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George Tyrrell, ovvero l’eterna tentazione del modernismo

Il teologo irlandese George Tyrrell (1861-1909) è stato uno dei protagonisti del movimento modernista cattolico, forse la sua figura più importante dal punto di vista teorico, oltre che una delle personalità più forti e di più immediato riferimento per quanti, ai primi del Novecento, in Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, perseguivano l’obiettivo di "svecchiare", com’essi dicevano, la vita del polo cristiano, mettendo la religione al passo con le conquiste della scienza e, più in generale, con gli aspetti più caratteristici del mondo moderno, a cominciare dalla fiducia positivistica nel progresso fondato sulla ragione umana.

Il suo volto pallido ed emaciato, la sua espressione trasognata e malinconica davano l’impressione di una grande mitezza e suscitavano un sentimento di protezione, un po’ lo avrebbe suscitato, nei lettori di Bernanos, la figura solitaria e malaticcia del curato di campagna descritto nel suo famoso romanzo; ma Tyrrell, in realtà, aveva la tempra del lottatore ed era animato da una fiducia in se stesso, da un orgoglio intellettuale e da un disprezzo dei valori convenzionali davvero insolito in un semplice prete irlandese.

Non aveva alcun timore di esporsi e di mettere in discussione le verità comunemente accettate: fin da quando, proveniente da una famiglia anglicana, si era convertito al cattolicesimo e si era fatto gesuita, non aveva nascosto la sua contrarietà alle decisioni del Concilio Vaticano I, che stabilivano l’infallibilità papale nell’esercizio del suo alto magistero. Con quelle orecchie a sventola e quell’aria indifesa, poteva anche trarre in inganno; ma la sua volontà di ferro e la sua incrollabile fermezza nelle proprie convinzioni sono ben rappresentate dall’epitaffio che volle farsi incidere sulla tomba: «Sono stato un prete cattolico; ho difeso i principi cattolici contro le eresie vaticane». Un ultimo gesto di sfida, quasi prometeico: lui, il difensore della verità del cristianesimo, contro i papi colpevoli di eresia. Lui, però, era stato espulso dai gesuiti e scomunicato; aveva ricevuto l’estrema unzione, ma non la sepoltura cristiana.

Questo, dunque, era l’uomo che voleva riformare da cima a fondo il cattolicesimo, con tutto l’ardore di un’anima appassionata e con tutto lo zelo del neofita che ritiene di scorgere la verità meglio di quanto la vedano coloro che da quasi duemila si tengono nel solco della Tradizione. Aveva pochissimi amici, fra i quali Friedrich von Hügel, il diplomatico austro-inglese che tesseva le fila del movimento in tutta Europa e che fu, dal punto di vista organizzativo, il vero animatore di esso, anche se, più prudente o meno leale degli altri, evitò la scomunica e si mantenne formalmente all’interno dell’ortodossia cattolica, in cui non credeva e che si proponeva di modificare, sempre allo scopo — affermava – di meglio difenderla.

Il giudizio complessivo su Tyrrell e sulla sua idea del cristianesimo è, naturalmente, controverso: capire quali fossero le sue convinzioni e quali i suoi obiettivi, significa comprendere l’essenza del movimento modernista (anche se i modernisti negavano di appartenere a un "movimento" unitario e sostenevano che a creare il modernismo fosse stato, paradossalmente, proprio Pio X, con l’enciclica «Pascendi», che, accomunando le diverse posizioni in un’unica condanna, aveva fatto di tutta l’erba un fascio).

Lo storico delle idee Friedrich Heer- professore all’università di Vienna dal 1949 – apprezza molto il Tyrrell perché apprezza molto il modernismo; e apprezza molto il quest’ultimo perché gli piacciono le rivoluzioni, tutte le rivoluzioni, culturali non meno politiche o economiche, di cui l’Europa è "madre" (cosa che gli sembra un motivo di speciale fierezza): tipico esempio di cieca fiducia nella parola magica "progresso" e di quella mentalità che considera il "moderno" una categoria dal valore positivo auto-evidente e assoluto.

