
La mentalità primitiva è davvero «indifferente alle cause seconde», come pensava Lévy-Bruhl?
15 Novembre 2015
Il trittico di San Martino a Navolé, preziosa opera di Cima da Conegliano
16 Novembre 2015Moravia non è stato solo un cattivo scrittore, che, a parte il suo primo romanzo, «Gli indifferenti», è poi campato di rendita, per oltre mezzo secolo, scrivendo una quantità di romanzi, uno sempre più brutto dell’altro (la definizione, azzeccatissima, è di Massimo Fini), in una discesa senza fine; è stato, forse, qualcosa di più e di peggio: un’anima persa, che ha infettato l’immaginario dei suoi lettori con una voluttà infernale di profanazione e di abbrutimento, quale mai si è vista nella storia della letteratura, tranne che nel marchese de Sade. Per questo, crediamo, la responsabilità di tutti quei critici letterari — e furono la stragrande maggioranza — i quali non solo non denunciarono la bruttezza e l’oscenità dei suoi romanzi, ma vollero pure trovarvi chi sa mai quali profondi significati di critica sociale (marxista e antiborghese, si capisce: esisteva forse un’altra ricetta, negli anni dai ’60 agli ’80?) e scrissero saggi e biografie apologetici, tentando persino di inserirlo fra i "grandi" delle patrie lettere, nei testi scolastici ad uso dei licei.
A titolo di esempio, riportiamo una pagina, scelta praticamente a caso, tale è l’uniformità dei toni e delle situazioni, de «La vita interiore» (Milano, Bompiani, 1978, pp. 262-265):
«Desideria: Viola [cioè la matrigna di Desideria, la protagonista] voleva che lui [cioè Erostrato, un prostituto che è l’amante sia della madre che della figliastra] la sodomizzasse, era il genere di rapporto sessuale che lei preferiva. In questa posizione, lei non poteva vederlo in faccia. Così, mentre le stava sopra e la penetrava, lui le faceva delle smorfie, le tirava la lingua. Poi si metteva a soffiare e a gemere e a genere benché non provasse praticamente nulla. Alla fine urlava, l’addentava alla nuca, le ficcava le unghie nelle spalle per darle ad intendere che stava avendo l’orgasmo.
Io: Viola gli credeva?
Desideria: Qualche volta sì, qualche volta no. Erostrato mi spiegava, pur sempre con quel suo tono di uomo del mestiere, che Viola era costituita in modo da non provare, davanti, che poco o nulla, e invece, dietro, molto, anzi moltissimo. A questo proposito mi raccontava che qualche volta lui si divertiva a premerle leggermente col dito l’orificio anale; subito se la vedeva cadere tra le braccia, con gli occhi bianchi e revulsi e la bocca semiaperta. Questi particolari gli sembravano curiosi, come dettagli di quella macchina misteriosa che era il corpo femminile che lui conosceva da esperto e nella quale tuttavia gli avveniva continuamente di scoprire aspetti nuovi e imprevisti. A questa straordinaria sensibilità delle parti erotogene posteriori, attribuiva il fatto che Viola, stravolta dal godimento, speso non si accorgeva che lui faceva in modo di non avere l’orgasmo. Ma altre volte, lei si rendeva conto che Erostrato si controllava e si risparmiava e allora erano scene insieme penose e ridicole.
Io: Che specie di scene?
Desideria: Lei gli intimava con durezza che doveva eiacularle dentro, perché quel seme era suo, di sua proprietà e lei l’aveva già pagato in anticipo. Erostrato diceva che quelle scene lo esasperavano, anche perché, alla fine, era costretto a soddisfare le esigenze di Viola pur non avendone alcuna voglia. Erostrato mi ha descritto una di queste scene con un realismo, diciamo così, tecnico, che in lui non pareva accompagnarsi con alcun giudizio morale. Mi ha detto che uno di quei giorni che lui, dopo aver urlato falsamente per il preteso orgasmo, le si era abbattuto tutto sulle spalle fingendosi ansimante ed esausto. Viola, tutti ad un tratto, si era rivoltata di scatto, gli aveva afferrato il pene asciutto e ancora gonfio e rigido, glielo aveva strizzato facendogli notare che non ne usciva neppure una stilla di sperma; quindi, in maniera burlesca ed autoritaria, chiamandolo in inglese "My dar boy" [Viola è americana] e in italiano "carino mio", .o aveva invitato a fare il suo dovere di maschio. Così dicendo, si era gettato di nuovo a bocconi, gli aveva di nuovo offerto le sue perfette, splendide natiche. Allora, mentre sospeso su di lei, si adoperava affannosamente e a freddo per penetrarla di nuovo, Erostrato aveva visto Viola chiudere vogliosamente gli occhi nell’attesa del rinnovato piacere della sodomizzazione; ma al tempo stesso conservare nel volto l’attenzione inorecchita ed ostinata come di chi ascolta un rumore fievole e lontano; e aveva capito che lei voleva essere sicura che non fingesse di nuovo e ottemperasse davvero al suo dovere di prostituto. Alla fine, pieno di rabbia impotente al pensiero che il proprio prezioso seme andava a perdersi nell’ingordo intestino di viola, lui aveva avuto l’orgasmo e aveva visto Viola dipingersi in volto di rasserenata soddisfazione mentre seguiva con pignola ed esperta attenzione il graduale fluire, nel suo retto, del caldo fiotto dell’eiaculazione. Poi, dopo che era uscito da lei, col pene ridotto ad un piccolo cencio di carne fradicia, Erostrato aveva ancora avuto l’umiliazione dell’elogio padronale: "Questa volta è andata bene. Bravo, lo vedi che quando vuoi, lo sai fare benissimo?".
