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L’adorazione della tecnica tradisce il carattere necrofilo della civiltà moderna

Il primo a svolgere la riflessione, o quanto meno uno dei primi, è stato Lewis Mumford, con il suo «The Myth of the Machine: Techniques in Human Development», del 1969; nel quale, peraltro, sviluppava un concetto già presente nella sua opera precedente, «The City in History», del 1961: un’opera che pone l’urbanista e sociologo americano f, di diritto, fra i maggiori pensatori del Novecento.

Si tratta di questo: esiste un nesso fra tecnologia e necrofilia; un nesso non casuale, né superficiale, ma profondo ed essenziale: più precisamente, esiste un nesso fra gli adoratori della tecnologia, fra i cultori del mito della macchina, e quello che Erich Fromm chiama l’orientamento necrofilo di individui e società, contrapposto all’orientamento biofilo: laddove il primo è attratto dalla morte, il secondo ama e promuove istintivamente la vita, in tutte le sue forme.

La civiltà moderna, basata sullo sviluppo tecnico e, dunque, sul mito del progresso e della macchina, tradisce il la sua profonda tendenza necrofila non solo con le opere di guerra, ad esempio con la ricerca nucleare finalizzata alla creazione di ordigni, ma anche con i comportamenti, i pensieri, le parole, i riti e le abitudini della vita quotidiana, in particolare sotto la spinta del fattore pubblicitario e, dunque, nelle manifestazioni del consumismo.

Necrofilo non è il fatto di servirsi, per necessità, o talvolta per piacere, di una automobile, invece di andare a piedi o in bicicletta, o servirsi dei mezzi pubblici; necrofilo è il tipo di attrazione che taluni individui — troppi individui, in verità — provano nei confronti dell’automobile, che diviene, per essi, un chiaro surrogato dell’oggetto sessuale. È necrofilo perché si tratta di una cosa inerte, di un insieme di lamiere e altri materiali, e inoltre perché egli, volendo dominarlo completamente, ne è, di fatto, dominato: di conseguenza, si può dire che tali persone trasferiscono su un oggetto tecnologico, come l’automobile, la loro attrazione sessuale inconscia verso ciò che è perivo di vita e che si può comandare a piacere, salvo, a un certo punto, esserne catturati e soggiogati: esattamente come il necrofilo vero e proprio, in senso sessuale, è colui che prova un irresistibile desiderio nei confronti dei un corpo senza vita e che vorrebbe possederlo, violentarlo, così come si dice che Achille abbia fatto con la sconfitta regina delle amazzoni, Pentesilea.

È stato detto che anche il bisogno esagerato di ordine tradisce una spinta di carattere necrofilo: ma si tratta di un’affermazione non vera, figlia di una certa cultura della contestazione degli anni Sessanta del secolo scorso. Premesso che ogni bisogno esagerato, cioè compulsivo, sta ad indicare una perdita di equilibrio e di armonia, la ricerca dell’ordine, di per sé, non esprime affatto un bisogno patologico: l’ordine è anzi, in se stesso, un fattore altamente positivo, oltre che necessario, che accompagna la vita, la protegge, la espande. L’ordine è il principio che si oppone al disordine, e il disordine non è sinonimo di vita, come affettavano di credere certi sedicenti maestri della "beat generation", così come l’ordine non è sinonimo di morte. Non è vero che la vita è disordinata, anche se i processi vitali richiedono un grado crescente di entropia, vale a dire di scomposizione di energia ordinata in energia disordinata; ma tali processi, se introducono uno squilibrio nel sistema (cioè nella biosfera), creano un ordine sempre più perfetto a livello dell’individuo. Ora, quel gradi di ordine che l’ambiente "cede" al singolo, ritorna poi all’ambiente sotto forma di quel che singolo opera a favore non solamente di se stesso, ma anche del sistema di cui fa parte: da ultimo, mettendo a disposizione dell’ambiente il proprio corpo, destinato alla dissoluzione.

La società in cui viviamo, pertanto, ha bisogno — a partire dalla società fondamentale, che è la famiglia — di un ordine più alto di quello esistente in natura; un ordine non solo di tipo chimico e biologico, ma anche di tipo morale: ha bisogno, in altre parole, di individui che amino intensamente la vita, sia la propria che quella altrui, nessuno escluso (e non solo quella dei propri simili, ma anche delle creature viventi non umane).

