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Come la cultura femminista ha introdotto ovunque la velenosa cultura del sospetto

Aver preso sul serio, anche solo per un attimo, anche solo in via d’ipotesi, gli assunti della cultura femminista, delle sue rivendicazioni; aver lasciato salire in cattedra sedicenti "intellettuali" femministe, averle non solo ascoltate, ma applaudite; aver permesso che quella pochezza intellettuale e tutto quel rancore sociale galoppassero liberamente, con il volonteroso sostegno dei maschietti debitamente progressisti e "progrediti": tutto ciò suona come una condanna senza appello del clima culturale che si respirava, nel nostro Paese e nel mondo intero, negli anni Sessanta e Settanta. Un mondo, peraltro, ancora dominato dalla folle attesa della palingenesi marxista, e nel quale perfino gran parte del mondo cattolico, compresi preti ed eminenti porporati, faceva a gara nel corteggiare il Sol dell’Avvenire; nel quale i profeti dell’Apocalisse proletaria tuonavano, ammirati e corteggiato, dalle loro cattedre universitarie e dalle colonne della grande stampa: e con ciò crediamo che sia detto tutto, riguardo alla depressione dell’intelligenza e alla dittatura del conformismo che imperversavano trionfanti e, apparentemente, irresistibili, a nostra perenne vergogna.

In quegli anni è stata seminata una messe abbondantissima di invidia, di rancore, di stupidità, di ubriacatura anarcoide, frutto di decenni e secoli di predicazione del verbo liberal-radicale basato sulla incessante rivendicazione di sempre nuovi diritti, diritti per tutti, senza risparmio, senza corrispettivi doveri, diritti per i meritevoli e per gl’immeritevoli, per gli onesti e i disonesti, per gli stupidi e gli intelligenti: diritti a tutto campo, specialmente per le minoranze, fino al punto di conculcare i diritti della maggioranza, fino al punto di imporre il dominio e il ricatto permanente delle minoranze — non importa se faziose, arroganti o magari perfino devianti — sul corpo sano della società, al preciso scopo di destabilizzarla, infiacchirla, confonderla, farla smarrire e condurla a non credere più in se stessa. Tribuni improvvisati e furbi intellettuali carrieristi, utili imbecilli e ingenui mestatori, in tanti, in troppi hanno sguazzato in quel clima, in quegli slogan, in quelle facili promesse, in quelle rivendicazioni deliranti.

La cultura è stata usata, prostituita, banalizzata, svuotata di ogni serietà, di ogni concreto contenuto: a partire da quegli anni, è nata una giustificata diffidenza verso chi dice di far "cultura",e si è finito per gettare il bambino insieme ai pannolini sporchi, si è finito per non credere più a niente e a nessuno — esattamente quello che i cavalieri della distruzione si proponevano di fare, con il sostegno occulto di sinistre centrali del potere finanziario e mediatico, seguendo un copione prestabilito il cui obiettivo ultimo è la dissoluzione di ogni vincolo sociale, di ogni certezza morale, di ogni senso di collaborazione e di solidarietà autentica — perché la cultura dei diritti indiscriminati, slegati dai doveri e dal rispetto dell’altro, porta inevitabilmente allo scontro degli egoismi di ciascuno contro tutti, al caos, alla pazzia, all’auto-distruzione eretta a sistema. E di questo disegno, la cultura femminista è stata parte essenziale; le sue sedicenti "maestre", le scrupolose attiviste; le sue tesi aberranti, le teste d’ariete per abbattere le mura della cittadella e farvi penetrare il morbo d’un male devastante, tanto più difficile da contrastare quanto più ammantato di apparenti buone intenzioni e di richieste apparentemente ragionevoli e perfino sacrosante.

Tutto venne messo sotto processo: il linguaggio, per esempio. Si osservi come la scrittrice Armanda Guiducci — un nome che andava per la maggiore — riesce a predicare il valore liberatorio della masturbazione partendo da una critica "di genere" alle astuzie maschiliste del linguaggio, nel suo libro "cult" «La mela e il serpente» (Milano, Rizzoli, 1974, pp. 80-82):

