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Lo straordinario ecosistema delle isole Lord Howe, autentico santuario della natura

La piccola isola vulcanica di Lord Howe — probabilmente sconosciuta ai Polinesiani e scoperta nel 1788 dal capitano Henry L. Ball, che la battezzò con il nome dell’ammiraglio britannico Richard Howe – si trova a circa 600 km. a Est dell’Australia, nell’Oceano Pacifico occidentale; misura poco più di 14 kmq. di superficie e tocca un’altitudine massima di 875 m. con la vetta del Monte Glover. Dichiarata dall’U.N.E.S.C.O. patrimonio dell’umanità per via della sua bellezza e della ricchezza delle forme viventi che ospita, ha una popolazione residente di soli 350 abitanti, ai quali si aggiungono i turisti che vengono da tutto i il mondo per ammirarne le meraviglie naturalistiche: per legge il loro numero non può mai superare un limite massimo di 400 persone alla volta. Il conto della popolazione complessiva, perciò, è presto fatto: sull’isola non si trovano mai più di 750 persone contemporaneamente.

Ad essere pignoli, Lord Howe non è un’isola, ma un arcipelago; però l’isola principale occupa quasi tutta la superficie, mentre le isole minori sono poco più che dei semplici scogli (Admiralty Isles, Roach Island), quasi tutti emergenti a Nord e Nord-Est della terra maggiore. Va semmai ricordato un formidabile monte roccioso che si erge ripidissimo dalle acque, simile a una scheggia delle Dolomiti proiettata, per chissà quale magia, nelle vastità smeraldine del Mar di Tasmania: la Ball’s Pyramid, una struttura vulcanica alquanto spettacolare, posta 23 km. a Sud-Est di Lord Howe, ed a proposito della quale vale la pena di spendere qualche parola.

La Piramide di Ball è considerata il faraglione più alto esistente nel mondo intero: sono 562 metri di roccia nuda e verticale, pressoché priva di vegetazione, la cui età è stata calcolata in 7 milioni di anni e che doveva appartenere allo scomparso micro-continente della Zealandia, staccatosi dall’Antartide circa 100 milioni di anni fa e più tardi, fra 80 e 60 milioni di anni, anche dall’Australia: la sua immersione quasi totale ebbe luogo circa 23 milioni di anni fa. La Zealandia si estendeva a Nord (Lord Howe Rise, Norfolk Ridge, New Caledonian Basin e Challenger Plateau) della odierna Nuova Zelanda, che è tutto quanto rimane di esso, vale a dire circa il 7% della sua superficie massima originaria, a Est di essa (Chatham Rise) e a Sud (Campbell Plateau).: un modellino del fondale in rilievo del Pacifico sud-occidentale ne mostra chiaramente i confini, che si estendevano, appunto, da Lord Howe e Norfolk a Nord-Ovest, alle Kermadec a Nord-Est, alle Chatham a Est, fino alle Auckland e all’isola Campbell, a Sud.

Un particolare curioso, degno di un romanzo avventuroso di Salgari o di Verne, è che solo pochissimi esseri umani possono vantarsi di essere giunti in cima al faraglione, la cui scalata presenta difficoltà alpinistiche eccezionali. I primi furono i membri di una squadra guidata da Bryden Allen, nel 1965; nel 1979 fu la volta di Dick Smith, che riuscì a piantarvi la bandiera del Nuovo Galles del Sud. In seguito, però, nel 1982, a causa dei rischi eccessivi legati ad una tale arrampicata, venne varata una apposita legge, che fa espresso divieto a chiunque di tentare la scalata del faraglione. Invece una notizia altrettanto curiosa, ma di carattere più scientifico, e tale da fare la delizia di qualunque naturalista, è che in uno dei pochissimi ciuffi d’erba esistenti sullo scoglio è stato riscoperto un insetto che si riteneva scomparso fin dal 1920, il Dryococelus australis, chiamato comunemente "aragosta di terra" o, ancor più sbrigativamente, "insetto stecco" (che, infatti, somiglia vagamente a un bastoncino irregolare e può essere lungo fino a 15 cm). Un tempo diffuso anche sull’isola Lord Howe, dalla quale è sparito, è stato definito come l’insetto più raro al mondo: sul faraglione di Ball ne era stata scoperta una popolazione d’una trentina d’individui. La sorprendente scoperta ha avuto luogo nel 2001; l’insetto era stato riconosciuto per la prima volta, e classificato, dall’entomologo di origine francese Xavier Montrouzier, nel 1855.