Io: Tu hai detto che le sue confidenze erano ora divertenti ora imbarazzanti. Questa descrizione tecnica del coito appartiene senza dubbio alla categoria delle confidenze divertenti. Parliamo adesso di quelle imbarazzanti.
Desideria: Sì, c’erano anche le confidenze imbarazzanti. Dovute al fatto che, nel candore della sua volgarità, lui credeva in buona fede che fossi così solidale con lui da non provare ripugnanza per certi particolari.
Io: Per esempio?
Desideria: Per esempio, il fatto che Viola, qualche volta, non aveva provveduto a vuotare l’intestino, e così, quando lui si tirava indietro dopo l’orgasmo vero o finto, si ritrovava il pene tutto screziato di gialle macchie escrementizie.»
Potremmo continuare, naturalmente, perché il romanzo va avanti, più o meno in questo modo, per oltre quattrocento pagine: un obbrobrio dietro l’altro (anche se Desideria, nel riferire l’ultima confidenza qui sopra riportata, dice, pudicamente, che quei racconti "le facevano schifo"); ma crediamo che basti e avanzi. Invero, c’è qualcosa di terribile, di disumano, nella fredda, scientifica impassibilità con cui Moravia rovista nelle stanze più brutte dell’anima umana, fra gli impulsi più bestiali, e sguazza con compiacimento stranamente freddo e misurato fra le porcherie più rivoltanti. Egli possiede perfino una sorta di diabolica abilità nel dare al lettore, talvolta, la sensazione di essere lui il pervertito, il guardone, il maiale; mentre l’autore, o i personaggi che parlano attraverso di lui, come, in questo caso, la giovanissima Desideria, conservano una sorta di inverosimile, paradossale "innocenza" anche quando descrivono le proprie aberrazioni, nelle quali hanno toccato il punto più basso di depravazione e di abbrutimento cui possa giungere un essere umano.
Le fantasie sessuali di Moravia – poiché non ci sono, nei suoi libri, e specialmente negli ultimi, altre fantasie che quelle sessuali — sono invariabilmente perverse, sadiche, masochiste, masturbatorie, esibizioniste, omosessuali, anali, animalesche, brutali, coprofaghe e necrofile. In tutte le 400 e più pagine de «La vita interiore», non si parla mai d’altro che di stupri, accoppiamenti d’ogni tipo, fantasie sadiche e necrofile, ma non c’è un solo accoppiamento sessuale "normale": si direbbe che gli organi sessuali, continuamente esibiti, in fondo lo disgustino, specialmente quelli femminili, i quali non vengono mai penetrati, perché le donne di questo romanzo, e anche quelle di molti altri, non sono interessate all’orgasmo vaginale, ma solo a quello anale, oppure al sesso orale, nonché ad ogni genere di masturbazione, a patto che non sfoci in un rapporto sessuale "ordinario". L’impressione è che questo inesauribile pornografo non ami affatto il sesso, anzi lo tema, ne abbia letteralmente il terrore, e si vendichi della propria paura insultandolo, denigrandolo, avvoltolandolo nel fango, coprendolo di scherno e disprezzo. Ma si direbbero lo scherno e il disprezzo dell’impotente o del pervertito, condannato a non poter mai godere delle sane gioie dell’erotismo.
Eppure c’è ancora qualcosa di più, e di peggio: qualcosa di terribile, di inumano, quasi di diabolico. In quella freddezza positivistica, in quella oggettività impassibile, in quel linguaggio tecnico così incredibilmente preciso e raffinato, e nello stesso tempo segretamente complice e ammiccante, non ci sono soltanto l’ostentazione e la profanazione della dimensione sessuale, o il goffo tentativo di mascherare l’intimo disgusto e la tremenda paura che l’autore ne ha: c’è anche una sordida, compiaciuta, trionfante soddisfazione nel suscitare, nel lettore, le pulsioni più basse, e, nello stesso tempo, nel farlo sentire sporco, ipocrita e spregevole; come se gli strizzasse l’occhio e gli sussurrasse: «Va’ là, che siamo fatti della stessa pasta, tu e io; anzi, tu sei peggio di me, perché fingi orrore e fastidio, mentre ti piace un mondo che io ti racconti tutte queste porcherie».