«Gli adulti hanno, dalla loro parte, un potere: il diritto di prelazione sul linguaggio. Essi lo manovrano e lo somministrano, nominando e non nominando, affermando ed escludendo. Essi pongono dei tabù sul linguaggio. […] Se, attraverso gli eufemismi, il corpo del bambino viene diminuito, attraverso i tabù della parola gli adulti esercitano su di lui — ma, in particolar modo, su LEI — una regolare e cosciente azione di repressione linguistica che coincide con una repressione o eliminazione di realtà. Così si impone silenziosamente all’io del bambino una disposizione all’auto-censura. Raccontavo di quei giochi — nel mondo sotterraneo. Sì, quel gioco era un puro, allegro eufemismo. Era "il gioco del dottore". Nessuno di quei bambini conosceva, in effetti, quale tipo d’esperienza il gioco suscitasse: la realtà di quell’esperienza gli era stata negata tutt’uno col nome che la designava e la faceva essere. Io, per esempio, non conobbi mai la parola "masturbazione". Mi raggiunse solo in età incredibilmente tarda, come la rivelazione di un’esperienza che non mi riguardava. Perciò tendo oggi a negare di avervi mai partecipato. Perciò SUBITO mi è accaduto di mentire, poco fa. Mi sono scansata e, proclamando in fretta la mia innocenza, mi sono messa in un angolo come una spettatrice. Metastasi delle esperienze innominate dell’infanzia, quale autocensura deve essersi radicata nella mia mente, senza che me ne rendessi conto, in tutti questi anni. Ora provo pena: l’infanzia è una fabbrica d’innocenza, una fabbrica di verginità. Ripenso il silenzio dei "grandi" — l’improvviso misterioso arrestarsi delle loro labbra. Ora conosco il mistero. Quel silenzio covava le parole-tabù, le soppressioni di realtà. Eppure che cosa fu questo seme gettato allora nel solco della mia perplessità, rispetto alla sua crescita inavvertibile? Mi rendo conto che la mia educazione, come l’educazione di ogni altra bambina, è stata ed è una educazione a una perfetta ipocrisia. Giacché adesso io sono donna e nella maturità e, per quanto abbia lottato per capire, mi ritrovo dentro questa erbaccia — o questa muffa. La mia educazione è stata, come quella di ogni altra bambina, un’educazione a una "corretta passività". Di più: io, come, ritengo, ogni altra bambina, sono stata educata in modo che continuassi da sola la mia propria repressione. La mia storia "segreta", la mia formazione di donna: quante volte non inciampo nella mitologia, nell’auto-mistificazione? Sì, fui modellata come un angelo. A tre anni mi furono appiccicate ali di cartone. Ma, nonostante gli strappi le rabbie le rivolte, queste ali fasulle mi devono esser rimaste grottescamente appiccicate sulla schiena tutti questi anni — un gigantesco pesce d’aprile. Anche gli uomini che mi hanno amata hanno collaborato alla mia angelicazione. Ma è un altro capitolo.

Quell’educazione all’ipocrisia, dunque, è attecchita perfettamente. Io stessa ho continuato, da sola, a reprimermi, autocensurarmi. E per quanto, con la coscienza, abbia sempre provato una franca simpatia per il saltellante demonio, io pirata squarciamari, il Corsaro Nero, il ragazzo ribelle e fuggitivo, il burattino sregolato, il rompiscatole e l’imbroglione, mi sono rappresentata me stessa (nel profondo, dico, con la proterva tenacia del sentimento inconscio) come un bell’angelo puro e frastagliato. Ora invece confesso. Strappo il bavaglio e ricordo. Mi sono masturbata anch’io, senza mani, incidentalmente e mentalmente. Ho provato strane sensazioni andando in automobile. Rannicchiata sul sedile posteriore, il movimento della vescica colma premeva in cerchi di delizioso piacere. Quest’esperienza senza nome, esistita e non esistita, l’avevo cancellata. Adesso, la chiamo francamente, col Dottor Groddeck, masturbazione incidentale. Alcuni mesi fa, durante un lungo viaggio, ho riprovato, donna fatta, quel piacere — che, pur in analoghe circostanze, non s’era mai più ripresentato dagli anni della mia infanzia. Questa volta, sono arrivata a un orgasmo pieno, totale.

Quest’altro, invece, è un ricordo nitido. Non si è mai cancellato (forse perché fa parte di una fantasia deliberata). Avevo sei anni. Venivo messa a letto in un buco di stanzetta — interna, priva di finestre, il letto addossato a un angolo oscuro come un crepaccio. Impiegavo molto tempo ad addormentarmi, giacché mi impegnavo in incredibili fantasie di dormiveglia. Oggi, queste fantasie passive e masochistiche mi ricordano l’"Histoire d’O". Io ero una piccola O, schiava favolosa di un principe o di un sultano. Egli mi amava follemente. Mi faceva suggellare come sua. Io ignoravo ogni cosa, allora, della vita sessuale — perfino che esistesse. Bambina di città, non ho mai visto neppure due cani fare all’amore. Eppure — era il leit-motiv di quella fantasia — venivo suggellata regolarmente con un tappo di sughero. Questo tappo di sughero fu il costante protagonista di questa fantasia costante. Ogni volta che la situazione da Mille e una Notte precipitava su questo oggetto casalingo, provavo sensazioni di piacere. Era masturbazione mentale? O era già prefigurazione fantastica (nell’ignoranza più assoluta) dell’atto sessuale? Che cosa ne direbbe Patrick Troll, alias Dottor Groddeck?»

Riassumendo. I "grandi" formano una setta silenziosa e criminale, avente lo scopo di manipolare, attraverso il linguaggio — sia con le parole che dicono, sia con quelle che tacciono -, la spontanea innocenza dei bambini, ma soprattutto delle bambine, per imprimere in loro il marchio del potere maschilista e farne delle schiave non solo sottomesse, ma acquiescenti e volonterose, rendendole nemiche di se stesse, reprimendo i loro istinti e la loro curiosità sessuale, imponendo loro il ruolo di donne.-angelo, al solo scopo di poterle manipolare meglio, per tutto il corso della loro vita.

Di questa congiura mondiale, mostruosa, diabolica, i genitori sono i primi e fondamentali agenti. Se, per esempio, una mamma esita a pronunciare una parola, sopraffatta dall’imbarazzo, davanti ai bambini; o se, magari, trovando la figlioletta che mi masturba, non si affretta a complimentarsi con lei per la precoce scoperta ella vita sessuale, non chiama con il suo nome quell’atto, non ne parla con la stessa disinvoltura con cui parlerebbe della pastasciutta che ha appena scodellato, o della pagella scolastica che dovrà arrivare a giorni, allora si può essere ben certi che quella mamma altro non è che una diligente collaboratrice di quel perverso disegno di repressione e di sottomissione, un agente del Male, dell’Ancien régime, della più torbida reazione. Del resto, che cosa ci si potrà mai aspettare da una madre così snaturata, così crudele, da mettere sua figlia a dormire in una stanzetta minuscola, con una parete che pare un buio crepaccio?

Eh, poveri bambini dell’era antecedente la Gloriosa Rivoluzione Sessuale: quante ne hanno dovute subire! Quanta incomprensione, quanta ignoranza, quanta cattiveria, e proprio da coloro che avrebbero dovuto crescerli felicemente, gioiosamente e consapevolmente. Invece di spiegare ai loro pargoletti il valore catartico di una frequente e vigorosa masturbazione — come, del resto, incominciavano ad insegnare illustri pedagogisti e fior fiore di educatori progressisti -, li tenevano odiosamente all’oscuro di tutto; tacevano, perfidamente, le parole-chiave, le parole da cui sarebbe venuta loro l’illuminazione e, con ciò, la salvezza; li condannavano, insomma, ad una vita misera e spoglia, complessata, infelice, totalmente fallimentare. Oh, può darsi che qualcuno di quei genitori, di quegli adulti, non forse proprio così cattivo; forse erano, anch’essi, le vittime di una feroce, rabbiosa contro-educazione pilotata dall’alto; forse non avevano avuto la gioia e la consolazione di leggere le teorie del dottor Freud e del dottor Groddeck; forse erano anch’essi dei dinosauri di un passato tenebroso, ma fortunatamente in via di estinzione: relitti e testimoni di una società cupa e sospettosa, che vedeva il Male ovunque e che sapeva solo imporre tirannici tabù, allo scopo d’inculcare e di trasmettere ingiustificati sensi di colpa. Delle vittime, dunque, a loro volta: delle vittime, però, che avevano fatto il gioco del nemico, con una sollecitudine, con una dedizione a dir poco sospette. Nel dubbio, meglio mettere anch’essi nel gran fascio dei Nemici.

Impossibile suggerire a quelle donne che, dopotutto, le loro fantasie sadomasochiste, infantili o adulte, potrebbero anche non avere origine, come esse fermamente credono, da un inenarrabile processo di repressione e di rimozione indotta, ma essere il frutto naturale dell’identità sessuale femminile; e, più in generale, che, forse, se le donne cercano nell’uomo una figura forte e dominante, ciò dipende appunto da un istinto perfettamente naturale. Ancora più arduo, o impossibile, dir loro che quel senso di mistero, con cui i "grandi" parlano, o anche non parlano, delle cose del sesso con i bambini, potrebbe nascere non da un ipocrita imbarazzo o, addirittura, da un perfido disegno di manipolazione mentale, ma dalla giusta intuizione che vi sono cose che il bambino deve essere accompagnato a scoprire un poco alla volta, con molta delicatezza e una certa cautela, perché non tutto, nella vita, può essere ridotto alla misura di una pedagogia cruda e banale, come quella che induce oggi, in molte scuole d’Europa, a far lezione di sesso con organi genitali di plastica, riducendo il tutto a una pura meccanica, in cui ciò che più conta è sapersi infilare il preservativo nella maniera giusta… Esiste una poesia del sesso che il femminismo non capirà e non ammetterà mai. Basta vedere il rancore che la Guiducci dichiara per gli uomini che l’hanno amata…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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