Così descrive questo autentico santuario della natura lo studioso Franz-Iosef Krücker nel bellissimo volume dell’opera «Mirabilia Mundi. Viaggio tra le meraviglie del mondo», dedicato a «Sud-Est asiatico e Oceania» (Stuttgart, Verlagshaus, 1997; traduzione dal tedesco di F. De Feo e altri, Garzanti, Milano, 2000, vol. 6, pp. 228-234):

«La necessità di proteggere lo straordinario ecosistema costituito dalle Lord Howe è stata riconosciuta molto prima, in questo caso, rispetto ad altre isole australiane. Un rappresentante del Servizio dei Parchi nazionali e della vita selvaggia dello Stato federale del Nuovo Galles del Sud è membro permanente del Consiglio superiore di amministrazione delle isole, il quale conta sette rappresentanti e ha il compito della sorveglianza per l’adempimento delle normative di protezione dell’ambiente: non è consentito il possesso di più di un’automobile per famiglia e tutti gli edifici devono avere un solo piano, il che mantiene l’arrivo dei turisti alle Lord Howe entro limiti accettabili. Le isole possono offrire sistemazione a un massimo di 400 persone. Le Lord Howe attirano soprattutto studiosi: nessun altro posto dichiarato patrimonio dell’umanità in terra australiana è oggetto di tanto intense ricerche. Nell’arcipelago si possono trovare 219 specie botaniche, 74 delle quali qui sono endemiche. […]

Ciò che fa diventare le Lord Howe un territorio interessante e attraente per la ricerca sono però le sue 129 specie ornitologiche. La berta del pacifico ("Puffinus pacificus"), di circa cinquanta centimetri, si può trovare in scarso numero anche nell’isola Lady Elliot, un po’ più a settentrione. Ciò nonostante, nelle Lord Howe si giunse a contarne fino a oltre 12.000 coppie. Il loro soprannome è "uccello del dolore" e ciò si deve al loro prolungato e triste richiamo, così come al piumaggio grigio scuro. Molto rare sono oggi le procellarie Kermadec ("Pterodroma neglecta"), di cui in tutta l’Oceania e nel Sud-est asiatico si conosce soltanto una colonia di allevamento nelle Lord Howe. Questa ospita circa 100 esemplari di questo uccello di 24 centimetri, che si reca sulla terraferma soltanto durante il periodo di riproduzione, tra maggio e settembre, per deporre un solo uovo, preferibilmente sulla pendice meridionale del monte Gower oppure sullo scoglio di 552 metri della Ball’s Pyramid. In stretto rapporto di parentela con questo uccello, la sempre poco abbondante "Fregetta grallaria" vola talmente vicino alla superficie marina che sembra correre sull’acqua. È facile da riconoscere grazie al piumaggio bicolore, nero nella zona dorsale e bianco sul ventre. L’uccello terrestre più interessante è il rallo delle isole Lord Howe ("Rallus sylvestris"), che con il suo lungo e affilato becco si aggira per il bosco alla ricerca di cibo. Il suo corpo a forma di palla assomiglia a quello del kiwi neozelandese, e come quello è incapace di volare. Le piume del corpo, marroni con sfumature che vanno dal color terra al bronzo, hanno sulle ali una striscia quasi nera, mentre la testa e il collo presentano una colorazione grigio-azzurrognola. Questa specie di rallo trova il suo ambiente ideale nelle fitte foreste nebbiose, che si sviluppano grazie all’elevato e costante grado di umidità provocato dalla notevole nebulosità e dalle abbondanti precipitazioni che si producono intorno alle cime dei monti Gower e Lidgbird. Nel 1969, la popolazione dei ralli delle isole era drasticamente diminuita: i maiali selvatici avevano razziato le uova e i pulcini dei nidi trovati a fior di terra, riducendo così la specie a 25 esemplari. Ciò nonostante, verso la fine del 1983 lo zoologo Glenn Frazer, del Servizio dei Parchi nazionali e vita selvaggia, riuscì ad allevare 74 pulcini, aumentando così la popolazione nuovamente fino a 300 ralli. Non si è trovata nessuna spiegazione valida del fatto che il marangone minore australiano ("Phalacrocorax melanoleucus") autoctono si trovi in pericolo di estinzione. L’ambiente naturale di questi rumorosi uccelli neri, con puntini bianchi sulle ali e sulla coda, sono in genere le foreste e i prati. […]

Le due scogliere coralline a sud-ovest delle isole, l’Elizabeth e la Middleton, con la bassa marea risaltano di quasi un metro sulla superficie marina. Circondano una piccola laguna nella quale, accanto a grossi molluschi bivalvi, vivono tredici specie di ricci marini e numerose di oloturie, alle quali si devono aggiungere i pesci farfalla (chetodontidi) ed i pesci pappagallo (scaridi). Vive sempre qui anche il merluzzo nero, specie che, dopo il periodo larvale, è prima di sesso maschile e poi di sesso femminile. Gli esemplari adulti possono raggiungere i 50 chilogrammi ed è per questo che divennero una preda molto ambita dai pescatori. Per salvarli dall’estinzione fu necessario dichiararli specie protetta. Mentre la Grande barriera Corallina di fronte alle coste del Queensland è costituita da madrepore, la costruzione della Barriera di Lord Howe si deve principalmente alle alghe rosse calcaree, le quali sono caratterizzate dalla proprietà di assorbire e immagazzinare il carbonato calcico dell’acqua marina. Proliferano nelle acque marine più fredde che, provenienti dal Pacifico meridionale, si mescolano con le calde acque che bagnano l’arcipelago Lord Howe.»