Per questo studioso neo-illuminista, odiatore del Medioevo e del passato ed esaltatore di tutto quanto è moderno, giudicato buono per definizione (ma senza darsi la fatica di dimostrarlo caso per caso: l’ideologia progressista è sufficiente a se stessa), il cattolicesimo dei modernisti è, per forza di cosa, migliore del cattolicesimo della Tradizione (ma a lui non passa neanche per la testa che possa esistere una Tradizione con la "t" maiuscola, vale a dire di origine non umana e, perciò, meritevole di fiducia incondizionata, almeno per un credente); in fondo, non si chiede se un cattolicesimo modernista sia ancora cattolicesimo, anzi, se sia ancora cristianesimo: dal momento che il progresso è un bene incondizionato, allora va da sé che Tyrrell aveva ragione e Pio X aveva torto; così come, per certi teologi neo-modernisti dei nostri giorni (i quali, peraltro, non hanno neanche il coraggio di dirsi tali), va da sé che la teologia della liberazione ha ragione e papa Giovanni Paolo II (nonché Benedetto XVI) aveva torto.

Così pure, è evidente che uomini come Tyrrell rappresentano l’idealismo (altra categoria, a quanto pare, data per auto-evidente; ma che vuol dire? forse che anche Hitler non era, a suo modo, un "idealista", cioè un uomo capace di sacrificarsi per la sua idea?), beninteso l’idealismo disinteressato, e sono fatalmente destinati a scontrarsi con la sordida genia dei conservatori, che sono, invece, tutti meschini, perché interessati alle proprie posizioni privilegiate ed ai propri personaggi vantaggi, oltre che ignoranti, perché non coltivano la cultura, ma quella cieca adorazione del passato che serve al loro egoismo: Tyrrell sta alla Curia romana come il cavaliere senza macchia e senza paura, campione della libertà di pensiero e, quindi, del progresso, sta alla conservazione retriva, all’intolleranza, al clericalismo servile, all’ignoranza retrograda e pretesca.

Il nucleo del pensiero modernista di Tyrrell, che Heer incondizionatamente approva senza neanche vagliarlo, è una forma alquanto rozza e ingenua di evoluzionismo trasposto di peso dall’ambito scientifico a quello teologico: tutto evolve, evolvono anche gli aspetti della religione, e la Chiesa deve accogliere, di volta in volta, tale evoluzione, con i mutamente che essa comporta. Tutto, infatti, è nella mente di Dio fin dall’inizio, pertanto quello che poi nasce e si sviluppa fa parte del piano divino. Dal che si deduce che tutto deve essere anche buono (sempre in base al principio che le cose vengono da Dio) e, dunque, la dottrina di Tyrrell si riduce a una sorta di ottimismo roussoiano, ovvero di panteismo spinoziano: la Natura è buona in se stessa, ergo la Natura è l’altro nome di Dio; di qui, infatti, si va dritti verso l’evoluzionismo cristologico di Teilhard De Chardin. Piccolo dettaglio: né Tyrrell, né Teilhard si accorgono di essere andati oltre: per il cristianesimo, la Natura non è affatto buona, ma è stata ferita dal peccato originale; se fosse buona, del resto, vi sarebbe stato ancora bisogno dell’Incarnazione? Che sarebbe venuto a fare Cristo, se tutto fosse bene così com’è, e ogni "novità" andasse accolta con entusiasmo e immediatamente "arruolata" nel progetto della creazione? Prendendo seriamente questo origenismo mascherato, bisognerebbe arruolare anche il male, il peccato, i crimini individuali e collettivi, come manifestazioni divine.

