
La città antica era bella. Quella odierna… Le città antiche avevano un’anima.
28 Luglio 2015
Che lezione straordinaria e commovente quel lauro abbarbicato sull’orlo dell’abisso
28 Luglio 2015Si resterebbe stupiti nello scoprire, qualora si abbia voglia di fare una simile indagine, quanti uomini famosi, quanti scrittori, quanti maghi, quanti uomini di pensiero e di potere, quanti statisti e dittatori, nascondano, o piuttosto lascino intravedere, nelle loro vite e nelle loro carriere, delle ombre inquietanti, che suggeriscono, direttamente o indirettamente, una presenza dell’elemento demoniaco, sia in senso lato, sia nel senso stretto della vera e propria possessione.
Lo sappiamo bene: questo, per la cultura positivista e razionalista oggi imperante, è un argomento assolutamente proibito; parlarne, o anche solo farvi cenno, significa, ipso facto, venire esclusi e banditi dal salotto buono della cultura ufficiale, e, quel che più spaventa gli animi pavidi, esporsi ai lazzi e ai frizzi dell’ironia e del sarcasmo. Come: credere ancora a simili cose, nel terzo millennio? Via, cerchiamo di essere persone serie…
Così ragionano tutti coloro che hanno introiettato una mentalità scientista; sarebbe più esatto dure che così "reagiscono", perché il loro atteggiamento, il più delle volte, non è la conseguenza di un vero e proprio ragionamento, ma di una reazione istintiva e immediata, quasi un riflesso condizionato:per tutti costoro, sentir parlare del soprannaturale, sentir parlare del Diavolo, e, quel che è peggio, della presenza attiva, concreta del Diavolo nella storia, è semplicemente inammissibile: un miserando residuo della cultura medievale, sinonimo di superstizione, oscurantismo e spirito reazionario.
In effetti, costoro hanno deciso fermamente di credere solo a ciò che vogliono credere, solo a ciò che ritengono possibile; e, se ritengono certe cose impossibili, semplicemente le ignorano, o le negano fermissimamente, senza darsi il disturbo di confrontarsi con i fatti. Ma i fatti, purtroppo per loro, sono lì ad attestare il contrario: la storia, e anche le cronache del tempo presente, sono letteralmente piene della presenza diabolica: e non in senso puramente metaforico, non in senso astratto generico, nossignori, ma proprio nel senso preciso, nettissimo, puntuale del termine: vale a dire di una presenza di una creatura malefica, spirituale, potente (ma non onnipotente) che si insinua nella vita degli esseri umani, delle società, delle nazioni, degli imperi, e che talvolta si manifesta anche mediante una diretta presa di possesso del’anima di coloro i quali, incautamente, lo chiamano e s’illudono di riceverne grandi benefici, mentre invece ne divengono schiavi.
Testimonianze ce ne sono mille, centomila: e potremmo citarle una per una, riempiendo volumi su volumi, una intera enciclopedia: dal curato d’Ars a san Pio de Pietrelcina, passando per quasi tutti i grandi mistici e parecchi studiosi e teologi, ma anche persone comuni, nell’arco della storia di parecchi secoli; testimonianze serie, attendibili, verificabili: ma a che servirebbe, dal momento che la stragrande maggioranza degli uomini moderni, imbevuta di pregiudizi materialisti e scientisti, si ritiene troppo evoluta, troppo razionale e intelligente, per abbassarsi a prenderne atto?
Per riconoscere qualcosa o qualcuno, bisogna innanzitutto condividere il medesimo universo concettuale: e l’universo concettuale della modernità non prevedere, non ammette, dunque n on riconosce, i fenomeni del soprannaturale: perché ha smesso di credere in Dio, così come ha smesso di credere al Diavolo. Uno studioso gnostico dei nostri giorni, dunque un autore insospettabile di simpatie cattoliche, Joel La Bruyère, ha affermato, nel suo libro dedicato al Kali Yuga, che la più grande disgrazia dell’uomo moderno è precisamente quella di aver smesso di credere all’esistenza del Demonio. Se lo dice una mistica cristiana, come Katharina Emmerick, che "vedeva" la sconvolgente, distruttiva presenza diabolica nella società moderna per mezzo delle sue visioni, le persone di formazione laica, o di convinzioni ateiste, possono anche non prestarle la minima attenzione: ebbene, che costoro riflettano almeno sulle parole di uomini come La Bryère.
