa che ci sfugge, se ci sfugge, perché noi abbiamo smesso di essere cristiani insieme ad essa, all’interno di essa: come il viaggiatore intorpidito che non si accorge di essere in movimento, perché il treno è partito, ma così dolcemente e silenziosamente, che egli non ne percepisce le vibrazioni, e, non guardando fuori dal finestrino, gli sfugge anche la possibilità di vedere il mutare del paesaggio.
In Italia, il divorzio venne introdotto con la legge numero 898 del 1° dicembre 1970, meglio nota come legge Fortuna-Baslini, entrata in vigore diciotto giorni più tardi; la Democrazia Cristiana, che vi si era opposta invano, tentò allora la carta del referendum abrogativo, sostenuta da alcune altre forze, ma subì una nuova e più cocente sconfitta, il 12-13 maggio 1974: votarono "sì" tredici milioni di cittadini (in cifra tonda), contro 19 milioni di "no", rappresentanti, rispettivamente, il 40,7% e il 59,3% degli elettori. Il nomos umano aveva sconfitto l’ethos divino.
Quattro anni dopo, il Parlamento approvava la legge sull’aborto, la 194, il 22 maggio 1978; anche in questo caso vi fu una consultazione popolare referendaria, che si tenne il 17 maggio 1981 e che sancì, di nuovo, la legislazione vigente. Questa volta, la decisione sull’aborto rientrava in un nutrito "pacchetto" di quesiti referendari; gli altri riguardavano l’ordine pubblico (il cosiddetto fermo di polizia), il porto d’armi e la pena dell’ergastolo; altri sei (consumo di droghe leggere, energia nucleare, abolizione della caccia, ecc.) erano stati bocciati dalla Corte costituzionale, e un settimo, riguardante l’abolizione del Tribunale militare, venne superato dal Parlamento. La principale forza a favore dei referendum fu il Partito Radicale, guidato da Francesco Rutelli, allora in fase di crescita elettorale: il suo obiettivo era ampliare e facilitare l’applicazione della legge 194. Viceversa, il Movimento per la vita presentò una sua proposta di modifica, mirante al fine esattamente opposto. Di nuovo, fu una vittoria netta degli abortisti; questa volta, anzi, addirittura schiacciante: gli abortisti sfiorarono il 7% dei voti e gli antiabortisti si fermarono al 32%. I radicali, che, a un certo punto della campagna referendaria si erano trovati quasi soli, essendosi defilati i partiti della sinistra "storica", poterono a buon diritto cantar vittoria per un successo così clamoroso.
Eppure, entrambe le leggi ed entrambi i referendum andavano nettamente contro la morale cattolica; morale che la Costituzione conciliare Gaudium et Spes (e adesso, cos’hanno da dire quei cattolici di sinistra che fanno sempre riferimento al Vaticano II per trovarvi le pezze d’appoggio alle loro accelerazioni progressiste?) aveva ribadito, con le severe ed esplicite parole: «L’aborto, come l’infanticidio, sono abominevoli delitti». Ciò mise in luce un fatto, che, fino a tutti gli anni Sessanta, era passato quasi inosservato: il popolo italiano, preso nella spirale del boom economico, del consumismo, della secolarizzazione, aveva smesso di seguire il Vangelo e il Magistero ecclesiastico: e, pur continuando a far battezzare i bambini, a sposarsi preferibilmente in chiesa e a recarsi alla Messa domenicale, di fatto aveva cessato di essere cristiano, e aveva ripudiato, nelle scelte pratiche della vita, i principi basilari della religione cristiana.
Leggiamo nel Vangelo di Matteo, 19, 3-9: «Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi. Gli obiettarono: Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via? Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio».
