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Maria am Gestade Kirche, gioiello del gotico viennese che solo pochi conoscono

Ogni città ed ogni capitale hanno i loro angoli nascosti, sconosciuti non solo ai turisti, ma anche, almeno in parte, agli stessi abitanti degli altri quartieri; angoli nascosti i quali, talvolta, racchiudono degli autentici scrigni di bellezza architettonica, pronti ad offrire i loro inestimabili tesori, le loro perle e le loro gemme splendenti, a quei pochi intenditori che non sono soliti intrupparsi nella folla, che disdegnano le arterie rumorose e trafficate, che si disinteressano delle vetrine dei locali alla moda nel centro storico, e che non temono di affidarsi a una lunga camminata pur di godere, in tutta tranquillità, delle profonde e indescrivibili gioie spirituali che quei tesori comunicano a chi le sa apprezzare.

Si dice che Fëdor Dostoevskij fosse disposto a camminare per ore ed ore, pur di giungere, nel momento esatto del tramonto, in un certo viale della periferia pietroburghese, dove le finestre al piano superiore di un lungo edificio s’illuminavano contemporaneamente, come al tocco di una invisibile bacchetta magica, allorché i raggi corruschi dell’astro declinante si posavano su di esse e le incendiavano, avvolgendole in una esplosione di luce che trasfigurava l’intero paesaggio. Siamo certi che il grande scrittore russo, in quei momenti preziosi e irripetibili, non era più un qualsiasi passante della grande città, un membro anonimo di una anonima folla, ma che quella visione sublime lo trasportava altrove, in una dimensione fuori del tempo e al di sopra dello spazio, fatta di pura luce e di sovrumano silenzio, dive l’anima giunge, d’un balzo, quasi fino ai piedi del trono di Dio e rimane folgorata, trapassata e, a sua volta, incendiata, dall’emozione indescrivibile della bellezza: perché la Bellezza è una delle facce dell’Assoluto, che si staglia ad altezze imperscrutabili, ma che lascia piovere quaggiù, nella dimensione terrena, qualche pallido riflesso della sua possanza incomparabile, riempiendo di gioia e di amore il cuore degli esseri umani.

Ebbene: uno di quegli angolini nascosti, uno di quegli scrigni di bellezze artistiche, è rappresentato, a Vienna, dalla Chiesa di Maria am Gestade (cioè: "Santa Maria sulla riva"): una delle più antiche chiese della capitale austriaca e uno dei rari esempi di architettura gotica sopravvissuti allo scorrere dei secoli e alle vicende storiche che si sono accavallate, modificando lentamente, ma radicalmente, l’insieme del paesaggio urbano. Si trova presso il Donaukanal, il canale del Danubio, precisamente al numero 12 della Salvatorgasse, che si trova nella Innere Stadt, ossia nella Città interna, il primitivo centro storico viennese, che corrisponde, amministrativamente, al primo distretto della città danubiana (i distretti, in totale, sono più di venti: 23, per l’esattezza).

Si trova in posizione prospettica, al sommo di una scalinata, fiancheggiata da due ali di edifici moderni alquanto anonimi, che, con la loro presenza incombente, sottolineano l’incongruenza, e quasi il miracolo, di una chiesa gotica in stile originale, sopravvissuta per la bellezza di seicento anni (l’edificio attuale, sorto su di uno più antico, fu costruito fra il 1394 e il 1414) e giunta fino a noi nella sua pura veste medievale, mentre ogni cosa e ogni palazzo, tutto all’intorno, cedeva all’incalzare del tempo e veniva incessantemente abbattuto, ricostruito, poi ancora demolito e riedificato, chissà quante volte. Essa rappresenta un pezzo di storia, un pezzo di Medioevo, in mezzo alla modernità: testimonianza solenne, intrepida, commovente.

Lasciamo che Louis Barcata ci conduca a visitare questo gioiello architettonico, poco conosciuto a molti degli stessi viennesi, dalle pagine della sua monografia «Qui Vienna» (Milano, Touring Club Italiano, 1972, pp. 14-15):

