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Giordano Bruno volle distruggere il cristianesimo e farsi papa d’una religione magica

La figura di Giordano Bruno è una di quelle che sembrano fatte apposta per dividere, per confondere, per creare dispute ideologiche: e forse è proprio così, nel senso che è stata costruita apposta, "post mortem", dai sostenitori del relativismo, del pensiero magico e del panteismo anticristiano, per sventolarla come una bandiera — la bandiera d’un martire! — e per fare in modo che tutta la sua opera, tutto il suo significato storico, si prestino a questo preciso scopo: far sembrare che Bruno sia stato il precursore della scienza moderna, della libertà di pensiero, della ragione contro l’intolleranza e l’ottusità ecclesiastica.

Egli, invece, non fu nessuna di queste cose, e della sua opera tutto si può dire, tranne che abbia precorso la scienza moderna o che abbia esaltato la libertà del pensiero.

Bruno era non solo un mago, ma, quasi certamente, una spia di professione, o un agente provocatore, al soldo del migliore offerente, specie della regina d’Inghilterra; un egoista, un ambizioso frenato, un cinico ingrato, che arrivò a spiare il suo protettore e benefattore, l’ambasciatore francese a Londra, Castelnau, nella sua stessa casa; un egocentrico, pazzo di superbia e presunzione, che, ovunque, andasse — e andò in giro per quasi tutta l’Europa — trovò modo di attaccare briga con chiunque, di offendere, scandalizzare e denigrare pressoché tutti; che menò per il naso i protestanti, fingendosi dei loro, e i cattolici, ugualmente fingendo di volersi convertire e riconciliare con la Chiesa; un mago che voleva sfruttare le sue arti tenebrose per dominare la volontà altrui, cominciando da quella dei potenti personaggi ai quali si appoggiava, e che gli davano i soldi per stampare le sue numerosissime opere; un grafomane che volle scrivere su qualunque argomento, ma con poca originalità, rifriggendo continuamente la stessa minestra: l’immensa sapienza degli antichi, specialmente degli Egiziani, in fatti di magia, alchimia, astrologia, contrapposta alla crassa ignoranza e alla bestiale stupidità degli uomini moderni, rimbecilliti da oltre mille anni di cristianesimo; un megalomane che chiamava se stesso come il più colto e il più intelligente degli uomini, attaccato e vilipeso da orde di animali, d’imbecilli, di somari, vale a dire i professori e i rettori delle tante università ove tenne cattedra, finendo regolarmente cacciato: da Parigi a Oxford, da Praga a Wittenberg; da ultimo, un nemico dichiarato di Cristo, della Trinità, della Chiesa cattolica, che ebbe l’incredibile sfrontatezza di voler far credere al papa di essere più cattolico di lui, così come aveva voluto far credere ai luterani di essere il più grande ammiratore di Lutero, anche se prima, in alcune opere, aveva dipinto i protestanti come una pessima razza d’uomini empi e scellerati, che si sarebbe dovuta spazzare via, con il ferro e con il fuoco, per liberare l’umanità dalla sua sozza e mefitica presenza.

Di ciò abbiamo già avuto occasione di parlare, e non ci soffermeremo ulteriormente (cfr. il nostro precedente articolo: «È storicamente giusto vedere in Giordano Bruno un martire del libero pensiero?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 24/03/2011). Ora vogliamo evidenziare in maniera più esplicita quali fossero le finalità ultime di quest’uomo dalle ambizioni smisurate, che vedeva se stesso quasi come un Dio e come il restauratore dell’ordine e del benessere universale: distruggere il cristianesimo — che, a suo parere, aveva distrutto la civiltà europea e risospinto gli uomini nell’ignoranza più "asinina" — e introdurre, al suo posto, una nuova religione panteistica e magica, nella quale egli avrebbe occupato un posto eminente e della quale avrebbe voluto essere, se possibile, l’alfiere, la guida e il capo riconosciuto: una specie di Antipapa anticristiano.

Uno dei massimi conoscitori, nonché dei massimi estimatori, del Nolano, che ha, se non altro, il dono della chiarezza e della sincerità, così sintetizza il progetto di distruzione e ricostruzione religiosa dell’Europa, con particolare riguardo allo «Spaccio della bestia trionfante», ma, in effetti, riferendosi anche all’insieme della "filosofia" del Nostro (da: Michele Ciliberto, «Giordano Bruno. Il teatro della vita», Milano, Mondadori, 2007, pp. 256-257; 259-260):

«Chi fossero coloro che avevano scacciato Dio dal mondo, si può comprende dagli epiteti con cui Bruno li definisce: "mezi uomin" e "meze bestie", degni seguaci di Cristo, il quale nello "Spaccio" è rappresentato dal centauro Chirone, – mezzo uomo e mezza bestia, mezzo uomo e mezzo Dio -, con una critica spietata al dogma dell’Incarnazione. Sono stati gli impostori cristiani a separare — e contrapporre — Dio, uomo e natura, abbandonando il mondo nelle mani della "fortuna traditora" e dissolvendo ogni principio di verità, di giustizia e di religione […] Alla radici della "favola" raccontata nello "Spaccio" c’era dunque l’antico e doloroso convincimento che il mondo fosse stato abbandonato da Dio nelle mani di una sorte incapace di distinguere fra buoni e cattivi, tra degni e indegni, tra meritevoli e non meritevoli. Le esperienze fatte a Napoli, le dure umiliazioni subite a Ginevra, i violenti scontri con i pedanti prima a Parigi, poi a Oxford e a Londra, furono per Bruno la conferma di una persuasione che con il tempo diventava più acuta e più tormentosa sia sul piano individuale che su quello universale, uniti in uno sguardo che congiunge — illuminandoli — entrambi. Ai suoi occhi, in una sorta di gioco doloroso, microcosmo e macrocosmo si rifrangevano l’uno nell’altro: nello specchio della sua vicenda personale — nelle persecuzioni che subì, nelle burrasche che lo investirono — egli individuava i segni di una vicenda universale che coincideva, al fondo, con quella della eterna verità. Le traversie alle quali era sottoposto corrispondevano , sul piano biografico, alla "depressione" e alla "summersione" alle quali è assoggettata la verità nel ciclo della storia e delle civiltà. Allo stesso modo, la rinascita e la "renovatio" della verità dopo secoli di tenebre s’intrecciavano al germinare e al dischiudersi di un nuovo orizzonte, favorevole alle speranze e alle aspettative del Nolano: anzi, quanto più erano state profonde e dure la "depressione" e la "summersione" alle quali l’una e l’altro erano stati costretti, tanto più glorioso e illustre sarebbe stato il loro trionfo. […]