Ed ecco il commento teologico che di questa pagina evangelica fece papa Wojtyla (da: Giovanni Paolo II, «Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano», Città Nuova Editrice/Libreria Editrice Vaticana, 1985, pp. 148-150):
«Nel suo colloquio con i farisei, Gesù, facendo riferimento al "principio" , pronunciò le seguenti parole riguardo al libello di ripudio: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così" (Mt., 19,8). Questa frase comprende indubbiamente un’accusa. "La durezza di cuore" indica ciò che, secondo l’ethos del popolo dell’Antico Testamento, aveva fondato la situazione contraria all’originario disegno di Dio-Jahvè secondo Genesi 2, 24. Ed è là che bisogna cercare la chiave per interpretare tutta la legislazione di Israele nell’ambito del matrimonio e, in senso più lato, nell’insieme dei rapporto tra uomo e donna. Parlando di "durezza di cuore", Cristo accusa , per così dire, l’intero "soggetto interiore" che è responsabile della deformazione della Legge. Nel discorso della montagna (Mt., 5, 27-28), Egli fa anche un richiamo al "cuore", ma le parole qui pronunciate non sembrano soltanto di accusa. […]
Il discorso della montagna, ed in particolare quel passo che abbiamo scelto come centro delle nostre analisi fa parte della proclamazione del nuovo ethos: l’ethos del Vangelo. Nell’insegnamento di Cristo, esso è profondamente connesso con la coscienza del "principio", quindi con il mistero della creazione nella sua originaria semplicità e ricchezza, e, al tempo stesso, l’ethos che Cristo proclama nel discorso della montagna è realisticamente indirizzato all’"uomo storico", divenuto l’uomo della concupiscenza. La triplice concupiscenza [superbia, avarizia, lussuria: nota nostra], infatti, è retaggio di tutta l’umanità, e il "cuore" umano realmente ne partecipa. Cristo, che "sa quello che c’è in ogni uomo" (Gv., 2, 25), non può parlare altrimenti se non con una simile consapevolezza. Da questo punto di vista, nelle parole di Matteo 5, 27-28 non prevale l’accusa ma il giudizio: il giudizio realistico sul cuore umano, un giudizio che da una parte ha un fondamento antropologico e, dall’altra, un carattere direttamente etico. Per l’ethos del Vangelo è un giudizio costitutivo. […]
In ciò risiede l’universalità del Vangelo, che non è affatto una generalizzazione. Forse proprio in questo enunciato di Cristo, che qui sottoponiamo ad analisi, ciò si manifesta con particolare chiarezza. In virtù di questo enunciato, l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo si sente chiamato, in modo adeguato, concreto, irripetibile: perché appunto Cristo fa appello al "cuore" umano, che non può essere soggetto ad alcuna generalizzazione. CON LA CATEGORIA DEL "CUORE", OGNUNO È INDIVIDUATO SINGOLARMENTE ANCOR PIÙ CHE PER NOME, viene raggiunto in ciò che lo determina in modo unico e irripetibile, è definito nella sua umanità "dall’interno".
L’immagine dell’uomo della concupiscenza concerne anzitutto il suo intimo. La storia del "cuore" umano dopo il peccato originale è scritta sotto la pressione della triplice concupiscenza, a cui si collega anche la più profonda immagine dell’ethos nei suoi documenti storici. Tuttavia, quell’intimo è pure la forza che decide del comportamento umano "esteriore", ed anche della forma di molteplici strutture e istituzioni a livello di vita sociale. Se da queste strutture e istituzioni deduciamo i contenuti dell’ethos, nelle sue varie formulazioni, storiche, sempre incontriamo questo aspetto intimo, proprio dell’immagine interiore dell’uomo. Questa infatti è la componente più essenziale. Le parole di Cristo nel discorso della montagna, e specialmente quelle di Matteo, 5, 27-28, lo indicano in modo inequivocabile. Nessuno studio sull’ethos umano può passarvi accanto con indifferenza.»
Gesù, dunque, è stato chiarissimo: non è lecito separare l’uomo e la donna uniti nel vincolo matrimoniale: l’uomo non separi ciò che Dio ha unito (Mt., 19, 8). Anche la Gaudium et Spes era stata chiarissima; pure, milioni di persone, le quali si professavano credenti di fede cattolica, votarono a favore del divorzio, dapprima, poi a favore dell’aborto libero e gratuito. Anche Giovanni Paolo II, nella sua catechesi sull’amore umano, è stato chiarissimo: ma neppure lui è stato ascoltato. La gente continua ad andare in chiesa (sempre meno, per la verità), ma poi, nella propria vita, si regola ed agisce in maniera totalmente difforme dal Vangelo e dal Magistero ecclesiastico. Bisogna dire che anche molti pastori hanno smesso di parlare di queste cose; che molti preti predicano sulla libertà, sui diritti, sulla giustizia sociale, sul progresso politico, sul dovere di accoglienza verso gli immigrati, sempre e comunque; ma hanno quasi smesso di predicare sul bene e il male, sul peccato e la redenzione; non parlano più dell’amore fra uomo e donna come di un dono di Dio, né della triplice concupiscenza, né della necessità di una conversione, affinché l’essere umano possa liberarsi dalla propria durezza di cuore, e rinascere all’amore divino.