Non ci sarebbe necessità della Redenzione, né per il mondo, né per l’uomo; non ci sarebbe neanche bisogno della Provvidenza (se tutto è bene…); non ci sarebbe bisogno della conversione, della ricerca di Dio, dell’intervento della Grazia; non vi sarebbe il peccato (versione aggiornata e maldestra del pelagianesimo); né vi sarebbe, a ben guardare, bisogno di Dio, di un Dio personale, tanto meno di un Dio che si fa uomo fra gli uomini. Ecco perché, per questa strada, si giunge dritti al panteismo: nella visione di Tyrrell, Dio non serve, è un di più, un "caput mortuum: è sufficiente che ci sia l’opera creatrice ed evolutiva della natura, incessantemente diretta verso il progresso, cioè verso il Bene. Qui il vero Dio è diventato il Progresso: non è un Dio trascendente, ma un Dio immanente; anche se si gioca con le parole e si dice che le cose vengono da Dio e a Dio ritornano. Ma ci ritornano per forza propria, senza necessità della fede o delle opere: ci ritornano perché tutto tende a quel fine, proprio come nel pensiero di Teilhard ogni cosa tende al punto Omega del tempo e della storia, un non meglio precisato Cristo cosmico.

Scrive, dunque, Friedrich Heer nella sua opera «Europa, madre delle rivoluzioni» (titolo originale: «Europa Mutter der Revolutionen», Stuttgart, W. Kolhammer, 1964; traduzione dal tedesco di Simona Vigezzi, Milano, Il Saggiatore di Alberto Mondadori Editore, 1968, vol. 2, pp. 340):

«La grande svolta nella vita di Tyrrell, la separazione dalla Chiesa romana, è determinata dalla sua convinzione, pubblicamente espressa, del ritorno di tutti gli uomini e di tutte le cose nel seno di Dio. Tyrrell si riferisce alla mistica Juliane di Norwich: avrebbe potuto richiamarsi a Origene, alla sapienza materna dei popoli: tutte le cose sono buone. Tyrrell: la trinità, alla fine dei giorni, rende di nuovo buone tutte le cose.

"La Chiesa e l’avvenire": questo primo e ultimo tema di tutti i "modernisti" è trattato da Tyrrell in uno scritto dallo stesso titolo ("The Church and the Future", edizione privata 1903, sotto lo pseudonimo di Hilaire Bourdon, poi 1910). "La dottrina dell’evoluzione di Newman non fu mai cordialmente accettata dai "burocrati" ("officials"). La teoria ortodossa dell’esplicazione (ogni "novità" è già contenuta completamente, fin dall’inizio, nel patrimonio ella rivelazione, e non fa che svilupparsi) non basta: c’è una quantità di sviluppi che hanno arrecato e arrecano delle novità e che non esistevano nel cristianesimo primitivo.

"La tema fisica" [e la teologia scolastica è soprattutto metafisica], a causa della sua necessaria oscurità, è il terreno su cui la mediocrità e la sciatteria ("slovenliness") del pensiero possono più facilmente mascherarsi sotto l’apparenza della profondità e dove il ciarlatano spirituale può rimanere più a lungo celato".

Prendi un pugno di uomini delle classi più incolte, , in cui esistano un superstizioso desiderio d’imparare e un impulso all’ascesa sociale mediante ciò che si è imparato, trascinali nella scolastica e nella retorica, riempili dell’orgogliosa convinzione di avere in mano il potere spirituale di vita e di morte, "e avremo tutto ciò che è necessario a creare una delle peggiori tirannie spirituali che il mondo abbia mai conosciuto…".»

La dottrina di Tyrrell, entusiasticamente approvata da Heer, è, inoltre, una forma di neo-gnosticismo: è intellettualistica, rivendica la superiorità e l’eccellenza del singolo pensatore, disprezza gli "uomini incolti", specialmente se teologi o metafisici e specialmente se "curiali"; disprezza la Chiesa come luogo dell’ignoranza, esalta il singolo cristiano come colui che responsabilmente, criticamente, intelligentemente si pone di fronte a Dio, non con le armi del Medioevo, non con le armi dell’età della pietra (sono espressioni testuali Friedrich von Hügel, maestro ideale, estimatore ed amico personale di Tyrrell, oltre che confuso e velleitario auto-proclamatosi "riformatore " della Chiesa cattolica), ossia con le armi della Chiesa di Pio X, ma con le armi della modernità e del progresso, vale a dire con lo spirito critico e scientifico che caratterizza la cultura del Positivismo.

