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28 Luglio 2015Per molto tempo il giudizio degli storici del pensiero sulla vicenda del processo a Galilei si è diviso in due partiti nettamente contrapposti: quello di coloro che vedevano nello scienziato toscano una specie di precursore del libero pensiero contro l’oscurantismo e il dogmatismo della Chiesa cattolica, e quello (assai minoritario e sempre più arroccato a difesa, sempre meno convinto di se stesso) di coloro che vedevano nella Chiesa il presidio di una visione ordinata del mondo, in lotta contro la minaccia di dissoluzione che avrebbe portato nella cultura europea l’adozione del modello cosmologico copernicano.
Una terza posizione sta emergendo da alcuni anni, specialmente dopo che Giovanni Paolo II, nel 1979, ha pubblicamente ammesso l’errore compiuto dalla Chiesa nell’avere processato e condannato Galilei, riabilitando il padre della scienza moderna e riconoscendo le sue buone ragioni ed intenzioni: quella di chi vorrebbe che le due posizioni s’incontrassero a mezza via, con un reciproco riconoscimento di onestà e buona fede, di Galilei verso la Chiesa cattolica e della Chiesa cattolica verso Galilei.
Secondo questa interpretazione, tutta la vicenda del processo e della condanna non sarebbe altro che un tragico equivoco, un drammatico malinteso: Galilei non intendeva affatto minacciare il ruolo della Chiesa come custode dei supremi valori spirituali e culturali; al contrario: vedeva benissimo che scienza e fede rischiavano di giungere allo scontro e intendeva prevenirlo, risparmiando alla Chiesa un inutile errore, e mostrando, con la sua generosità e con la sua autorevolezza, che nessun motivo sostanziale di contrasto vi era fra esse.
Certo, con una simile lettura di quella vicenda, si riesce a salvare capra e cavoli: non c’è più bisogno di condannare nessuno, si possono assolvere tutti, e così il conflitto è "superato", o almeno sembra che lo sia, il che è già qualcosa, se non altro per gli spiriti fiacchi e per quanti hanno poca voglia di spingere l’analisi fino in fondo e di trarne tutte le debite conseguenze, non solo sul piano storico, ma anche su quello intellettuale e morale.
Se non altro, bisogna pur dirlo, questa interpretazione ha il merito di riportare il giudizio sulla Chiesa cattolica su di un piano di maggiore equità, rispetto alla lettura arrabbiata e intransigente degli anticlericali, che hanno fatto di Galilei una specie di bandiera della loro crociata, e lo hanno arruolato, senza tante cerimonie, nel loro partito ideologico: laddove, fino a ieri, era assolutamente normale parlare della Chiesa e di Urbano VIII come di una istituzione, e come di un papa, fermamente e deliberatamente intenzionati ad opporsi al cammino del progresso scientifico, al solo ed unico scopo di poter manipolare le moltitudini, servendosi dell’oscurantismo calcolato e dell’ignoranza consapevole.
Ma è proprio vero che Galilei era animato solo dal nobile e disinteressato intento di risparmiare alla Chiesa cattolica un doloroso errore, che avrebbe compromesso le relazioni tra essa e il progresso scientifico per un tempo lunghissimo; e che vedeva se stesso come il solo intellettuale che avesse le carte in regola per proporsi un sì magnanimo disegno, intenzionato a sfruttare la circostanza di essere un buon cattolico e, nello stesso tempo, uno scienziato internazionalmente famoso, che si trovava in ottimi rapporti con il papa e con le alte sfere della gerarchia curiale?
