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Chi esplorava e disegnava i fiumi antartici prima che la morsa del gelo li cancellasse?

La questione delle carte geografiche "impossibili", da alcuni decenni, sta facendo discutere e (metaforicamente, si spera) sta facendo quasi impazzire un certo numero di studiosi che se ne sono occupati, creando in essi una penosa scissione interna fra la loro formazione accademica, le loro certezze consolidate, tutto ciò che i geografi credevano di sapere a proposito dei progressi della loro scienza, e la sconvolgente prospettiva di dover rivedere tutto, riconsiderare tutto, e ripartire, se non proprio da zero, molto vicino allo zero.

In breve, le carte geografiche e i planisferi "impossibili" sono, nell’ambito della cartografia, quello che i reperti fossili "impossibili" rappresentano nella paleontologia: ad esempio, delle impronte di piede umano conservate entro una roccia antica di milioni e milioni di anni; o quello che i reperti storici impossibili sono nell’ambito dell’archeologia: per esempio, i segni dell’erosione piovana sulla superficie delle Piramidi d’Egitto: un fatto che, per ragioni di climatologia storica, riporterebbe indietro l’epoca della loro costruzione di parecchie migliaia di anni, modificando radicalmente ciò che sappiamo, o ciò che crediamo di sapere, a proposito non solo del sorgere della civiltà egiziana, ma a proposito della nascita della civiltà umana in quanto tale.

Quali sono codeste carte "impossibili"? Ricordiamo le più importanti. Nel Portolano di Dulcert, del 1339, le coordinate relative alla longitudine dell’Europa e dell’Africa del Nord risultano straordinariamente precise, quasi perfette; mentre risultano assolutamente perfette quelle relative alla latitudine. La carta di Zeno, del 1380, mostra, con precisione altrettanto strabiliante, le coste dell’Atlantico settentrionale, fino alla Groenlandia: e questo in un’epoca in cui nessun navigatore europeo si era spinto in quei luoghi, tranne i Vichinghi e, poi, Norvegesi e Danesi: i quali, però, non risulta che abbiamo mai divulgato le loro informazioni, tanto meno in forma così scientificamente accurata; semmai, tendevano a tenerle segrete.

La mappa dell’ammiraglio turco Piri Reis, disegnata nel 1513, mostra l’Atlantico con le coste dei continenti che lo contornano, comprese quelle dell’America Meridionale (all’epoca conosciute solo fino alla latitudine del Brasile; Magellano avrebbe raggiunto lo Stretto omonimo solo nel 1520), nonché un ulteriore tratto di costa, molto frastagliato e fronteggiato da isole, che alcuni studiosi (ma non tutti; al contrario, scatenando accanitissime discussioni) hanno interpretato come la costa del continente antartico, allora ufficialmente del tutto sconosciuta, così come doveva essere prima dell’ultima grande glaciazione.

Nella carta di Oronzio Fineo, del 1531 o 1532, viene rappresentato il continente antartico, tre secoli prima che i navigatori europei si spingessero a quelle estreme latitudini polari, fino a scoprire la sua esistenza. Ufficialmente, i primi a vedere il remoto continente australe furono, nel 1820-21, quasi contemporaneamente, il russo Fabian Gottlieb von Bellingshausen, il britannico Edward Bransfiedl e l’americano Nathaniel Palmer; se pure non fu qualche oscuro cacciatore di foche o di balene, spintosi avventurosamente più a Sud di tutti i suoi colleghi. La cosa più affascinante, per non dire sconvolgente, della carta di Oronzio Fineo (un matematico e cartografo francese, nato nel 1494 e morto nel 1555, il cui vero nome era Oronce Finé), è che essa rappresenta le coste dell’Antartide così come dovevano presentarsi prima della formazione della immensa calotta di ghiaccio che attualmente lo ricopre, dopo averne modificato notevolmente lo sviluppo costiero; e, come se non bastasse, essa mostra dei fiumi, con i relativi estuari, delle catene montuose e delle vallate, proprio lì dove si trovavano, o si troverebbero, se la calotta glaciale non li avesse ricoperti e nascosti: cosa che noi, oggi, possiamo apprezzare solo grazie ai più moderni e sofisticati strumenti di ricerca scientifica. Ciliegina sulla torta, Oronzio Fineo indica la posizione del Polo Sud, quasi al centro del continente, con precisione quasi perfetta.

Anche la mappa di Gerardo Mercatore, realizzata nel 1538, presenta degli aspetti anomali: non solo mostra, con molta precisione, la costa occidentale del Sud America, in un’epoca in cui essa era assai poco nota ai naviganti e ai geografi, ma una sua seconda versione, inclusa nell’«Atlante» del 1569, include la dettagliata rappresentazione dell’Antartide di Oronzio Fineo, ovviamente con il continente australe disegnato del tutto libero dai ghiacci.

Facendo un salto in avanti di due secoli, troviamo la carta di Philippe Buache, del 1737, la cui fonte pare essere stata un’antica mappa greca: in essa si vede distintamente tutto il continente antartico, ma formato da due sezioni distinte e separate da un mare interno; e ciò quando il mito della Terra Australis Incognita cominciava già a scricchiolare (avrebbe ceduto di schianto dopo il secondo viaggio di James Cook, che, fra il 1772 e il 1775, si spinse fino al Circolo Polare Antartico, senza mai avvistare terra e asserendo che, se pure una terra esisteva ancora più a sud, certamente essa doveva essere inabitata e inabitabile). Ora, noi sappiamo che la calotta glaciale antartica è formata, in realtà, da due calotte, occidentale e orientale, di diseguale spessore, separate da una depressione mediana, e che esse ricoprono due terre emerse distinte, che appaiono come un’unica massa soltanto a causa della glaciazione. Pertanto, è come se Buache fosse stato a conoscenza di come apparivano questi due sub-continenti, prima che la coltre ghiacciata li ricoprisse: ma ciò accadde in un’epoca in cui non esisteva alcuna civiltà umana in grado di osservarli e, tanto meno, di eseguirne la rappresentazione cartografica. Un’altra stranezza è che nella carta di Buache la costa meridionale dell’Australia appare disegnata solo parzialmente; che non risulta la natura insulare della Tasmania; e che non compare affatto l’arcipelago della Nuova Zelanda. Come dire che Buache era capace di rappresentare con straordinaria precisione una regione del globo che nessuno, allora, conosceva, e che, comunque, non si presentava più come essa appare nella carta, ma come doveva apparire in tempi antichissimi, allorché esistevano delle conoscenze che poi furono dimenticate; mentre le ultime terre ancora inesplorate nei primi decenni del XVIII secolo apparivano rappresentate con molta incertezza e imprecisione, come se, per il presente, le conoscenze del cartografo francese fossero solo ed unicamente quelle di cui la scienza geografica ufficialmente disponeva.

Così riassume la questione il giornalista scozzese Graham Hancock nel suo libro «Impronte degli dèi» (titolo originale: «Fingerprints of the Gods», 1995; traduzione dall’inglese di Eva Kampmann, Milano, Casa Editrice Corbaccio, 1996, pp. 22-31):

«Durante le feste natalizie del 1959-60, Charles Hapgood si dedicò alla raccolta di informazioni sull’Antartico nella sala di consultazione della Biblioteca del Congresso, a Washington D. C. Lavorò là per diverse settimane di seguito, immerso nella ricerca, letteralmente circondato da diverse centinaia di carte geografiche e nautiche medievali. "Scoprii (riferisce) molte cose affascinanti che non mi aspettavo di trovare, e numerose carte nautiche raffiguranti il continente australe. Poi, un giorno, voltai una pagina e rimasi di stucco. Mentre i miei occhi si posavano sull’emisfero australe di un mappamondo disegnato da Oronzio Fineo nel 1531, ebbi l’immediata convinzione di aver trovato una carta fedele e autentica dell’Antartico…" […]

Il mappamondo di Oronzio Fineo, concludeva Hapgood, sembrava documentare "la sorprendente affermazione secondo cui l’Antartico fu visitato e forse colonizzato dagli uomini quando era in gran parte se non interamente libero dai ghiacci. Va da sé che ciò rimanderebbe a tempi remotissimi… (Senza dubbio) il mappamondo di Oronzio Fineo riporta la civiltà dei cartografi originari a un’epoca corrispondente alla fine dell’ultimo periodo glaciale nell’emisfero settentrionale". Ulteriori prove a sostegno di questa idea emergono da modo in cui Oronzio Fineo rappresentò il Mare di Ross. Nei unti in cui oggi ghiacciaio come il Beardmore e lo Scott si scaricano in mare, la carta del 1531 mostra estuari, ampie insenature e accenni di fiumi. Queste caratteristiche implicano necessariamente che né il Mare di Ros né le sue coste erano coperti di ghiaccio quando furono disegnate le carte sorgente utilizzate da Oronzio Fineo […].