«Chi visita la capitale austriaca deve sempre tener presente che per i viennesi Vienna è essenzialmente una città barocca. E il gotico? Certo, il maestoso S. Stefano, simbolo di Vienna, è il suo più prezioso gioiello e la romantica Maria am Gestade (S. Maria sulla riva) una delle chiese viennesi più poetiche e segrete. Non tutti i viennesi sapranno indicarvi la strada per arrivarci. Chiamata popolarmente Maria Stiegen, in origine era una cappellina di legno, oggi è per i visitatori uno dei siti segreti della città, un po’ come la Scala Minelli di Venezia che si trova a fatica anche con l’aiuto della gente del posto. La cappella l’avevano costruita i barcaioli che attraccavano qui, sulla riva del Danubio: Il paesaggio nel frattempo è mutato; del fiume non c’è più traccia, sparito alcuni chilometri più in là. La chiesa si trova oggi nel cuore della Vienna antica e il corso d’acqua che le è più vicino è il Donaukanal. Anche questo ha la sua storia: l’idea di costruirlo risale ai tempi della scoperta dell’America: fu Ferdinando di Hoyos a proporre nel 1498 l’apertura di un "canale viennese" che portasse un ramo del Danubio fin sotto le mura della città. Il canale, lungo circa 5 km. dalla sua deviazione presso Nussdorf fino a Schwedenbrücken — presso Maria am Gestade — è navigabile e sulle sue rive si levano oggi i più moderni edifici della città, che le danno un aspetto grandioso e cosmopolita come glielo dava una volta il Ring.

La chiesetta tardo-romanica di Maria am Gestade fu distrutta da incendio nel 1258 ma venne quasi subito ricostruita e superò negli anni seguenti parecchie traversie: si trattava di un sito predestinato, un sito ove la gente voleva e doveva avere un tempo malgrado ciò che il destino, la guerra e gli incendi riservano alle costruzioni. Nel 1357 la chiesa passò ai vescovi di Passau in Baviera – i problemi di nazionalità allora non esistevano — e il vescovado trasferì qui la sede del tribunale diocesano. La chiesa attuale risale alla seconda metà di quel secolo; ebbe pochi danni durante l’assedio dei turchi, poi, minacciata di rovina, fu chiusa nel 1786; anzi fu deciso addirittura di demolirla, ma non si riuscì a trovare una persona che accettasse tale incarico in considerazione dei costi che avrebbe comportato il semplice sgombero dei materiali. Fu una fortuna perché l’edificio venne così risparmiato, anche se al tempo della conquista napoleonica la chiesa fu adibita a magazzino militare, ebbe gli altari devastati e le pietre tombali divelte; le meravigliose vetrate a colori erano state tempestivamente messe al sicuro nel castello di Laxenburg. Spettò all’imperatore Francesco I far restaurare la chiesa fra il 1817 e il 1824. Passata ai redentorista fu poi dichiarata chiesa nazionale ceca.

I turisti in visita alla Vienna d’oggi non devono dimenticare che, ancora nel primo dopoguerra, interi quartieri viennesi parlavano soltanto ceco e avevano perfino le insegne dei negozi in ceco oltre naturalmente a scuole elementari articolari e a propri rappresentanti in Consiglio Comunale. Tutto questo ebbe termine quando la Cecoslovacchia, diventata uno stato politicamente ed economicamente importante, tolse a Vienna ogni motivo d’attrazione e ai cechi la voglia d’emigrare. Son rimaste tuttavia nel linguaggio di molti viennesi, una inflessione particolare che viene sfruttata per numerose storielle e l’abitudine in molte famiglie di parlare ceco in casa. Ed è rimasta Maria am Gestade come chiesa nazionale ceca. Nell’ultimo secolo altri guai capitarono a Maria Stiegen: nel 1848 i redentoristi furono cacciati da Vienna in seguito ai moti liberali e nel 1945, durante la battaglia tra russi e tedeschi, la chiesa subì dei danni. Restaurata a varie riprese, nel 1890-94 e nel 1930-31, ha riavuto da Laxenburg le preziose vetrate originarie trecentesche, vere gemme dell’arte vetraria austriaca.

La storia di Maria am Gestade, varia e tempestosa, rispecchia appena una parte della storia della città, ma è la sola parte che i viennesi credono e ammettono di conoscere. Vienna invece è molto più antica: le sue origini si perdono nell’oscurità dei tempi. È vero quanto scrive in proposito uno ei migliori conoscitori di Vienna, il conte Erik von Wickenburg: "Chi visita oggi la città, ancora bella sotto il peso dei secoli, a stento può immaginare che l’antichissima Vienna è sorta su un colle alto sulle acque del Danubio". Ciò che sorprende subito il turista d’oggi è il fatto che Vienna non sta sul Danubio, nel modo beninteso di come Roma sta sul Tevere o Parigi sulla Senna o come Budapest, dove le passeggiate più belle si snodano lungo il fiume attorno al quale si serra la città. A Vienna il Danubio corre lontano. La città, che nella fantasia dei suoi ammiratori stranieri è strettamente legata all’immagine del Danubio blu, è lontana dal gran fiume, protagonista di indimenticabili motivi e melodie dei musicisti del secolo scorso: un secolo romantico e quindi poco attento alla realtà e alla verità. Ma una volta le cose erano diverse e il Danubio formava in questa zona un delta interno: era ancora un fiume impetuoso intorno alla barriera del Leopoldsberg, poi si divideva in molti rami tranquilli che riflettevano il blu del cielo. Tutt’intorno si stendevano i boschi; a meridione mormorava un fiumiciattolo, che in seguito ebbe il nome di Wien.»