Le autorità australiane, affiancate dagli istituti universitari specializzati e da un’ottima scuola di naturalisti, hanno in parecchie occasioni mostrato di saperci decisamente fare, quanto a interventi mirati per salvaguardare le specie animali e vegetali minacciate dalla presenza umana o dagli animali e dalle piante importati, talvolta anche involontariamente, dagli esseri umani, in tutta una serie di santuari della natura, non solo di carattere insulare.

Più sopra abbiamo ricordato il caso, assai interessante, dell’insetto-stecco (Dryococelus australis): può essere di qualche utilità ricordarne brevemente la storia. Questo insetto dell’ordine dei Fasmidi era un tempo così comune sull’isola Lord Howe, che gli abitanti non si facevano alcuno scrupolo di catturarlo e adoperarlo come esca per la pesca. Ma nel 1918 la nave da carico Makambo si arenò sulla riva dell’isola e una gran quantità di ratti comuni, che ne era gravemente infestata, sciamarono a terra, nuotando o servendosi delle funi, e si sparsero subito per tutta l’isola. Si tratta di una delle specie invasive più dannose al mondo: sta di fatto che nel giro di poco più di un anno l’insetto-stecco scomparve completamente. L’ultimo esemplare fu visto nel 1920; poi, più nulla.

Le cose stavano a questo punto quando, nel 1964, un gruppo di scalatori tentarono di raggiungere la cima della Piramide di Ball. L’impresa non ebbe successo; in compenso, in uno dei rarissimi cespugli esistenti sul roccione (che è completamente privo di vegetazione arborea, e quasi privo anche di vegetazione erbacea e arbustiva), quegli uomini trovarono un esemplare del Dryococelus australis, e sia pure morto. La notizia si sparse e altre spedizioni naturalistiche sbarcarono sul faraglione per cercare il rarissimo animaletto, ma tutto quel che si riuscì a trovare furono alcuni altri esemplari morti. Ormai gli entomologi disperavano che l’insetto-stecco fosse ancora vivo, allorché, nel 2001, si ebbe la felice scoperta di una trentina d’individui, vivi e vegeti, che formavano un’unica colonia all’interno di un cespuglio di Melaleuca, una Mirtacea diffusa tra l’Arcipelago indonesiano, l’Australia e le isole melanesiane, comprese la Nuova Guinea e la Nuova Caledonia. Non si poteva correre il rischio che una popolazione così minuscola si estinguesse; bisognava fare qualcosa per correre ai ripari, prima che fosse troppo tardi. Così, due anni dopo, nel 2003, una apposita missione scientifica tornò sull’isola e catturò, con tutta la prudenza del caso, due individui, destinati l’uno ad un allevamento privato di Sydney, l’altro allo Zoo di Melbourne: ed entrambi si sono riprodotti. Intanto la popolazione isolana era quasi raddoppiata nel giro di soli cinque anni, cosa estremamente promettente e quasi insperata. Ancora due anni, e, dopo la schiusa delle uova, si recensirono ben 450 esemplari vivi, ciò che superava le più rosee speranze. A questo punto i naturalisti australiani stanno seriamente pensando di ripopolare con l’insetto-stecco il suo habitat originario, ossia l’isola di Lord Howe, beninteso dopo aver eliminato la popolazione di ratti comuni che ancora scorrazza liberamente dopo l’invasione del 1918. Un certo numero d’insetti sono già stati portati a Lord Howe: staremo a vedere come procederà la cosa, e se davvero il ratto comune verrà sterminato, il che sembra esserne una pre-condizione indispensabile.

E, a proposito di specie in pericolo d’estinzione, che dire del rallo di Lord Howe (Rallus sylvestris), che nel 1969 era sceso a soli 25 esemplari, ma che, nel giro di poco più d’un decennio, è sfuggito al suo tragico destino, grazie al pronto intervento di alcuni esperti naturalisti? Oppure che dire del merluzzo nero, che, prima di diventare adulto e raggiungere il rispettabilissimo peso di mezzo quintale, passa dal sesso maschile a quello femminile, autentica — e sconcertante – meraviglia della natura? Anch’essi vennero salvati dall’estinzione in maniera fortunosa, quasi all’ultimo momento…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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