Ha scritto il poeta, e storico della letteratura italiana, Ugo Maria Palanza, a proposito del «Dialogo sopra i due massimi sistemi», e, più in generale, sul conflitto determinatosi fra Galilei e la Chiesa cattolica (da: U. M. Palanza, «Letteratura italiana. Storia e vita», Napoli, Casa Editrice Federico & Ardia, 1987, p. 282):
«Tiriamo le somme per una valutazione del "Dialogo". Abbiamo già detto che errerebbe chi lo prendesse per un lavoro di filosofia o di scienza: sotto questo profilo può essere un lavoro sottile, rispetto ai tempi, ma limitato. Vi si difende il copernicanesimo, ma anche con molte prove incerte e con delle idee del tutto superate, e tuttavia questa opera del Galilei è uno dei testi fondamentali nella storia della civiltà umana ed uno di quei documenti dell’evolversi del pensiero che fanno onore a chi li ha scritti ed ancora sono sorprendenti a chi li intende nel giusto senso. Non porta con sé una rivoluzione, solo un atteggiamento che tende a correggere in modo definitivo una civiltà, la quale naturalmente si esprimeva in una mentalità la quale era pur difficile e pericoloso tentar di correggere nel XII secolo. Oggi tutto appare diverso e la forza di certi contrasti neppure s’avverte; ma tempo addietro, quando era più notevole, influì persino sulla obiettività dei giudizi e Galileo parve portatore di luce e la tradizione parve cittadella tenebrosa. Neppure oggi è facile correggere codesto modo di vedere quello ch accadde allora. Galileo non lottava contro un avversario cieco e sordo: solo contro una civiltà anche essa degna di rispetto perché portatrice anche essa d’una verità importante nella storia dell’uomo: oggi valutiamo meglio il valore di questa civiltà che perseguiva e persegue tuttora valori assoluti, indagando su idee che vogliono riassumere L’ESSENZA della vita universale ed il suo significato morale ed il suo fine ultimo, giustificazione del bene e del male che sono nel mondo; valutiamo meglio il valore di questa civiltà proprio perché le scienze, così gloriosamente fiorite non ne hanno intaccato la sostanza e la nobile funzione, ma si sono solo limitate ad approfondire la conoscenza dei particolari ed a fissare le leggi dei fenomeni fisici, senza pretendere di dare di più. Nel XVII secolo, per circostanze specifiche e note, codesti sostanziali civili valori umani, in gran parte cattolici, erano diffidenti verso l’indagine scientifica ed erroneamente; Galileo non ambì che a fugare codesta diffidenza e a risparmiare alla civiltà cattolica quell’errore di diffidenza. Qui la missione di cui è portatore il "Dialogo": introdurre la mentalità scientifica, fondata sull’esperienza e sul calcolo, e tendente, guidata da idee di RAPPORTO e di QUANTITÀ, alla verità matematica, capace di dare l’esatta struttura numerica d’un fenomeno e nulla più. Nel Dialogo contano poco le verità scientifiche come contano pochissimo le inesattezze scientifiche: ma ha infinito valore il metodo perseguito nella ricerca scientifica ed il nuovo atteggiamento mentale di fronte a quel metodo e l’eloquenza d’uno stile, che esprimendosi ora con ironia, ora con fede, sempre con chiarezza, impegna tutte le facoltà spirituali dell’autore e ne mette a nudo la nobile sensibilità e la vigorosa passione. Ma vedere nel DRAMMA DI GALILEO solo il dramma di Galileo, cioè di un individuo oppresso e perseguitato, non è esatto: quel dramma è d’una precisa epoca storica, e fu vissuto da ambo le parti e ciascuna parte si tenne la sua porzione di buona fede e di sofferenza.»
Ebbene: che ci sia concesso quantomeno di dubitare che Galilei abbia nutrito la sola ambizione di farsi paladino di una reciproca comprensione fra la Chiesa cattolica e il progresso scientifico, mediante la rimozione della diffidenza che esisteva tra loro.
Prima di tutto, l’idea stessa di progresso scientifico non era affatto diffusa a quell’epoca, tranne che — appunto — fra i seguaci del nuovo paradigma, i quali si richiamavano a Copernico e alla sua teoria eliocentrica, teoria che era stata esplicitamente condannata dalla Chiesa. È necessario ricordare che la maggior parte degli scienziati, pur considerando interessante il modello cosmologico copernicano, visto come semplice ipotesi matematica, non vi credeva, e ciò per la buona ragione che non esistevano, all’epoca, prove convincenti della sua verità. Galilei, non lo si dimentichi, chiedeva agli scienziati suoi contemporanei un atto di fede in quanto andava sostenendo, né più, né meno: vale a dire, domandava loro l’esatto contrario di quello che andava sostenendo nelle sue opere, già a partire dal «Saggiatore»: il dovere, per gli scienziati, di abbandonare il principio di autorità e di affidarsi solo e unicamente alle prove e agli esperimenti, condotti con assoluto rigore e con strumenti della massima precisione.