Noi abbiamo bisogno di individui che, fin da piccoli, siano incoraggiati ad amare la vita, in tutte le sue forme e manifestazioni, e non a corteggiare la morte: di bambini, ad esempio, che siano incoraggiati ad esprimere il loro amore per gli animali osservandoli, se possibile, vivi e liberi nel loro ambiente, invece di estraniarsi dalla vita vera per inseguire la vita fittizia della realtà virtuale, fatta di computer, giochi informatici, libri elettronici e così via. Deve essere portato loro ad esempio un uomo come San Francesco, che sapeva parlare e farsi ascoltare dagli animali, e non come Galilei, pioniere della vivisezione degli animali e accanito propugnatore della sezione dei cadaveri umani. Dovremmo preoccuparci ogni qualvolta vediamo un bambino maltrattare e torturare un animale, o anche spezzare inutilmente i rami di un albero o strappare i fiori di un prato, e sia pure, magari, attraverso dei giochi elettronici; e incoraggiarlo, viceversa, a prendersi cura di una piantina da crescere in vaso, di un animale da appartamento da accudire, di un fratellino o una sorellina più piccoli da assistere, aiutare e sui quali vegliare costantemente.

Ci piace riportare una pagina famosa di Erich Fromm dedicata proprio a questo aspetto della civiltà moderna (da: E. Fromm, «Anatomia della distruttività umana»; titolo originale: «The Anatomy of Human Destructiveness», 1973; traduzione dall’inglese di Silvia Stefani, Milano, Mondadori, 1973, pp.428-10, 437):

«Cominciamo a esaminare le caratteristiche più semplici e ovvie dell’uomo industriale contemporaneo: come venga soffocato il suo vivo interesse per la gente, la natura, le strutture viventi, e accresciuta l’attrazione per i prodotti artificiali, meccanici, non-vivi. Gli esempi abbondano. In tutto il mondo industrializzato vi sono uomini che sono più teneri con la macchina che con la propria moglie e si interessano più alla prima che alla seconda. Ne sono orgogliosi, la vezzeggiano, la lavano (anche quando potrebbero pagare qualcuno che lo faccia al posto loro) e in certi paesi c’è addirittura l’abitudine di darle un nomignolo affettuoso; la tengono d’occhio e si preoccupano per il minimo sintomo di cattivo funzionamento. Certo, la macchina non è un oggetto sessuale, ma un oggetto d’amore; la vita senza macchina sembra più intollerabile della vita senza donna. Questo attaccamento non è abbastanza strano, o addirittura perverso?

Prendiamo un altro esempio: la mania di fotografare. A chiunque capiti di vedere turisti — o magari di osservare se stesso — si accorgerà che far foto è diventato un surrogati di vedere. Naturalmente, non si può fare a meno di guardare per dirigere le lenti sull’oggetto desiderato; poi si preme il bottone, la pellicola è impressionata, e via che si va a casa. Ma GUARDARE non è VEDERE. VEDERE è una finzione umana, uno dei più grandi doni dell’uomo; richiede attività, apertura interiore, interesse, pazienza, concentrazione. Prendere un’ISTANTANEA (l’espressione è significativa nella sua aggressività) significa essenzialmente oggettivare ‘atto di vedere, la foto da esibire poi agli amici per dimostrare che anche tu "ci sei stato". Lo stesso vale per quegli appassionati di musica che ascoltano il disco soltanto per sperimentare le qualità tecnologiche dei loro giradischi o impianti di alta fedeltà e i particolari miglioramenti tecnici apportati da loro stessi. Per loro ascoltare musica equivale, ormai, a studiare il prodotto di un’alta esecuzione tecnica.

Un altro esempio è l’inventore di congegni, la persona che si preoccupa di sostituire ogni sforzo umano con un congegno "maneggevole", "che risparmi lavoro". In questa categoria di persone potremo comprendere quei commessi che usano la calcolatrice anche per l’addizione più elementare, chi rifiuta di percorrere a piedi persino un isolato e automaticamente sale in macchina. E probabilmente molti di noi conoscono l’inventore casalingo di qualche congegno meccanico che, pigiando semplicemente un bottone o un interruttore, può far zampillare una fontana o far aprire una porta, oppure aggeggi ancor meno pratici, spesso ai limiti del’assurdità.

Dovrebbe essere evidente che, descrivendo questo tipo di comportamento, non intendo affermare che usare un’automobile, far fotografie o inventare congegni sia di per sé una manifestazione di tendenze necrofile. Questa caratteristica subentra però quando diventino SURROGATO dell’interesse per la vita, o dell’esercizio di quelle ricche funzioni di cui è dotato l’essere umano. Nemmeno intendo dire che il tecnico appassionatamente interessato alla costruzione di macchine di tutti i tipi mostri, per questo, una tendenza necrofila. Può essere senz’altro una persona molto produttiva, con un grande amore per la vita che esprime nel suo atteggiamento verso la gente, la natura, l’arte, e nelle sue idee tecniche costruttive. Alludo, invece, a quegli individui in cui l’interesse per il prodotto elaborato ha SOSTITUITO l’interesse per quel che è vivo, che affrontano i problemi tecnici in modo pedante, non-vivo.[…]

Il mondo della vita p diventato un mondo di "non-vita"; le persone sono diventate "non-persone". Un mondo di morte. La morte non è più rappresentata simbolicamente da feci o cadaveri maleodoranti. Ora i suoi simboli sono macchine linde, scintillanti; gli uomini non sono più attratti da gabinetti fetidi, ma da strutture di vetro e alluminio. La realtà che si nasconde dietro questa facciata asettica diventa sempre più visibile. In nome del progresso, l’uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido e velenoso (e questa è TUTT’ALTRO CHE un’immagine simbolica). Sta inquinando l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali… e se stesso, al punto che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio d’anni, sarà ancora possibile vivere sulla terra. Egli conosce la verità; ma nonostante i numerosi contestatori, coloro che detengono il potere continuano a perseguire il "progresso" tecnico, pronti a sacrificare la vita sull’altare del loro idolo. In tempi lontani gli uomini sacrificavano i figli o i prigionieri di guerra, ma mai prima d’ora nella storia l’uomo è stato disposto a sacrificare tutta la vita al Moloch, la sua vita e quella dei suoi discendenti. Che lo faccia premeditatamente oppure no, non importa gran che. Se fosse all’oscuro del possibile pericolo, potrebbe essere assolto da ogni responsabilità. Ma proprio il lato necrofilo del suo carattere gli impedisce di fare il giusto uso di questa conoscenza. »

L’architettura e l’urbanistica delle nostre città tendono sempre più a manifestare dei caratteri necrofili: gigantismo, anonimità, funzionalismo esasperato, eliminazione dei fattori estetici in quanto tali, magari nel nome di una "nuova" pretesa estetica, che si risolve poi, semplicemente, nella celebrazione acritica e servile dell’esistente, cioè del brutto. Un discorso analogo si può fare per le arti figurative, per la musica, per la poesia e la letteratura, per non parlare della moda, dello sport, del tempo libero: ovunque avanzano e si moltiplicano i segni di una tendenza necrofila che tende a trasformare le cose, e specialmente i prodotti della tecnica, in divinità pagane da adorare ciecamente, e per ottenere le quali non si esita a impostare tutta la propria vita, imprimendole ritmi disumani e sacrificando la sfera dell’affettività vera: quella diretta non verso le cose, ma verso le persone.
Ma esistono ancora, le persone, o, come ammoniva Erich Fromm ormai quasi mezzo secolo, sono state sostituite, silenziosamente e impercettibilmente, dalle non-persone, così come i luoghi sono stati sostituiti dai non-luoghi, e i valori dai non-valori? Esistono ancora le persone, nella società di massa e nel regno della tecnica, o sono diventate semplici strumenti di un meccanismo che si serve di esse, ma che non ne ha bisogno, che anzi le vorrebbe appiattire, omologare, possibilmente distruggere in quanto persone, e farle regredire a meri "strumenti vocali", docilmente sottomessi alla volontà del padrone, per usare la terminologia di Varrone relativa agli schiavi?

Se le persone esistono ancora, allora sarebbe bene che si risveglino il più in fretta possibile dal loro sogno voluttuoso, il sogno del progresso tecnologico illimitato, che si sta rapidamente trasformando in un incubo. Se le tendenze necrofile, alimentate in noi dal diabolico consumismo, continueranno a svilupparsi, noi avremo sempre più automobili, sempre più computer, sempre più telefonini cellulari, e sempre meno figli. Sarà un suicidio biologico, oltre che morale. Sarà la forma estrema cui arriverà a manifestarsi la necrofilia insita nella civiltà moderna, e sarà anche la grande vittoria, il trionfo definitivo del subdolo nemico della vita, del bene, dell’amore: l’antico Nemico, colui che si scrive con la maiuscola, immensamente lieto di sapere che nessuno crede più alla sua esistenza…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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