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La storia di Franco Maironi e Luisa insegna che non c’è vera giustizia, se manca la carità

In «Piccolo mondo antico», pubblicato nel 1895, Antonio Fogazzaro (nato a Vicenza il 25 marzo 1842 e morto, nella sua città natale, il 7 marzo 1911) ha voluto narrare l’umile, tenace, commovente epopea quotidiana della famiglia, degli affetti domestici, e, nello stesso tempo, mettere in scena il grande mistero del cristianesimo: il contrasto fra l’ideale e il reale, fra la capacità di perdonare e il senso della giustizia, fra lo spirito contemplativo e quello attivo, il tutto nella luce un po’ crepuscolare della fine di un’epoca, quella della Lombardia austriaca (e del mondo pre-moderno); e, ancora, il contrasto fra la giovane generazione liberale e risorgimentale, rappresentata da Franco Maironi e Luisa Rigey, e la vecchia, rappresentata dall’anziana marchesa Maironi, nonna di lui, e dal Pasotti, impiegato a riposo, ottuso e reazionario, e tuttavia perfino lui non privo di un debole raggio di luce, l’incapacità di abbassarsi a fare la spia — prova dell’umanità e della simpatia con cui l’autore sa accostarsi a tutti i suoi personaggi, anche i meno attraenti.

Franco è un idealista e un entusiasta, un animo leale e generoso, un cuore caldo e sensibile, pieno d’immaginazione, insofferente d’ogni ipocrisia, assetato di verità e di bellezza, attratto da tutto ciò che è soave, luminoso, nobile; però gli fa difetto la volontà, e, come se non bastasse, nel suo cristianesimo, che pure è saldamente radicato, stenta ad affermarsi la nota attiva, l’intraprendenza del bene, la disponibilità a mettersi veramente in gioco, tranne che nella cerchia ristretta dei suoi cari. Luisa è nobile anch’ella, ma più fredda, più controllata, più rigida, più riflessiva, e, nota dominante, possiede un acutissimo senso della giustizia, che la spinge a mettere da parte la carità; la sua fede è tiepida, ella inclina a una visione materialistica della vita, a ciò condotta anche dall’educazione ricevuta. Pure, i due si amano, in un certo senso si completano; e la nascita di una bellissima bambina sembra destinata a suggellare felicemente la loro unione.

Già da questa situazione iniziale si vede come il Fogazzaro non partecipa alla tendenza, che sarà dominante tra la fine del XIX e il principio del XX secolo, a vedere nella famiglia un luogo asfittico, sgradevole, insopportabile, un luogo di frustrazione e di repressione, d’ipocrisia e dissimulazione: Pirandello giungerà a farne un ritratto atroce, al punto che non c’è novella, romanzo o dramma teatrale di questo autore, nel quale la famiglia non sia rappresentata come la stanza delle torture dell’individuo. Fogazzaro, però, non appartiene al coro dei denigratori della famiglia; spezza invece una lancia in sua diesa, non con enfasi ideologica, ma con naturalezza, seguendo il suo impulso narrativo, la sua vena poetica e umana. La famiglia, per lui, è un luogo di pace, di armonia, di rifugio dagli affanni del mondo esterno. Si faccia caso alle date: nel 1895, già da quattro anni è apparsa una piccola, rivoluzionaria raccolta poetica di un giovane pressoché sconosciuto, Giovanni Pascoli: «Myricae», che, della famiglia, e specialmente dell’infanzia, delinea un ritratto dolcissimo, pieno di nostalgia e di rimpianto; ma già nel 1881, dieci anni prima di questa, «I Malavoglia» di Verga hanno mostrato la vecchia famiglia patriarcale investita e spazzata via dalla spietata "fiumana del progresso", ossia dalla irruzione inesorabile della modernità.

Nonostante l’amore reciproco e la nascita di Ombretta, però, Franco e Luisa restano troppo diversi: i contrasti a proposito del testamento a lui favorevole, che la nonna ha fatto sparire e che Luisa vorrebbe rivendicare, trascinando la marchesa in tribunale; le ristrettezze economiche, aggravate dal licenziamento del buon zio Piero a causa dei suoi sentimenti filo-italiani; la difficoltà d Franco a prendere una decisione sul loro futuro, minano il loro rapporto; e la tragica morte della bambina farà esplodere la crisi. Luisa sarà sul punto di perdere la ragione (e l’anima): priva di una salda fede religiosa, si ripiega in se stessa e si inaridisce, schiacciata dal senso di colpa, escludendo, un po’ alla volta, il marito dalla sua fiducia e dal suo affetto; Franco, invece, attraverso la straziante esperienza del dolore, uscirà rigenerato e rafforzato non solo nella fede, ma anche nel suo carattere, e prenderà la decisione a lungo rinviata: partire per mettersi al servizio della causa italiana, quando già è ricercato dalla polizia austriaca. Per lui, l’intera vicenda narrata nel romanzo costituisce un vero e proprio percorso di formazione: da giovane incerto e debole, quale ci appare all’inizio, egli si trasforma in un uomo consapevole e maturo, temprato dalla sventura. In un ultimo incontro con Luisa, in procinto di partire per la guerra (la terza guerra d’indipendenza) e contribuire, così, al riscatto della patria, avrà un ultimo incontro cin Luisa, nel corso del quale la donna sembrerà ritrovare il calore dell’antica fiamma, sentirà rinascere la passione per lui e, al termine di una breve, struggente notte d’amore, accoglierà in sé, forse, la promessa di una nuova vita, di una seconda Ombretta, che potrà forse riconciliarla con la vita, restituendola al suo ruolo di sposa e di madre.

