La frana del torrente Téssina a Chies d’Alpago è un colpo di coda della diga del Vajont?
29 Novembre 2015
Il marchese De Sade è stato l’araldo del moderno pacifismo?
30 Novembre 2015
La frana del torrente Téssina a Chies d’Alpago è un colpo di coda della diga del Vajont?
29 Novembre 2015
Il marchese De Sade è stato l’araldo del moderno pacifismo?
30 Novembre 2015
Mostra tutto

Le Filippine cristiane sono l’eccezione che conferma la regola

Che cosa succede quando due, anzi tre, o più, religioni, all’incirca nello stesso spazio di tempo, si affacciano su di un Paese non ancora inserito nel circuito della "civiltà" mondiale, e i suoi abitanti, gente mite, pacifica, sono più che disponibili ad accogliere gli usi, la lingua, e anche le credenze religiose di un colonizzatore venuto da fuori, forte della propria superiorità tecnologica e orgoglioso della missione civilizzatrice che sente di rappresentare?

Storicamente, questo è stato il caso delle isole Filippine, così chiamate in onore di Filippo II di Spagna: furono gli Spagnoli a dare, per la prima volta, unità politica al vasto e sparso arcipelago dell’estremo Sud-Est asiatico, prima frammentato in numerosi clan e in alcuni sultanati, nonché in gruppi tribali estremamente primitivi, separati da vallate impervie o relegati su piccole isole appartate (i Tasaday, un minuscolo gruppo cavernicolo dell’isola di Mindando, vennero conosciuti solo al principio degli anni ’70 del XX secolo; anche se storia del loro ritrovamento è controversa).

I musulmani furono i primi ad arrivare, provenienti dalla non lontana Malesia, tra la fine del XIV e il principio del XV secolo. Si stabilirono solidamente a Mindanao, a Sulu, a Panay e in alcune altre isole meridionali, indi cominciarono a penetrare anche nell’isola maggiore, Luzon, a settentrione. La loro presenza nella parte meridionale dell’arcipelago mise radici così profonde che non sarebbe stata mai più interamente sradicata, e valse ad esse il nome di "isole del Moro", con le quali erano note comunemente nel XVI secolo agli Europei, che vi mandarono numerosi missionari cattolici (cfr. il nostro precedente articolo: «Francesco Xavier parte per le isole del Moro nell’epico racconto di Daniello Bartoli», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 17/02/2012).

Pochissimo tempo dopo, nell’arcipelago si affacciarono le gigantesche giunche di una flotta grandiosa, la flotta cinese dell’ammiraglio Chêng Ho, inviata a compiere una serie di memorabili crociere nel Pacifico e nell’Oceano Indiano (cfr. il nostro articolo: «Le spedizioni dell’ammiraglio Chêng Ho: un notevole esempio di potenza non imperialista», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 28/07/2010 e ripubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 19/09/2015). I Cinesi stabilirono qualche testa di ponte ed esportarono un certo numero di commercianti, ma non tentarono di colonizzare le isole, né di convertire le popolazioni indigene. Teoricamente, comunque, per qualche tempo il confucianesimo, il buddismo e il taoismo, le tre grandi religioni cinesi, ebbero la porta socchiusa anche nelle Filippine, ove avrebbero potuto facilmente penetrare, se l’influenza cinese fosse sopravvissuta, anche solo sul piano culturale. Fu in questo modo che il buddismo penetrò in Giappone e in altri Paesi dell’Estremo Oriente; forse arrivò addirittura – più o meno deformato, come suole avvenire in simili casi – alle coste del Nord America (cfr. il nostro articolo: «Il buddismo è giunto fra i Tlingit dell’Alaska insieme alla credenza nella reincarnazione?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 30/09/2008).

Gli Spagnoli giunsero nell’arcipelago nel 1521, nella persona di Fernando Magellano, che il 16 marzo sbarcò su una piccola isola vicino a Samar, Homonhon, e meno di un mese e mezzo dopo, il 27 aprile, trovò la morte combattendo in una guerricciola locale. Passò qualche decennio, ma gli Spagnoli non si erano dimenticati di quel Paese e vi tornarono nel 1565, sotto la guida di Miguel Lopez de Legazpi, che, nel 15671, fondò la capitale, Manila, ove la loro bandiera avrebbe sventolato per più di tre secoli. Nel corso di questa lunghissima dominazione non furono gli indigeni a costituire un problema per i colonizzatori, e nemmeno le potenze straniere, ma le combattive minoranze musulmane delle isole meridionali, e, paradossalmente, la stessa religione cattolica, dato che vi furono frequenti e gravissimi attriti fra il potere civile e quello religioso (cfr. il nostro saggio: «José Rizal e la lotta per l’indipendenza delle Filippine», parzialmente pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 12/11/2007, e integralmente su «Il Corriere delle Regioni» il 29/11/2015).