Se davvero Galilei avesse avuto a cuore una conciliazione preventiva del possibile conflitto tra scienza e fede, avrebbe proceduto in una maniera completamente diversa da quel che fece: fin dal principio, infatti, egli si mosse con estrema arroganza, provocando i suoi interlocutori in tutti i modi, ridicolizzandoli, mettendoli alla berlina, adoperando la penna come una frusta. Questo suo modo di procedere, già evidente ne «Il saggiatore» (in cui se la prende con l’astronomo gesuita Orazio Grassi, con argomenti scientificamente sbagliati e con toni inutilmente aspri e polemici, quasi offensivi), si accentua e tocca il culmine con il «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo», che il Palanza, con molta buona volontà, ma forse con troppa ingenuità, loda come un geniale ed eroico tentativo di prevenire possibili urti fra la Chiesa cattolica e la concezione copernicana del mondo, destinata a sicura vittoria.
Il minimo che si possa dire, in realtà, è che, se davvero Galilei avesse avuto di mira un simile obiettivo, avrebbe scritto quel libro in maniera completamente diversa da come lo scrisse. Soltanto chi non lo abbia letto può pensare, in buona fede, che Galilei mirasse a prevenire e sanare una reciproca diffidenza tra la Chiesa e la scienza moderna. Difficilmente si potrebbe immaginare un trattato scientifico (ammesso che il «Dialogo» lo sia; e il Palanza, come abbiamo visto, lo nega) concepito e scritto con più insolenza, con più alterigia, con più disprezzo per le opinioni dell’avversario; e difficilmente si potrebbe immaginare un dialogo maggiormente animato da vanità personale, più imbevuto di superbia intellettuale, più caustico e divisivo, per non dire provocatorio, sia nei toni dell’argomentazione, sia nel delineare le stesse figure dei personaggi, a cominciare da quel Simplicio che, rappresentando la concezione aristotelico-tolemaica, fa la figura dello stupido dal principio alla fine, e che, come se non bastasse, si presta, quanto meno, ad essere visto come una larvata caricatura dello stesso papa Urbano VIII.
Galilei, in fondo, non argomenta, aggredisce; i pochi argomenti scientifici che porta a suo sostegno, non reggono e non convincono; ma per lui, a quanto pare, la cosa non ha la benché minima importanza: l’importante è che gli si creda, perché lui è Galileo Galilei, il più grande scienziato vivente, il padre di un nuovo modo di concepire la ricerca scientifica, e insomma colui davanti al quale tutti quanti, scienziati e non scienziati, devono inchinarsi e tacere, perché la sua parola è legge infallibile, e sollevare la minima obiezione significa mettere in dubbio la sua eccellenza di studioso e di pensatore, di depositario unico e infallibile della verità. Né si limita all’ambito della ricerca scientifica, ma si spinge fino a sostenere che, se dovesse insorgere una divergenza fra la verità della scienza e quella della fede, è questa che andrebbe rivista e corretta, perché lo scienziato non sbaglia mai, specialmente se si chiama Galileo Galilei, mentre il credente, nel leggere la Bibbia, potrebbe anche sbagliarsi.
La nostra convinzione personale, pertanto, è che Galilei non pensasse affatto a "sacrificarsi", se necessario, per il bene del rapporto tra scienza e fede, né che agisse in maniera disinteressata, perché tutta la sua vita e la sua opera sono una continua testimonianza della sua ambizione, della sua vanità, del suo egocentrismo debordante, compulsivo, paranoico, che lo portavano a comportamenti veramente meschini, come quando passava sotto silenzio il nome del vero costruttore del cannocchiale, o quando fingeva di non avere un telescopio da prestare al collega Keplero, o, peggio ancora, quando sosteneva di aver fatto tutta una serie di esperimenti scientifici che, in realtà, non aveva fatto per niente.
In altre parole, se c’era un uomo totalmente, radicalmente inadatto a cercare la via del dialogo e della conciliazione tra la visione del mondo insegnata dalla Chiesa cattolica e quella di cui la scienza moderna si stava facendo interprete, quello era proprio Galilei: e ciò sia per i suoi gravi difetti di uomo, accecato dalla gelosia e della vanagloria, permalosissimo e suscettibilissimo nei confronti di qualunque opposizione; sia per la sua tendenza, che avrebbe lasciato in eredità alla scienza moderna (di cui giustamente è considerato il padre nobile) a debordare dall’ambito puramente scientifico per estendere, arbitrariamente, il metodo e i risultati della scienza ad ogni altro ambito, perfino a quello della teologia. Più che come un conciliatore, egli agì come un agente provocatore mirante allo scontro, e forse proprio a ciò puntava: ad un successo di scandalo, che lo consacrasse come il padre della scienza nuova: cosa che, dopotutto, gli è perfettamente riuscita…
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