Perdoniamo all’autore la svista finale di aver allineato, come fossero sinonimi, i concetti di "realtà" e "verità", dovuta forse alla fretta; certo è che nel caso di Vienna, come in ogni altro caso, bisogna ammettere che una determinata sensibilità artistica — e non solo quella romantica, anche se tale è l’idea oggi dominante — si forgia una propria concezione di quella che è la "verità", senza per questo perdere di vista la "realtà", ma semplicemente interpretando quest’ultima secondo le coordinate della sua specifica inclinazione intellettuale e spirituale. Nel caso specifico, poco importa che il Danubio non scorra nel cuore di Vienna — e nemmeno, se è per questo, che le sue acque non siano, né siano mai state, "blu": conta il fatto che i Viennesi lo sentano come il "loro" fiume e, in seconda istanza, che anche i turisti leghino indissolubilmente, nella loro idea di Vienna, la città con il fiume più lungo d’Europa (senza contare il Volga, che ne segna però il confine sud-orientale). Questo è tutto — e, francamente, a noi sembra che sia abbastanza, con buona pace degli eruditi, dei pignoli e di tutti coloro i quali, in omaggio alla vulgata neopositivista ovunque imperante, vorrebbero identificare la "realtà", puramente e semplicemente, con l’oggettività scientifica.

Naturalmente, per cercare di comprendere l’anima di un certo luogo, bisogna anche possedere una immaginazione abbastanza sviluppata da intuire come esso doveva presentarsi all’epoca in cui un determinato edificio è stato costruito e quando, dentro e intorno ad esso, la vita ferveva in forme diverse da quelle che ha preso ai nostri tempi: bisogna immedesimarsi e lasciarsi trasportare in una sorta di viaggio interiore, che le conoscenze storiche su quel luogo possono favorire, ma che, di per sé, non sono sufficienti a rendere realizzabile (cfr. il nostro precedente articolo: «Dove va a finire l’anima dei luoghi?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 29/12/2013 e ripubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 12/08/2014).

Come doveva apparire Vienna, come doveva apparire quel particolare angolo di Vienna, quando il corso del Danubio era diverso dall’attuale, e le sue rive, per un ampio tratto, erano accompagnate da colline ammantate di verdi boschi silenziosi? Certo, doveva presentarsi molto diversamente da oggi; nondimeno, quando si varca la soglia della Chiesa di Maria am Gestade, e, nello spazio interno, relativamente piccolo, ci si lascia afferrare dalla magia degli alti finestroni gotici, della verticalità dell’unica navata, del biancore delle ampie superfici parietali, dell’eleganza delle numerose sculture, della meravigliosa bellezza dell’organo barocco, ecco che d’un tratto le distanze temporali si annullano e si coglie l’essenza di quel luogo, la sua anima segreta, tenuta viva da generazioni e generazioni di fedeli che qui hanno sofferto, pregato, sperato, che qui sono stati battezzati e hanno celebrato matrimoni, che qui hanno ascoltato, dal pulpito, la parola di Dio per bocca d’innumerevoli predicatori, e che qui hanno rinnovato il sacrificio dell’Eucarestia.

Un luogo sacro non ha la stessa qualità di un luogo profano: le cerimonie religiose che vi sono state celebrate; l’anima delle persone che vi hanno pregato, creando una prodigiosa solidarietà fra i vivi e i defunti; la dimensione del soprannaturale che in essi si è dispiegata, facendo piovere sulla terra una scintilla della luce divina, tutto questo ha impresso in quel luogo, in quell’edificio sacro, un sigillo incancellabile, un’aura santa che si conserva attraverso i secoli e che scavalca perfino i millenni. Pregare e raccogliersi spiritualmente entro di esso, perciò, non è un’azione isolata, del singolo individuo: è come unire una nota ad un concerto ampio e meraviglioso, che vibra silenziosamente fra le arcate e che si spande, in benefiche ondate, unendo il passato ed il presente, e collegando il presente col futuro. Quegli architetti, quegli scultori, muratori, scalpellini e mastri vetrai che eressero la chiesa antica, quei preti e quei fedeli che vi si raccolsero, sono uniti a noi non soltanto in senso ideale, ma proprio in senso esplicito, e noi ad essi, tutti abbracciati dalla Grazia che scende dall’alto e che ritorna in alto, recando, purificata e trasfigurata, la nostra offerta d’amore.

Fonte dell'immagine in evidenza:

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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