La fede delle persone semplici: per carità, che orrore! Roba per spiriti incolti e superstiziosi; è ben altra cosa il cattolicesimo di un Tyrrell, di un Loisy, di un Buonaiuti: quest’ultimo è roba raffinata, roba per menti eccelse, per spiriti grandi, per uomini di autentica cultura. È ben vero che Gesù, nei Vangeli, a un certo punto esclama: «Ti rendo lode, o Padre, perché hai nascosto queste cose hai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli! Sì, perché così è piaciuto a Te» (Mt., 11, 25); ma la lieve difficoltà si può facilmente superare, solo ammettendo, come fa appunto il criticismo modernista, che i Vangeli non vadano letti con animo semplicione, come fanno le vecchiette, ma con gli strumenti della filologia e della scienza, e dunque interpretato, mostrando e riconoscendo l’uso frequente dei simboli: dunque, esso non va letto troppo alla lettera, specialmente quando ciò urta la delicata sensibilità degli spiriti eletti e delle persone dalla raffinata cultura moderna.

Quanto ai consiglieri del papa, (perché è di essi che parla, anche se non li nomina esplicitamente) per Tyrrell sono semplicemente degli ignoranti e superstiziosi che hanno imparato a memoria la scolastica e la retorica (messe, queste ultime, sul medesimo piano), e, per ambizione di potere, si so no gonfiati d’orgoglio, instaurando una vera e propria tirannia spirituale; anzi, non una qualunque tirannia spirituale, ma una delle peggiori che il mondo abbia mai conosciuto. Addirittura!

Che posto abbia, in questo giudizio spietato e senza appello, la carità cristiana; che posto abbia — o, piuttosto, non abbia -, in questa analisi storico-psicologica della pretesa deriva autoritaria e curialesca della Chiesa cattolica, la presenza dello Spirito divino, capace di infondere in essa, nonostante le manchevolezze e le imperfezioni umane, il giusto orientamento per il bene (un tempo si diceva, senza perifrasi: «per la salvezza» dell’umanità); che posto occupi la modestia intellettuale (per non parlare dell’obbedienza, uno dei voti maggiori del sacerdozio), visto che è proprio Tyrrell a tirarla in ballo, asserendo che i consiglieri del papa ne sono totalmente sprovvisti, in misura pari alla loro "superstizione" e alla loro rozzezza culturale e mancanza di pensiero critico, lasciamo giudicare al lettore.

Affinché il lettore, comunque, possa farsi un’idea personale delle idee di Tyrrell circa i contenuti della fede cattolica, e decidere se il suo cattolicesimo era ortodosso oppure no, vogliamo riportare alcuni estratti dalle sue opere, Ci sembra perciò di grande importanza riportare alcune sue proposizioni fondamentali, affinché ciascuno possa farsi una opinione in merito, anche se — è ovvio — bisognerebbe leggere le sue opere nella versione integrale: «Nova et Vetera», 1897; «La Chiesa e il futuro», 1902; «Lex Orandi, Lex Credendi», 1906; «Lettera a un professore di antropologia», 1906 (le citazioni seguenti sono tratte da: Friedrich Heer, «Europa, madre delle rivoluzioni», cit., vol. 2, pp. 340-6):

«La metafisica (e la teologia scolastica è soprattutto metafisica), a causa della sua necessaria oscurità, è il terreno su cui la mediocrità e la sciatteria ["slovenliness"] possono più facilmente mascherarsi sotto l’apparenza della profondità e dove il ciarlatano spirituale può rimanere più a lungo celato. […] Col concetto di cattolicesimo burocratico ("official catholicism") ci riferiamo d’ora in poi al sistema di questi scribi e farisei, che hanno in mano la chiave che non possono adoperare, ma non tollereranno mai che un altro la adoperi… Cristo e il terrorismo teologico ("theological terrorism"), noto come il Sant’Uffizio dell’Inquisizione, non hanno niente in comune fra loro, a meno che non sia il sinedrio, la suprema corte di giustizia ebraica, che condannò a morte Gesù come eretico. […] il morto e pedante classicismo, la servile e letterale imitazione del passato, la venerazione superstiziosa dell’usanza, porterebbero al trionfo di una mediocrità organizzata sul genio individuale e finirebbero nella fossilizzazione e nella morte. […] Il papa come zar e monarca assoluto e teocratico… deve, secondo la logica dell’idea cristiana, cedere il posto al papa che non sia soltanto di nome "servus servorum Dei", il servo di Dio, il maggiore, il primogenito di molti fratelli… La crescita organica, contrapposta alle concezioni meccaniche della società, concilierà la sua posizione di guida col carattere fondamentalmente democratico della Chiesa, e allenterà ("relax") l’impossibile centralizzazione a favore di un’unità libera e più spirituale. […]

Col cieco conservatorismo della loro classe, appellandosi di continuo alle autorità medievali, senza permettere il benché minimo mutamento, i burocrati […] sperano di tener lontano dai fedeli, con i vecchissimi metodi temporali della costrizione e dell’oppressione, con l’imprimatur, l’Indice e l’inquisizione, la massa sempre crescente d’informazione e di sapere che aumenta e preme contro le barriere rotte e tarlate, che anche ai loro giorni migliori non offrivano alcuna protezione contro simili forze. […] Non dobbiamo ringraziare i teologi, o i burocrati ecclesiastici, se abbiamo la prospettiva di una simile riforma, bensì la dura logica della storia, con la sua critica spietata di ogni irrealtà, e la diffusione del sapere, che nessun complotto di classe ("class-conspiracy") può a lungo reprimere, nemmeno se si tratta della sua propria dissoluzione… Lo spirito di Cristo opera nelle anime di milioni di cattolici, non cattolici e non cristiani e cerca la sua via di cuore in cuore, attraverso tutte le barriere confessionali, che la teologia ha innalzato… Il grido delle masse spiritualmente affamate, spiritualmente affamate, private del pane della vita, alla fine spazzerà via il cicaleccio ("chatter") dei teologi fannulloni e ridesterà il gran cuore della Chiesa alle più importanti realtà del Vangelo… […] Che la Chiesa di Cristo debba essere governata dai metodi dell’aristocrazia russa e del terrorismo russo è un abuso che deve rivoltare la coscienza di ogni cristiano. Il quale sia pur moderatamente imbevuto dello spirito di libertà del Vangelo. […]

…l’origine tedesca del modernismo è il suo delitto capitale agli occhi di Roma; basta da sola a farlo condannare senz’altro. "Può mai venire qualcosa di buono dalla Germania?, la patria di Lutero e del protestantesimo?" Comunque, non come patria del protestantesimo, bensì come patria della storia la Germania è in sì alta misura responsabile del modernismo… In nessun luogo il cattolicesimo è così bene addestrato e organizzato, e rivela così apertamente le sue intenzioni politiche, come in Germania. […] Non m’importa nulla che il tipo più cordiale e umano del cattolicesimo sia stato rappresentato sempre da una minoranza debole e oppressa, e che si sia sempre attirato la disapprovazione della mediocrità dominante…[…] è impossibile che la Chiesa penetri il mondo senza esserne penetrata a sua volta. […] Così avvenne anche per Cristo e la Chiesa ebraica del suo tempo; essi rappresentano nel modo più perfetto i due elementi necessari e sempre in lotta fra loro di ogni religione viva, quello progressivo e quello conservatore. L’uno, mentre cerca di difendersi, finisce nella reazione, il primo nell’aperta rivolta. […]

Poiché io lo considero [il neologismo] come il padre e maestro di tutte le eresie fin dal principio, come la spada che ha fatto a pezzi la cristianità, come la forza che tiene lontane dalla Chiesa schiere di uomini profondamente religiosi del nostro tempo le caccia via da essa; come il corruttore sia della rivelazione sia della teologia, come il nemico della fede e insieme della ragione… Per teologia io intendo… il risultato della meditazione filosofica sui fatti dell’esperienza religiosa; il centro normativo di questi fatti è costituito dalla rivelazione apostolica — il neologismo p il terrore di un sistema chiuso. Ad esso dobbiamo la dichiarazione dell’infallibilità papale. […]

Esso [il sacerdotalismo"] si rivela in una forma più volgare ed evidente quando considera le pecorelle come semplice mezzo al servizio della convenienza e della dignità del pastore. Ma la sua forma più raffinata e nociva sta dietro l’idea che ‘intero apparato ecclesiastico, l’intero sistema ecclesiastico esiste di per se stesso e non è puramente e semplicemente uno strumento per il bene spirituale di coloro che lo sostengono. […] Il sacerdotalismo è la burocrazia della Chiesa; la burocrazia è il sacerdotalismo dello Stato…Gli affamati, gli assetati, gl’ignudi, i malati, i peccatori sono i nostri giudici, sono i nostri legislatori. Dio è immanente in essi, nel grido del loro spirito in lotta si rivela la Sua legge, nella loro liberazione e redenzione si compie la Sua volontà… Ogni peccato, che saia rivolto specialmente contro Dio, il nostro prossimo o noi stessi, è in senso profondo e riposto un peccato contro l’uomo, contro il divino nell’umanità.»

Come si vede, Tyrrell parla costantemente della Chiesa come di una cosa puramente umana, monopolizzata da un Sinedrio di ipocriti e di prevaricatori, i quali ne hanno preso le chiavi per impedire agli altri di entrare ne regno di Dio: si serve delle parabole evangeliche per presentarsi come un nuovo Gesù Cristo in lotta contro scribi e farisei e non mostra affatto, per l’istituzione cui ha scelto di aderire, con il rispetto dovuto a una madre, ma con il livore e l’acredine di chi voglia sovvertirla dalle fondamenta, non sena averla accusata delle peggiori nefandezze ai danni dell’umanità.

A parte questo aspetto, colpisce la disinvoltura con cui equipara la Tradizione cristiana, che è — come la Chiesa stessa — di origine soprannaturale, come di un insieme di riti e la teologia cattolica, così come storicamente si è configurata nel corso della storia, come la roccaforte del più bieco conservatorismo e del più meschino passatismo; come l’azione papale gli appaia ispirata da ragioni di convenienza personale e come tutto il meccanismo ecclesiastico altro non gli sembri che una gigantesca impostura, o, nel migliore dei casi, un fossile che ostina a sopravvivere a dispetto dei tempi nuovi, un imbarazzante residuo del passato che si appoggia sul terrorismo assolutista del potere, da un lato, e sulla superstiziosa credulità delle masse, dall’altro.

Nella pagina, da noi sopra citata, tratta da «The Church and the Future», Tyrrell sostiene che una elle peggiori tirannidi che il mondo abbia mai sperimentato è quella che possono creare un gruppo di uomini delle classi più incolte, avidi di ascesa sociale, imbevuti di scolastica e di retorica e inorgogliti dalla pretesa di avere in mano il potere spirituale di vita e di morte: e tali sono i consiglieri del papa, Pio IX, con il Vaticano I e la proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia; e poi, chiaramente, anche di Pio X, il "curato di campagna" di cui parla con tanto disprezzo e con tanta acrimonia il capofila dei modernisti italiani, Ernesto Buonaiuti, nelle anonime «Lettere di un prete modernista».

Sia in Tyrrell che in Buonaiuti c’è il disdegno dell’intellettuale raffinato verso la massa incolta, la rivolta dell’uomo che si ritiene geniale e incompreso contro una istituzione, la Chiesa, accusata di favorire, invece, i mediocri e i poco intelligenti, purché "ortodossi"; salvo poi assumere toni ultrademocratici, e quasi socialisti, allorché fanno appello alle "masse" affamate e assetate di verità, quelle stesse masse che, nella loro semplice fede popolare, suscitano il loro aristocratico disgusto. E qui viene fuori la sostanza non solo conservatrice, ma deista e, in definitiva, irreligiosa, del modernismo: non tentativo di mettere il cristianesimo al passo con il mondo moderno, con la scienza, con il progresso, ma dualismo che crea, da un lato, una religione gnostica riservata ai "sapienti" e agli "intelligenti", dall’altro una fede "del cuore", languida e sentimentale, tanto generica quanto immanentistica, basata su una "divinità" presente nell’uomo fin dall’inizio.