Come il marchese de Sade, Moravia gode particolarmente del sacrilegio sessuale. Desideria, la protagonista de «La vita interiore» (romanzo che si può considerare, in un certo senso, e fin dal titolo, come il suo testamento spirituale: il che è tutto dire), concupita anche dalla matrigna, che vorrebbe portarsela a letto, a un certo punto decide di intraprendere un cammino di "trasgressione e dissacrazione", che coincide, secondo lei, con una presa di coscienza "di classe", identificando nella matrigna l’odiata e viziosa borghesia, meritevole di essere profanata, umiliata e punita (tanto che, verso, la fine del romanzo, Desideria si dà da fare per organizzare il suo rapimento, a scopo di estorsione "politica", fomentando alcuni amanti che si sforza di vedere come agenti rivoluzionari marxisti). Per prima cosa, la ragazza si inginocchia in chiesa, durante la Messa, sotto gli occhi della donna, orina sul banco della preghiera, poi si siede, intinge la punta delle dita nella pozza di orina, e si fa il segno della croce, parodiando l’aspersione con l’acqua benedetta.
Sorge, a questo punto, una domanda. Moravia non è stato solamente un pessimo scrittore, volgare, senza idee, insopportabilmente noioso e sgradevole; è stato anche l’agente di una corruzione sistematica dei lettori, e specialmente dei giovani lettori, il quale, coprendosi con la foglia di fico "rivoluzionaria" e (allora) molto politicamente corretta – perché non c’era asino, calzato e vestito, che non ragliasse le parole d’ordine del marxismo internazionale e che non citasse Mao e Fidel Castro anche nel bel mezzo di una poesia d’amore o di un saggio di filosofia, ha perseguito scientemente, diabolicamente, nel senso letterale del termine, l’insozzamento e la degradazione suprema dell’anima dei suoi lettori. Esattamente la stessa operazione "culturale" che conduceva il suo amico, Pier Paolo Pasolini, nell’ambito cinematografico: a colpi di incesti, stupri (anali, naturalmente), sadismo, necrofilia (ancora!; vedi «Porcile», oppure «Salò o le centoventi giornate di Sodoma», con l’immancabile accoppiata "vincente": perversione/fascismo).
Viene il sospetto, ad esempio, che la "voce" che interpella Desideria, e le fa confessare ad alta voce le azioni e i pensieri più reconditi, senza ombra di ritegno o di pudore, sia qualcosa di molto diverso dal solito Super-Io freudiano: che sia, puramente e semplicemente, il Diavolo. E dunque che Desideria sia, alla lettera, una posseduta, una indemoniata. I demonologi e gli esorcisti riferiscono che uno dei primi effetti della possessione è, insieme all’orrore del sacro, una cupa e disperata tristezza, uno svuotamento e una opacità dell’anima, un eclissarsi di ogni speranza, di ogni pensiero positivo: un morire dell’anima già in vita, passando attraverso un senso intollerabile di angoscia, paura, tormento, giorno e notte, senza tregua, sena pace, mai. (Notiamo per inciso che sono i sintomi che presentano anche altri personaggi della letteratura moderna e "impegnata", specialmente di area esistenzialista: per esempio, il protagonista de «La nausea» di Sartre.) Ebbene: angoscia, tristezza, senso di cupa oppressione, orrore del sacro, scomparsa di ogni senso di bellezza, di armonia, di gioioso stupore di fronte alla vita, sono precisamente i sentimenti che traspaiono dai personaggi di Moravia, e dai quali anche il suo lettore si sente afferrato e risucchiato, mano a mano che procede da una pagina all’altra, da una blasfemia all’altra, da una triste orgia ad un’altra, con piatta monotonia, senza nemmeno un sorriso ironico, senza nulla, assolutamente nulla, che possa attenuare, anche solo minimamente, l’orrore e il degrado ovunque trionfanti.
È così che Dante ha descritto le anime dell’Inferno; e così le descrivono, nelle loro visioni, i grandi mistici, sia medievali che dei nostri giorni. Anime disperate, stravolte da un ghigno mostruoso, atroce, satanicamente intente a dire: «No, no, no», a tutto ciò che è Bene, Giusto e Bello. E dunque: se i romanzi di Moravia sono l’opera di un ossesso, come è potuto accadere che piacessero tanto?
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels