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21 Novembre 2015Come è noto, nell’Impero Romano i seguaci della religione cristiana subirono feroci persecuzioni, sia pure in forma non continuativa e sulla base di una legislazione piuttosto incerta e largamente discrezionale, per circa due secoli e mezzo: precisamente, dalla persecuzione di Nerone, nel 64 d. C., a quella di Diocleziano e Massimiano, nel 303 (proseguita, ma nella sola parte orientale dell’Impero, da Galerio fino al 311, e da Massiminio Daia fino al 313).
Eppure l’Impero Romano fu caratterizzato, dal punto di vista della politica religiosa, da una estrema tolleranza nei confronti di tutte le fedi: solo nei confronti dei cristiani l’atteggiamento dei sovrani e delle pubbliche autorità fu di aperta ostilità e di dura repressione, La cosa è quanto meno interessante e suscita una quantità di domande; domande alle quali già moltissimi storici hanno provato a dare delle risposte, alimentando una letteratura vastissima, alla quale non abbiamo alcuna intenzione, in questa sede, di aggiungere ulteriori elementi.
Piuttosto, la domanda che vogliamo farci è un’altra. Dal momento che il cristianesimo delle origini, specie nei primi tempi, fu, e come tale venne percepito, una derivazione "eretica" del giudaismo, e dal momento che le comunità cristiane, almeno nella prima fase di espansione, sorsero il più delle volte all’interno delle comunità giudaiche sparse in tutto l’Impero (come è dimostrato anche dal tipo di apostolato svolto non solo da san Pietro e dagli appostoli, ma dallo stesso san Paolo, che pure aveva deciso di rivolgersi preferibilmente ai "gentili"), allora la domanda è: come mai i cristiani vennero frequentemente perseguitati, lungo un arco temporale di ben 250 anni — per fare un confronto, è lo stesso tempo che andrebbe dalla fine della Guerra dei Sette Anni, nel 1763, ai nostri giorni — e i giudei no?
I Giudei, infatti, non vennero mai perseguitati a motivo della loro religione; le repressioni e le limitazioni che subirono furono piuttosto il contraccolpo delle gravi ribellioni che condussero contro le autorità romane, sia in Giudea, sia in altre zone orientali dell’Impero, fra il I e il II secolo d. C., dalla Cirenaica all’Egitto, dalla Siria alla Mesopotamia — e che vennero stroncate con una certa fatica dagli eserciti di Roma, specie quando coincisero con altre guerre che essi dovettero sostenere, in altri scacchieri del vastissimo impero, contro potenti nemici che premevano sulle frontiere, specialmente i Parti. Sia la rivolta del 66, sia quella del 132, guidata da Bar Kochba, furono seguite dalla distruzione del Tempio e della città, ricostruita come Aelia Capitolina, con proibizione per gli Ebrei di risiedervi. La "diaspora" che ne seguì portò altre migliaia di Giudei fuori dai confini della Palestina, che andarono ad aggiungersi a quelli che già si erano stabiliti in quasi tutte le città dell’Impero, in certi casi anche da tempi lontanissimi.
Però la religione giudaica non venne mai proibita o perseguitata in quanto tale: i Romani fecero sempre una netta distinzione fra essa, che godette della più completa libertà di culto, al pari delle religioni politeiste pagane, e gli Ebrei che si ribellavano all’autorità imperiale e che venivano combattuti per quali nemici politici, non quali seguaci del culto di Yahvé. Al contrario, i Romani tennero sempre conto delle speciali norme legate al culto giudaico, compresa la proibizione, per i Giudei, di entrare sotto lo stesso tetto dei pagani incirconcisi: tanto è vero che Ponzio Pilato, quando venne interpellato dal Sinedrio di Gerusalemme affinché giudicasse e condannasse Gesù Cristo, accusato di blasfemia nei confronti della loro religione, dovette uscire dal pretorio e andar loro incontro nel Litostrato, all’aperto, perché essi non volevano entrare sotto il suo tetto, per non contravvenire alla legge mosaica.
Resta, perciò, una domanda scomoda e politicamente scorretta: per quale ragione le autorità romane vollero perseguitare i cristiani con gran dispiego di zelo (e lo fecero anche magistrati notoriamente miti, come Plinio il Giovane: ce ne è rimasta una esemplare testimonianza nel suo epistolario con l’imperatore Traiano), mentre furono così benevoli, o quantomeno tolleranti, nei confronti dei giudei, laddove, dal loro punto di vista, le due fedi religiose dovevano apparire molto simili, tanto più che provenivano dalla stessa regione e che il fondatore del cristianesimo era stato, egli stesso, un giudeo, morto a Gerusalemme durante il regno di Tiberio?