Dunque: parlavamo di uomini (e di donne) importanti, uomini famosi, passati alla storia nei campi della politica, degli affari, della cultura, del pensiero, i quali si sono forse affidati alla protezione del Demonio, e che nella sua ombra tenebrosa hanno fatto la loro carriera, la loro scalata verso il successo. Nomi ce ne sarebbero tanti, perfino troppi. Qualcuno, si sa, pensa subito a Hitler: il quale, come ha affermato Hermann Rauschning, membro del partito nazista e capo del governo della città libera di Danzica, cadeva in trance e parlava ad una presenza invisibile, per la quale mostrava timore e ammirazione, e dalla quale si sentiva "posseduto". Ma l’elenco dei posseduti, certi o possibili, sarebbe lungo, lunghissimo; anche in campi nei quali non so si crederebbe. Quello della poesia, per esempio; il nome del celebre Lord Byron, per farne solo uno.
C’è una pagina significativa, a questo proposito, dello scrittore e drammaturgo spagnolo Manuel Iribarren (nato nel 1903 e morto 1973), che merita, crediamo, qualche riflessione da parte nostra (da: M. Iribarren, «I grandi davanti alla morte»; titolo originale: «Los grandes hombres ante la muerte»; traduzione dallo spagnolo di Luigi Rolfo, Alba, Edizioni Paoline, 1957, pp. 317-9):
«Per Byron, la vita fu un teatro continuo nel grande scenario del mondo; ed egli ne fu l’attore principale.
Un tacito accordo fra gli uomini tende a diminuire, se non eliminare, l’influenza del diavolo sulle relazioni umane: la società moderna dei credenti elude senza proporselo il concetto tradizionale del Maligno. Questo, in ultima analisi, risulta pericoloso per l’ortodossia; ma non si può negare che, dal giorno in cui Mefistofele venne a patti con Faust, il demonio ha perso molta importanza come agente di seduzione. Tuttavia, quando studiamo la vita dei grandi ribelli, troviamo che molte delle loro relazioni si possono spiegare solo mettendoci in mezzo un elemento demoniaco, poiché sono superiori alla cattiveria naturale dell’uomo.
In certi momenti della sua esistenza, Lord Byron pareva, e forse fu realmente, invaso dal demonio. Egli stesso ammetteva poderose influenze diaboliche e divine intorno alla sua coscienza, e giunse al punto di credere intimamente d’essere trascinato al male da una forza irresistibile. "Hai sposato un demonio!" urlò alla povera moglie in una di quelle frenetiche veglie coniugali in cui derideva il suo puritanesimo e cercava di convincerla che tutte le religioni e tutte le morali erano false.
Byron e il suo demonio appaiono vincolati all’antica badia di Newcastle, residenza dei suoi predecessori e, secondo ‘espressione del poeta, "cupola monastica dove la superstizione ebbe un tempo il suo antro". Egli giunse per la prima volta a Newcastle nell’autunno del 1798, in compagnia della madre e di May Gray, una servetta che si mostrava assai condiscendente con gli uomini che la circondavano. Il giovane sognatore si sentì subito attratto dall’incanto di quelle rovine: le celle vuote, il chiostro, gli scuri corridoi a volta e quel lago vicino contribuirono notevolmente allo sviluppo della sua immaginazione.
La badia di Newcastle fu lo scenario preferito dei suoi baccanali e della sua liturgia luciferina. In maggio del 1809, prima di partire per la Grecia, vi riunì gli amici e s’abbandonò con essi a orge memorabili, in cui il macabro e il sensuale giunsero a estremi inconcepibili. Byron, vestito da frate, dirigeva i banchetti servirti da meretrici contadinotte, reclutate nei paesi del contorno. Si presentava col pastorale in mano, e, come "abate del cranio", offriva vino ai commensali servendosi d’un teschio di monaco trovato nel giardino, che un argentiere di Nottingham aveva trasformato in un lucido ed elegante recipiente, sul quale aveva fatto incidere i seguenti versi:
"Meglio contenere lo spumoso vino / che alimentare la razza dei vermi".
Spinto dal suo demonio, egli trovava un gusto speciale nelle profanazioni; e per questo suo gusto insano, decise di vestirsi da monaco in un ballo mascherato organizzato in onore del duca di Wellington, vincitore di Napoleone.
Byron è il cantore delle tombe e dei ricordi. Chiamava il suo spirito "museo di divinità defunte"; provava una strana voluttà nella contemplazione del passato come cimitero d’illusioni morte; e il nulla delle vanità gli suggerì, per i suoi versi, considerazioni filosofiche:
"Ma io che amo la vera filosofia, / dico spesso a me stesso: Ahimè! / Tutte le cose che son nate, non sono nate che per morire".