Non ci si può aspettare che i fedeli continuino a vedere nel Vangelo un ethos da prendere sul serio e da vivere sino in fondo, se la Chiesa, per prima, mostra di pensarla altrimenti, e di avere tutt’altre priorità. Invero, nell’ambito della morale sessuale, la Chiesa cattolica sembra aver commesso un duplice, grave errore. Dopo avere ecceduto in sessuofobia per moltissimo tempo, mostrando di considerare i peccati carnali come i più gravi in assoluto, o quasi, trascurando la bellezza e la santità dell’amore umano e del corpo stesso, anzi, vedendo in quella bellezza soprattutto una occasione di caduta, piuttosto che uno stimolo ad innalzare l’anima verso il richiamo della bellezza divina; poi, bruscamente, è caduta nell’eccesso opposto, capovolgendo la propria posizione e accogliendo come buono e naturale ogni istinto e ogni appetito carnale, fino alle ultime derive relativiste, che consistono in apposite "pastorali" per accompagnare verso la consapevolezza dell’amore anche le coppie omosessuali, quasi che fosse caduta, d’un sol colpo, qualunque barriera, e tutto fosse divenuto lecito e giusto, secondo il richiamo dell’umana concupiscenza.
Giovanni Paolo II, nel brano che abbiamo sopra riportato, fa una distinzione fondamentale fra lo stato dell’umanità prima e dopo il Peccato originale. Dopo di questo, l’umanità è stata ferita in modo profondo, il cuore si è indurito, e il richiamo della concupiscenza ha soffocato, o, comunque, soggiogato quello della dimensione spirituale. E tuttavia, in questo ambito, come in ogni altro, la strada non è chiusa per sempre all’uomo di buona volontà: esiste ancora la possibilità di ristabilire il giusto equilibrio fra le passioni e la legge morale, ed essa è affidata alla chiamata di Cristo, il quale conosce ogni singolo essere umano, perché conosce i segreti del cuore. È il Vangelo la chiave per sciogliere il ghiaccio del cuore indurito e per far nascere in ciascun essere umano l’uomo nuovo, rifatto e rigenerato dal rapporto d’amore con Dio e restituito, perciò, alla dimensione della vita soprannaturale. Il divorzio e l’aborto non sono altro che due delle numerose manifestazioni della durezza del cuore, che rifiuta l’amore di Dio e che continua a dire, incessantemente, "io, io, io", come se solo affermando i propri impulsi egoistici potesse trovare la pace interiore. Ma l’esperienza ci mostra che non è così, e la ragione ce lo conferma. L’uomo, abbandonato ai suoi appetiti disordinati, non trova la pace del cuore, ma l’angoscia e la disperazione. Non c’è nulla di più triste della filosofia dell’egoismo, che sa parlare solo di diritti e mai di doveri; che sa avanzare solo pretese contro qualcosa o qualcuno; che vuole abbattere tutti i limiti, ma non conosce la dolcezza del dono, dell’abbandono, né la mitezza dell’umiltà, e neppure la comunione disinteressata con gli altri e con le cose. Eppure, tale è la filosofia oggi dominante: sostenuta dalla forza delle leggi, dal prestigio dell’intellighenzia, dalla pressione dei mezzi d’informazione e dall’esperienza pratica della vita quotidiana, che sembra smentire ogni slancio nobile e disinteressato.
Questo è, semplicemente, l’inferno: l’inferno dell’egoismo che abbiamo eretto intorno a noi, scambiandolo per il paradiso in terra. L’errore stava a monte: la creatura non può voltare le spalle al Creatore, tanto meno sostituirsi a Lui: la sua sapienza diventa follia, la sua libertà diventa suicidio. E l’uomo e la donna, le due creature complementari e armoniose, sono divenute rivali, nemiche, impegnate a combattesi e a sopraffarsi, magari per affermare il controllo sui figli, come fossero una proprietà o una rivalsa, oppure per sfruttarsi l’un l’altra, sessualmente ed economicamente. La propaganda omosessualista giunge in buon punto per recare l’oltraggio supremo al meraviglioso progetto di vicendevole amore e di mutuo sostegno che Dio ha predisposto per gli esseri umani, con una obbrobriosa parodia del matrimonio e della genitorialità. Quando rinsaviremo da questa pazzia?
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