Quanto mai opportune ed acute ci paiono le osservazioni svolte dal critico Piero Nardi, vicentino pure lui (1891-1974), nella Introduzione a «Piccolo mondo antico» (Milano, Edizioni Scolastiche Mondadori, 1964, pp. 7-9):

«"Piccolo mondo antico" rappresenta il momento centrale dell’attività artistica del Fogazzaro. Questi aveva pubblicato già tre romanzi, tutti prevalentemente d’amore; altri tre ne pubblicava poi, prevalentemente a tesi. Persuaso da una nota opinione del Manzoni, che di amore ce ne fosse anche troppo nel mondo per continuare ad alimentarlo con libri, faceva di "Piccolo mondo antico" il romanzo dell’intimità domestica e lo svolgeva secondo questo convincimento: non esserci vera giustizia, dove non sia anche spirito di carità.

Da una parte Luisa, giusta ma non generosa; dall’altra suo marito Franco, in antitesi con lei: ecco i protagonisti. Franco si sposa contro la volontà della marchesa Maironi, sua nonna paterna, dalla quale solo dipende e che gli nega ogni aiuto economico. Guai se uno zio di Luisa non intervenisse, offrendo ai coniugi la sua casa e parte del suo denaro. La casa, a Oria, in riva al lago di Lugano, è presto allietata dalla nascita di una bambina: Maria od Ombretta Pipì, come lo zio Piero la chiama; ma un bruttissimo giorno — proprio mentre Luisa è uscita per denunciare l’esistenza di un testamento favorevole al marito, e che questi non vuol produrre, perché disonorevole per la nonna, – la bambina affoga nel lago. Colpita in quanto ha di più caro appunto allora che si apprestava a compiere un atto creduto di giustizia, Luisa, razionalista e tepida credente, si considera vittima di un fato cieco e ingiusto, minaccia di perdere ogni salute dell’anima; Franco, più contemplativo che volitivo, ma sorretto dalla fede, esce rigenerato dalla prova del dolore, ringrazia Dio che forse ha chiamata a sé la bambina per sottrarla all’influenza delle perniciose idee di sua madre, si getta nell’azione.

Il Fogazzaro non ha fatto un misteri dei suoi intendimenti, scrivendo, a romanzo da poco pubblicato, a un suo critico (Camillo Gaidano): "Feci di Luisa una natura NOBILISSIMA, e VERAMENTE superiore, sì; ma fin alla prima parte appare in lei il lato inferiore, il lato debole, e lo feci apparire a disegno. A proposito del testamento e in tutte le sue relazioni con la vecchia marchesa, Luisa manca, rispetto a suo marito, di carità. È un vizio della sua natura ed è anche un effetto della sua fredda, scarsa, superficiale religione. Ella sente la giustizia ma non sente la carità, e questo è il germe, STORICAMENTE e PSICOLOGICAMENTE, della sua rovina spirituale futura. Franco è invece inferiore a lei nella volontà, nell’azione. Molti sono i credenti che somigliano a Franco, che praticano, si astengono dal male, ma operano poco, mancano del vero spirito cristiano. Per incarnare questo concetto mi occorreva una natura piuttosto d’artista che di pensatore. E la vera essenza del cristianesimo che opera in lui, più tardi, è l’amore, è la croce…: sono l’amore e la croce che lo innalzano, che gli fanno comprendere la sua incoerenza passata e che trasformando lui devono comunicare una certa emozione buona anche ai lettori del libro… L’opposizione di Luisa a Franco non è legittima che in quanto riguarda il difetto di opere. Franco, a suo tempo, riconosce questo difetto di opere e si emenda." Aggiunge però: "Doveva io guastare l’effetto artistico del romanzo inserendovi un’apologia ragionata?… No: io volli che parlassero i fatti". Giova insistere su questo, riportando anche le parole di Gaetano Negri, uno dei primi a pronunciarsi in proposito: "Il romanzo del Fogazzaro, intendiamoci bene, non è un libro in cui l’autore ci si presenti ad insegnare la sua morale e la sua filosofia. Egli non assume mai l’atteggiamento e la voce del maestro e del dottrinario. Ma un pensiero filosofico e morale governa tutto lo svolgimento del dramma; e questo pensiero vien fuori naturalmente dall’esperienza della vita di cui il libro ci offre la rappresentazione, così che, quando lo si chiude, la filosofia e la morale, insegnate dal libro, s’imprimono nella mente del lettore, con tutta l’efficacia della realtà vissuta".