Byron era convinto che "viviamo più coi morti che coi vivi", e lamentava che non vi fosse una risurrezione per i giorni. La Scozia della sua infanzia era piena di tombe e di fantasmi. Nella sua adolescenza, si sentì attratto verso le solitudini dei cimiteri e s’innamorò delle grandi rovine. Il litorale mediterraneo, che costituisce una immensa fossa d’imperi e di civiltà, parlò alla sua sensibilità della vanità dell’esistenza. Meditò sulla tomba d’Achille a Troia, e trascinò la sua melanconia fra i sepolcri dei sultani a Costantinopoli. Lo spettacolo della morte, inseparabilmente unito a quello della vita, nutrì sempre il suo estro. Conservava nella memoria il ricordo di quella strada disseminata di croci che aveva percorso a cavallo da Lisbona a Siviglia, con le immagini contrastanti del cielo andaluso, delle spie, e d’un prigioniero che camminava verso la forca. A Bologna, visitò spesso il cimitero per il gusto di conversare col becchino e ammirare la straordinaria bellezza di sua figlia.
Fra le impressioni più forti provate da Byron, bisogna annoverare quella che gli produsse a Milano un quadro di Daniele Crespi, degno d’un racconto di Boccaccio o d’una leggenda del Medioevo. Rappresentava i funerali d’un canonico che, sentendo cantare l’ufficio dei defunti, s’alzava a sedere sulla bara collocata nel centro della chiesa, per dichiarare che era stato condannato.»
Senza entrare più di tanto nello specifico della questione — peraltro, gli stessi biografi e studiosi di Lord Byron sono giunti a conclusioni contrastanti, rispetto all’argomento che qui trattiamo -, un punto ci sembra importante, e Manuel Iribarren lo mette assai bene in evidenza: vi è, in certe persone, una capacità di cattiveria, di malizia, che sembra superiore alle possibilità umane; vi sono azioni così turpi, così mostruose, che si stenta a credere che possano essere maturate in una mente umana, per quanto depravata, per quanto feroce, senza un intervento estraneo. La capacità di cattiveria umana è grande, grandissima: ma ha pur sempre dei limiti. Non è illimitata, perché nulla di quanto l’uomo può concepire è illimitato: l’uomo è un essere finito, limitato, circoscritto; possiede, nondimeno, un canale di collegamento con l’infinito e con l’assoluto. Ora, questo canale può essere percorso nei due sensi, dall’interno verso l’esterno, e nelle due direzioni: verso l’alto e verso il basso. In altre parole, l’uomo può rivolgersi a qualcosa che è superiore alla sua natura, e può riceverne l’influsso; e può farlo tanto nel bene, come nel male.
Vi sono persone ambiziose, divorate dalla smania di emergere, di dominare sugli altri, di strappare fama e ricchezza, o di esercitare il potere, a qualsiasi costo e con qualunque mezzo; persone che non esitano a rivolgersi al Diavolo, la cui credenza, negata dalla cultura ufficiale, è tuttavia coltivata in segreto anche da insospettibili finanzieri, imprenditori, politici, professionisti: la vastissima diffusione delle sette sataniche è una realtà. Ora, i soliti razionalisti potrebbero obiettare che, se il Demonio non esiste, anche la sua credenza risulta vana e inefficace. Questo, però, è un errore: indipendentemente dalla realtà della sua esistenza (che noi, personalmente, crediamo debba essere presa estremamente sul serio), i riti e le preghiere di una comunità di persone che lo invocano creano di per sé delle potenti forze negative, reali e operanti. Anche una singola persona, divenuta esperta di determinate tecniche mentali, è in grado di farlo: e anche di ciò esistono innumerevoli casi documentati, solo che si sia disposti a vederli.
D’altra parte, tutto ciò è vero anche nella direzione opposta: una persona di alto sentire morale, o una comunità di persone le quali, con cuore puro, pregano intensamente per il bene, invocano il Bene e si pongono sotto la protezione dell’Amore, creano un circuito virtuoso potentissimo, che scavalca le stesse barriere che separano i morti dai vivi, e che produce effettivi visibili e tangibili di segno positivo: guarigioni miracolose, interventi provvidenziali in situazioni di estremo pericolo, e così via. Le vite dei santi e dei mistici sono piene di simili fatti: fatti, non semplici dicerie. Sempre per quanti sono disposti ad accettare tali realtà, sgombrando il cuore e la mente dai loro pregiudizi. Le cose sono lì per chi le vuole vedere, non per chi è talmente orgoglioso, o talmente pigro, da non voler rimettere in discussione le proprie certezze, nemmeno davanti all’evidenza.
Lord Byron, dunque, era un posseduto? Nessuno può dirlo con certezza: ma è possibile, perfino probabile. Non si celebrano orge sacrileghe, non ci si fa beffe del sacro, non ci si compiace del male, impunemente; chi lo fa, spalanca delle porte che dovrebbero restare chiuse: quelle del Male…
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