È importante notare come Tyrrell, nel suo fiume di critiche e d’i amare invettive, non parla quasi mai della Trinità, dell’Incarnazione, della Redenzione; non parla del peccato; non parla del mistero dell’anima davanti all’abisso insondabile del male e del Bene; il suo ottimismo pelagiano ricorda certe sdolcinate correnti New Age dei nostri giorni e il suo sentimentalismo alla Renan non è altro che il rovescio della medaglia di un intellettualismo razionalista che vede nel progresso delle scienze la via per restituire agli uomini un cristianesimo liberato dalle favolose incrostazioni del mito, dai miracoli, dal soprannaturale: un cristianesimo senza misteri che sarebbe piaciuto al suo conterraneo del XVIII secolo, John Toland; ma che di specificamente e autenticamente cristiano, in effetti, non conserva più niente di niente.

Colpisce anche più, nelle pagine di Tyrrell, il costante atteggiamento di vittima di ingiuste persecuzioni, di anima incompresa e oppressa da una congiura di ipocriti ed ignoranti, e l’assoluta mancanza di umiltà, l’assoluta assenza di dubbio nella giustezza del tipo di critiche che egli porta la Chiesa e del modo in cui le conduce, con lo spirito del rivoluzionario più che del riformatore e con una radicale mancanza di carità, di comprensione, di indulgenza verso i fratelli. Egli vede la Chiesa come tenuta in ostaggio da un manipolo di teologi "scolastici" e ultra-conservatori e non lo sfiora nemmeno il dubbio che, se il futuro della Chiesa fosse nelle mani dei teologi, resi orgogliosi della loro scienza in un senso puramente umano, essa finirebbe per essere preda di qualunque arbitrio, di qualunque eresia, di qualunque tendenza autodistruttiva.

Se potesse osservare le cose dal punto di vista odierno, vedrebbe la Chiesa, appunto, caduta in ostaggio di teologi che si credono sapienti e che, senza il minimo rispetto per la Tradizione, né per il comune sentire della massa dei fedeli, seminano confusione e smarrimento andando dritti per la loro strada intellettuale, fieri del loro umano sapere e convinti di interpretare nel modo giusto lo "spirito dei tempi", quasi come un gruppo politico che si proponga di tirare la società verso la meta desiderata, in base a un progetti puramente umano: non come figli di una Chiesa, visibile e invisibile (la comunione dei santi!), che rimane fedele a se stessa fino a quando sa custodire gelosamente la propria verità soprannaturale e fino a quando si rende docile strumento nelle mani dello Spirito santo, che è Spirito di Verità, non soltanto in senso puramente umano.

Davanti a figure come quella di Tyrrell, insomma, si rimane profondamente sconcertati, e ci si chiede se non siano proprio quelle che hanno fatto più male al cristianesimo: pretendendo di restare dentro la Chiesa, per cambiarla dall’interno, anziché uscirne e sfidarla apertamente, visto che l’idea che essi ne avevano era quasi totalmente negativa e visto che ritenevano che essa abbia tradito sostanzialmente i suoi compiti. Gnosticismo, pelagianesimo, democraticismo sono i tratti ereticali che contraddistinguo il pensiero modernista: quasi che esistano due religioni cristiane, una per i colti e una per il poplo; quasi che l’uomo non abbia bisogno di riconoscer la propria impotenza per poter essere redento; e quasi che la Chiesa sia una qualunque assemblea laica, dove le decisioni di prendono a colpi di maggioranza (o anche di minoranza, se quest’ultima sa agire con sufficiente decisione e spregiudicatezza) e dove la Verità eterna, assicurata dalle due fonti della Scrittura e della Tradizione, può essere cambiata a piacere, in omaggio allo spirito dei tempi e alla sensibilità "progressista" di alcuni teologi.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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