Di questa realtà vissuta, meglio del Negri, è difficile dire: "Siamo, con questo romanzo, nel cuore del decennio che corre dal 1849 al 1859… Il Fogazzaro doveva essere giovanissimo ancora, forse appena adolescente, negli ultimi anni di quel glorioso periodo. Ma la memoria di ciò che vedeva e sentiva si impressa profondamente in lui, così che, per far rivivere il mondo antico, egli non ebbe che a ricordarsi. E appunto per questo la rappresentazione è venuta fuori parlante, e con tutti i requisiti della verità. Avviene pei fenomeni dello spirito ciò che avviene pei fenomeni della materia: dal nulla, nulla si crea. È con gli elementi raccolti nel vero e conservati nella memoria, che il poeta INVENTA, cioè TROVA. E la bellezza, efficacia dell’immagine sono sempre in ragione diretta della vivacità dell’osservazione e della memoria". Sì, il Fogazzaro era un adolescente e un giovinetto fra il ’49 e il ’59. La casa di Oria era quella venuta in godimento a suo padre e a sua madre, da quando un fratello di questa, lo zio Pietro Barrera, aveva reso possibile, con aiuti economici, il loro contrastatissimo matrimonio. Tra quelle preti, in vista di quel lago e di quelle montagne, suo padre, fervente cattolico e patriota, innamorato della musica e dei fiori, sua madre, luce di prudente consiglio, di soavità e di misericordia cristiana, lo zio testé ricordato, gli si stampavamo nell’immaginazione quali se li sarebbe riveduti dinanzi un giorno col nome di Franco, della madre di Luisa, dello zio Piero romanzesco. Ivi, ospite dilettissima, la signora Luisa Venini Campioni di Varenna sul lago di Como, tradiva già il tipo da concretare — studiandola in anni di poi — nella moglie di Franco. »

Fogazzaro, dunque, in «Piccolo mondo antico», ha saputo delineare, con mano quasi sempre felice, leggera e benevola, mai però banale o superficiale, un interno familiare ricco di chiaroscuri, dove il bene e il male non sono nettamente separati e dove l’ombra e la luce non stanno mai da una parte sola. Ha voluto rappresentare anche la fatica e le difficoltà della famiglia moderna, nucleare, costretta a provvedere a se stessa fuori dalla sfera protettiva della vecchia famiglia patriarcale, dove nessuno era mai lasciato solo; difficoltà di ordine economico, difficoltà a trovare un lavoro, ma anche difficoltà e fatiche di ordine psicologico e affettivo, presa com’è nell’ingranaggio di un momento storico delicatissimo, quando i valori tradizionali, a cominciare da quelli religiosi, devono misurarsi con le formidabili sfide di un mondo nuovo, seducente per alcuni aspetti, ma pauroso e indecifrabile per altri, dove i sentieri sono ancora da tracciare e si ha l’impressione di avanzare a tentoni, come in una inquietante terra di nessuno.

Luisa, per molti aspetti, appare una donna "moderna", un po’ come la Pisana di Ippolito Nievo, che pure la precede di circa un trentennio; moderna è la sua tendenza razionale, la sua ostinazione nell’orgoglio, la sua incapacità di essere pietosa; moderno, soprattutto, è il suo distacco dalla fede degli avi, che lascia un vuoto destinato e rimanere sguarnito, e nel quale ella sarà trafitta, vittima inerme, dalla freccia del dolore. Moderno, in effetti, è anche Franco, metà esteta e metà inetto, se vogliano estremizzare i due poli della sua personalità di artista e di sognatore, poco incline all’azione; così come "moderna" è la sua attrazione per una donna più forte di lui, più decisa, più energica, almeno in apparenza (perché poi la vita si incaricherà di rovesciare brutalmente le posizioni di partenza); e, in questo, ricorda un po’ certi personaggi della Scapigliatura, oltre che il Carlino del Nievo. Ma, soprattutto, moderno è il contrasto vissuto all’interno della religiosità dei due sposi, quella debole di Luisa e quella robusta di Franco; religiosità bramosa di assoluto, e anche di confrontarsi con le sfide dei tempi nuovi: il "modernismo" di Fogazzaro, in nuce, è già presente…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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