Scriveva lo storico britannico C. P. FitzGerald nel volume «Storia dell’Estremo Oriente. Dagli antichi imperi alle nazioni d’oggi» (titolo originale: «A Concise History of East Asia»; traduzione dall’inglese di Ettore Capriolo, Milano, Ferro Edizioni, 1969, pp. 376-378):

«Tra il 1380 e il 1475 coloni malesi provenienti da Sumatra si stabilirono a Sulu, a Panay e infine nella grande isola di Mindanao, dove istituirono piccoli sultanati e diffusero la religione dell’Islam. Da costoro traggono le proprie origini i "mori" che abitano attualmente l’arcipelago, musulmani fanatici e nemici acerrimi degli spagnoli che non riuscirono mi a soggiogarli. "Moro", nello spagnolo del Cinquecento, significava musulmano, e il termine era usato comunemente in tutta l’Europa occidentale (cfr. per esempio la tragedia shakespeariana "Otello, il moro di Venezia"). I regni "mori" lasciarono qualche documento della loro storia e introdussero l’uso della lingua araba nella regione da loro colonizzata. Nel 1570, alla vigilia della conquista spagnola, essi avevano già fondato i primi sultanati nell’isola di Luzon, sulle coste della baia di Manila. Ma nel frattempo c’era stata per un breve periodo la possibilità cadessero sotto il dominio di un altro Paese e di un altro popolo: i cinesi. Nei primi anni del Quattrocento, l’imperatore Ming Yung Lo aveva mandato le sue grandi flotte nei mari del Sud e nell’Oceano Indiano. E tra il 1405 e il 1417 la flotta del grande navigatore Cheng Ho approdò più volte anche nelle Filippine, per le quali venne nominato un governatore cinese. Purtroppo, non si sa con precisione di quali porti si servisse e dove avesse fissato la sua base principale. Molto probabilmente in uno dei porti più frequentati dai mercanti cinesi che già conoscevano bene la costa. Se le esperienze successive degli spagnoli possono servire da guida e l’espansione contemporanea dei musulmani da esempio, i cinesi avrebbero incontrato poche difficoltà per creare nelle Filippine una colonia forte e duratura che certo in poco tempo sarebbe divenuta molto popolosa. Gl’indigeni non erano ostili agli stranieri, le terre da colonizzare erano immense e, come si sarebbe visto nel periodo spagnolo, i cinesi delle province sudorientali erano ansiosi di stabilirsi qui e di commerciare con i filippini. Le conseguenze, quindi, di un eventuale insediamento dei Ming sarebbero state profonde.

Ma anche qui, come in molti altri Paesi dell’Asia sudorientale, una trentina d’anni dopo i primi viaggi di Cheng Ho, i successori di Yung Lo capovolsero la sua politica e ritirarono le flotte. La colonia delle Filippine, o quel tanto di colonia che c’era, venne abbandonata. Perciò, quando nel 1521, Magellano scoprì l’arcipelago, cinesi non ce n’erano più. , tranne qualche assiduo mercante. Magellano approdò a Cebu nel corso del suo viaggio intorno al mondo, il primo che mai fosse stato compiuto. Egli venne ucciso in una scaramuccia con gl’indigeni, ma una delle sue navi riuscì a tornare in Spagna l’anno successivo.

La notizia di questa scoperta suscitò in Spagna molte speranze e nel cinquantennio successivo partirono parecchie spedizioni che non arrivarono a destinazione o non seppero insediarsi stabilmente. Solo dopo la conquista del Messico, che fornì alla Spagna una base sulle rive americane del Pacifico, divenne possibile occupare una terra lontana come le Filippine. I porti messicani evitavano alle spedizioni di attraversare l’Atlantico e di doppiare il capo Horn: da allora in poi tutte le comunicazioni con le Filippine venero instradate attraverso il Messico viaggiavano per mare sino alla costa atlantica, raggiungevano per via di terra la costa opposta, e salpavano di qui su navi costruite in luogo per Guam e per le Filippine. Rispettando l’accordo con il Portogallo, gli spagnoli non usavano la rotta dell’oceano Indiano.

Nel 1565, essi fondarono a Cebu il loro primo insediamento permanente. Cinque anni dopo scoprirono la baia di Manila, attaccarono e sbaragliarono i soldati musulmani locali e nel 1571 fondarono Manila che sarebbe stata, e sarebbe rimasta, la capitale del Paese. Gli spagnoli fecero appena in tempo a occupare l’isola di Luzon, dove è situata Manila, che è la maggiore dell’arcipelago. I musulmani vi erano già arrivati ma non disponevano ancora di forze adeguate.  Così gli Spagnoli poterono scacciarli e assicurare gran parte delle Filippine a se stessi e alla cristianità. Se avessero aspettato ancora un po’, forse meno di cinquant’anni, è praticamente certo che l’islamismo sarebbe divenuto, come in Indonesia, la religione dominante; e le Filippine,  anche se poi conquistate, sarebbero rimaste un paese islamico. La storia di Sulu e Mindanao dimostra che dove l’Islam aveva preso radici, tutti i tentativi fatti perché la gente cambiasse religione non sortirono alcun esito. Il destino delle Filippine venne dunque deciso nel 1570-’71 in una serie di scaramucce intorno a Manila.