Così Andrea Giardina (in: A. Giardina-B. De Corradi-B. Gregori, «Inchieste sulla storia», Bari, Laterza, 2011, vol. 2, pp. 466-67):
«Perché i cristiani furono perseguitati e gli ebrei no? Rispondere a questa domanda vuol dire entrare nel vivo di un problema cruciale: la convivenza tra gruppi diversi nel mondo romano. Nelle città dell’impero le comunità ebraiche erano spesso giudicate una presenza estranea. Come i cristiani, anche gli ebrei veneravano un solo dio e si rifiutavano di celebrare i culti pagani; anche loro manifestavano disprezzo per alcune forme importanti della vita civica pagana, a cominciare dagli spettacoli; anche loro cercavano di reclutare nuovi adepti. Per giunta alcune usanze ebraiche, come il rifiuto di consumare carne di maiale o la circoncisione, oppure il divieto di raffigurare la divinità in sembianze umane, apparivano assurde ai pagani. Gli ebrei, inoltre, avevano ingaggiato con i Romani ben tre guerre sanguinose, tra il I e il II secolo d. C. Tutto ciò suscitava diffidenze e ostilità. In alcuni autori antichi si trovano espressioni di scherno e di disprezzo per le usanze ebraiche. Non ne fu immune neppure il coltissimo Tacito, uno dei più grandi storici antichi ("Storie", V, 4-5):
"Tra di loro sono empie le cose che presso di noi sono sacre, e viceversa, è lecito quanto da noi è aborrito. Si astengono dalla carne di maiale, a ricordo del flagello, perché un tempo li colpì la lebbra, a cui quel’animale è soggetto. Hanno voluto come giorno di riposo il settimo, perché esso segnò la fine delle loro fatiche; poi, lusingati dalla pigrizia, dedicarono all’ozio un anno ogni sette. Hanno istituito la circoncisione per riconoscersi con questo segno particolare e diverso. Chi adotta i loro costumi segue la medesima pratica e la prima cosa che impara è disprezzare gli dei, rinnegare la patria, spregiare i genitori, i figli, i fratelli."
Talvolta la folla si abbandonava ad atti di violenza nei confronti delle comunità ebraiche. Questa aggressività si spiega anche con motivi sociali: gli ebrei infatti, erano molto attivi economicamente e la loro ricchezza, unita alla loro "estraneità", provocava una diffusa invidia tra i ceti più bassi delle città. Per tutelare l’ordine pubblico, le autorità romane adottarono in diverse occasioni provvedi,menti repressivi nei confronti degli ebrei: divieto del proselitismo e della circoncisione, espulsioni, imposizioni fiscali aggiuntive. I Romani, tuttavia, non intrapresero mai una politica di sistematica persecuzione contro gli ebrei e tanto meno intrapresero pratiche di sterminio come quelle che si sono verificate nell’Europa contemporanea. La repressione delle rivolte giudaiche fu durissima, ma in essa i Rimani agirono esattamente come avrebbero agito nei confronti di altre comunità ribelli. Come si spiega, allora, il fatto che i cristiani furono perseguitati gli ebrei no? Il primo motivo deve essere individuato nella grande antichità della religione giudaica. I Romani, infatti, attribuivano un grande valore alle usanze degli antenati e ritenevano degni di rispetto tutti i culti che si mantenevano fedeli alla tradizione. Mentre gli ebrei erano un modello di attaccamento alla tradizione, i cristiani apparivano come una setta recente, priva di un venerabile passato, che aveva tradito e abbandonato la religione dei padri. Alcuni aspetti, inoltre, rendevano le usanze ebraiche più vicine alle usanze pagane che alle cristiane. Pensiamo ai sacrifici animali; i pagani e gli ebrei li praticavano, i cristiani li giudicavano immondi. Il culto giudaico infine, si svolgeva in edifici (le sinagoghe) ben identificabili, situati spesso nelle zone centrali delle città e aperti ai pagani, mentre i riti cristiani, celebrati tra le mura domestiche, assumevano inevitabilmente un carattere clandestino e misterioso. Gli ebrei avevano inoltre alle spalle una lunga tradizione di deportazioni e di emigrazioni, e nelle varie regioni del Vicino Oriente e del Mediterraneo dove si erano radicati avevano imparato a convivere con i sovrani pagani, ai quali non facevano mancare dichiarazioni di fedeltà e di omaggio (nella sinagoga di Ostia, per fare un solo esempio, si trova un’iscrizione in ci s’invocava la "salvezza" dell’imperatore). […]»
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