I dati del mare di Ross rafforzano in maniera incisiva l’ipotesi secondo cui l’Antartico deve essere stato rilevato da qualche civiltà sconosciuta durante il periodo di esteso disgelo che ebbe termine intorno al 4.00 a. C. Questo fatto è stato messo in evidenza dai tubi carotieri utilizzati, nel 1949, da una delle spedizioni antartiche di Byrd per estrarre campioni di sedimenti dal fondo del Mare di Ros. I sedimenti rivelarono numerosi strati chiaramente demarcati che riflettevano condizioni ambientali differenti in epoche differenti: "glaciale marino grosso", "glaciale marino medio", "glaciale marino fine", e così via. Ma la scoperta più sorprendente fu "che numerosi strati erano costituiti da sedimenti ben assortiti a grana fine, come quelli che vengono portati in mare da fiumi che scorrano in territori temperati (ossia privi di ghiaccio" (Hapgood, p. 97). […]

Significativamente, Mercator incluse il mappamondo di Oronzio Fineo nel suo "Atlante" del 1569, e raffigurò anche l’Antartico in diverse altre carte che realizzò personalmente nello stesso anno. […] E non solo Mercator. Anche Philippe Buache, il geografo francese del diciottesimo secolo, fu in grado di pubblicare una carta dell’Antartico molto tempo prima che il continente australe fosse "scoperto" ufficialmente. E la caratteristica straordinaria della mappa di Buache è che sembra basata su carte sorgente utilizzate, forse MIGLIAIA DI ANNI PRIMA, di quelle utilizzate da Oronzio Fineo e Mercator. Buache ci dà una rappresentazione di una precisione inquietante dell’Antartico così come doveva apparire QUANDO NON ERA RICOPERTO NEPPURE DALLA PIÙ PICCOLA QUANTITÀ DI GHIACCIO. La carta rivela la topografia subglaciale dell’intero continente, di cui neanche noi avevamo una conoscenza esauriente fino al 1958, l’Anno Geofisico Internazionale, quando fu effettuata una prospezione completa con metodo sismico a riflessione. Quella prospezione non fece che confermare ciò che Buache aveva già dimostrato nel 1737 con la pubblicazione della sua carta dell’Antartico. Basando la sua cartografia su antiche fonti ormai perdute, l’accademico francese ritrasse un CANALE NAVIGABILE SGOMBRO che attraversava il continente australe dividendolo in due masse terrestri principali, rispettivamente a est e a ovest della linea ora segnata dai Monti Transantartici. Un siffatto canale navigabile, che colleghi i Mari di Ross, di Weddell e di Bellinghausen, esisterebbe davvero se l’Antartico non fosse ricoperto di ghiaccio. Come rivela la prospezione AGI del 1958, il continente (che nelle carte moderne appare come un’unica massa terrestre ininterrotta) è costituito da un arcipelago di grandi isole unite tra di loro da una coltre di ghiaccio di spessore chilometrico e che si elevano al di sopra del livello del mare. […]

Prese insieme, le carte di Piri Reis, di Oronzio Fineo, di Mercator e di Buache hanno l’effetto di dare la netta sensazione, seppur sconcertante impressione che l’Antartico possa essere stato RILEVATO RIPETUTAMENTE nell’arco di diverse migliaia di anni, mentre la cappa di ghiaccio si espandeva a poco a poco dall’interno verso l’esterno, aumentando la sua morsa col passare di ogni millennio, ma arrivando a inghiottire tutte le coste del continente australe solo a partire dal 4.000 a. C. circa. Le fonti originarie delle carte di Piri Reis e di Mercator devono perciò essere state compilate verso la fine di questo periodo, quando solo le coste dell’Antartico erano libere dai ghiacci; la fonte della carta di Oronzio Fineo, invece, sembra risalire a tempi molto più remoti, quando la cappa di ghiaccio era presente solo nella parte più interna del continente; la fonte della carta di Buache, infine, sembra collocarsi in un periodo ancora più antico (intorno all’anno 13.000 a. C.), quando probabilmente nell’Antartico non c’era traccia di ghiaccio.»

Lo storico statunitense Charles Hapgood (nato nel 1904 e morto nel 1982), mettendo insieme tutti questi fatti anomali, è giunto a formulare una teoria che oggi non viene accolta dalla scienza ufficiale, ed è tuttora ampiamente sbeffeggiata dai soliti Soloni di matrice neo-positivista; ma che merita, quanto meno, di essere presa seriamente in considerazione. Se quelle carte esistono, vuol dire che qualcuno le ha disegnate: qualcuno che disponeva delle relative conoscenze. Fin qui, siamo nell’ambito di ciò che è lapalissiano. Il problema è che, per la scienza ufficiale, nessuna civiltà esisteva prima dell’ultima glaciazione. Hapgood, non volendo dare torto ai fatti in ossequio alle teorie, ammise, invece, per induzione, che una talassocrazia dovette esistere più di 10.000 anni fa (la glaciazione di Würm finì circa 9.700 anni fa). Cosa non impossibile, accogliendo la teoria dello slittamento polare, secondo la quale l’asse di rotazione terrestre è soggetto a spostarsi nel tempo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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