Gli spagnoli non incontrarono molte difficoltà nell’occupare e conquistare Luzon e tutte le altre isole, ad eccezione di quelle già controllate dai "mori"…»

A parte una certa confusione cronologica (Acapulco venne fondata verso il 1530 e quindi non furono le Filippine a dover "aspettare" che gli Spagnoli si insediassero sulla costa messicana del Pacifico per poterle colonizzare, perché essi erano giunti nei due lontanissimi Paesi pressoché contemporaneamente: Città del Messico cadde nelle loro mani il 13 marzo 1521), la tesi dell’Autore è sostanzialmente condivisibile. Gli Spagnoli giunsero nelle Filippine appena in tempo per impedire che si islamizzassero; appena qualche decennio più tardi, essi avrebbero potuto bensì conquistarle, ma non convertirle, come è illustrato dal fatto che persino oggi, a più di quattro secoli di distanza, persiste una tenace guerriglia da parte dei fanatici musulmani a Mindanao e in alcune altre isole minori. A pacificare quelle estreme propaggini meridionali non sono riusciti né gli Spagnoli, né gli Statunitensi, né l’odierno governo filippino; a dispetto del fatto che solo i primi cercassero non solo di sottomettere, ma anche di convertire i musulmani. Evidentemente, essi ritengono comunque di non poter vivere in un Paese a maggioranza cattolica; così come il leader pakistano Jinnah ritenne che i suoi correligionari dell’India non avrebbero potuto vivere in un Paese a maggioranza induista, e volle l’indipendenza al prezzo della spaccatura politica del subcontinente indiano.

Per il resto, gli Spagnoli convertirono i Filippini alla fede cattolica in maniera pacifica, molto più con la croce che con la spada; nonostante l’esordio poco felice di Magellano, la colonizzazione spagnola non ebbe, qui, episodi brutali, come quelli operati dai conquistadores nel Messico e nel Perù. Le popolazioni dell’arcipelago non avevano, da opporre, una robusta fede monoteistica; erano animiste e, per giunta, d’indole sostanzialmente pacifica. Di fatto, e con la sola eccezione della stessa Penisola Iberica (ove, peraltro, i sovrani spagnoli ricorsero al metodo delle conversioni forzate, e infine all’espulsione), nessun territorio convertito dagli islamici, è mai stato suscettibile di aprirsi ad altre fedi religiose: nel migliore dei casi, sono stati tollerati i cristiani e gli ebrei che già vi risiedevano (la "gente del Libro"): i pagani e i seguaci di altre religioni superiormente organizzate, come gli zoroastriani dell’Iran, non vennero tollerati. In nessun Paese islamico, i cristiani, una volta sottomesi, hanno mai avuto la possibilità di ritornare in forze: hanno dovuto accontentarsi di vivacchiare, come i Caldei dell’Iraq o i Copti dell’Egitto. Le stesse Crociate, di solito presentate come la prova dell’aggressività cristiana verso l’islam, altro non sono state che il tentativo di recuperare una minima pare delle regioni cristiane del Mediterraneo orientale, che i musulmani avevano conquistato con le armi (e con l’aiuto e la più che volonterosa cooperazione delle minoranze giudaiche): quelle in cui si trovano i luoghi santi della religione cristiana, l’equivalente della Mecca e di Medina per gli islamici.

L’esempio delle Filippine, isola cattolica sperduta agli estremi confini del mondo non cristiano, dovrebbe insegnare qualcosa a color i quali vogliano riflettere seriamente sulla questione religiosa, oggi, e specialmente sui rapporti fra il mondo cristiano e il mondo islamico. Dove l’Islam arriva a mettere saldamene radici, non è mai accaduto che sia stato assorbito da altre religioni, compresa quella cristiana. Viceversa, anche laddove sembra saldamente stabilito, il cristianesimo può soccombere all’urto esterno, come è accaduto in Siria, in Egitto, nell’Asia Minore, ossia nelle prime regioni dell’Impero Romano in cui il cristianesimo si diffuse, e nelle quali aveva messo le più salde radici. Chi parla, con disinvoltura, di una futura "integrazione" degli immigrati islamici in Europa, dovrebbe meditare su ciò che la storia insegna. Ad essere "integrati" potrebbero essere gli Europei…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.