Il problema che Bruno si poneva con lo "Spaccio" e, in generale, con la sua riflessione etico-politica e religiosa era quello di ridonare al mondo quel senso che l’impostura cristiana aveva distrutto. Ma fare questo significava ristabilire un rapporto tra Dio, uomo e mondo, ricostituendo i nessi spezzati dal cristianesimo. Non che il cristianesimo non avesse sentito il bisogno di stringere un legame tra uomo e Dio, anzi: si era inventato il mito dell’Incarnazione, anch’essa una favola cattiva e una maligna impostura. Dio non poteva essere riportato in quel modo nel mondo, perché non è possibile che l’infinito si congiunga al finito, in un soggetto umano. Questa era superstizione, senza alcun senso. Il rapporto tra Dio e il mondo poteva essere ricostituito solo a muovere da una concezione che insistesse sulla comunicazione tra Dio, uomo, natura, mantenendo le differenze fondamentali che il cristianesimo aveva tentato, inutilmente, di cancellare. I cristiani avevano infatti sbagliato per due motivi: perché avevano parlato di Incarnazione e perché avevano contrapposto Dio e mondo, costruendo un mondo senza Dio: al fondo, il cristianesimo era una religione atea, fondata sull’inganno della Croce. Una nuova religione, positiva per il "convitto umano", doveva essere basta su una nuova idea di Dio, e su una nuova concezione del rapporto tra umanità e divinità, attraverso la natura. Per Bruno, era questa la funzione dell’ontologia messa a fuoco nel ""De la causa", fondata sulla distinzione, al tempo stesso, sulla connessione di "assoluto" e di "comunicato", da cui discendono sia la visione dell’universo infinito e dei mondi innumerabili che una nuova concezione della legge e della religione. Da questo punto di vista, egli era distante da due dei suoi maestri più importanti — Machiavelli e Alberti — e da qualunque interpretazione in chiave "strumentale" o "convenzionalistica" della "legge": una nuova ontologia, nuova legge, nuova religione dovevano essere strettamente saldate nella "nova filosofia". Per non finire nell’ingiustizia, nel dominio degli "angeli perniciosi" — come era avvenuto con l’epoca cristiana, quando era stato lasciati a se stesso — il mondo aveva bisogno d’un principio d’ordine universale, valido per tutti; ed esso non poteva essere che divino, frutto della "comunicazione" con Dio. Una prospettiva di carattere materialistico a Bruno era del tutto estranea: se così fosse stato, si sarebbe precipitati, come nel "Candelaio", nel caos, nel disordine, nell’ingiustizia. Per ridonare ordine e giustizia al mondo dopo la lunga crisi del dominio cristiano ci volevano dunque una nuova idea di Dio e una nuova idea del rapporto tra Dio, uomo e natura. Perciò il secondo dialogo dello "Spaccio si apre insistendo sul rapporto tra "Provvidenza" e "Prudenza", tra "Sofia superiore" e "Sofia inferiore", tra "Sofia", "Legge" e "Giudizio": perché solo rimettendo n relazione "alto" e "basso", "cose superiori" e "cose inferiori" sarebbe stato possibile fondare effettivamente una nuova legge e una nuova religione, avviando il processo di "renovatio mundi". Presente in ogni dettaglio del mondo, anche il più insignificante, il Dio di Bruno non sceglie e non predetermina, ma si esplica in tutti gli aspetti della realtà, riscattandoli uno a uno e ridonando ad essi senso, valore, significato. E a loro volta, tutti i livelli della realtà, dai "minimi" ai "massimi" — compreso l’uomo, che si serve, a questo fine, anche della magia -, guardano a Dio e cercano, ciascuno con le sue forze, di risalire verso la divinità. Nel "nesso" universale, come l’uomo ha bisogno di Dio, così Dio ha bisogno dell’uomo.»

A dire il vero, più che di una filosofia, qui ci si dovrebbe occupare di un delirio di onnipotenza, vale a dire di un disturbo psichico: non ci sono, propriamente, ragionamenti filosofici a sostegno di questo guazzabuglio di profezia, paganesimo, panteismo, animismo, panpsichismo, ma soltanto una estrema, delirante, paranoica "volontà" di potenza, alla quale si oppongono gli "asini", i "pedanti", i "mezzi uomini", cioè, in definitiva, l’intero genere umano, o, quanto meno, tutti coloro i quali non sono disposti a riconoscere, immediatamente e sulla sola testimonianza delle sue parole, che il rinnovamento universale batte ormai alle porte e che esso coinciderà con la gloria imperitura di lui, Giordano Bruno.

Bruno, mano a mano che i suoi tentativi di ottenere clamorosi riconoscimenti falliscono, e che le sue aspettative di rigenerazione cosmica sembrano costrette a prolungarsi un po’ troppo, aumenta la posta, come un giocatore sfortunato, che si accanisce contro la fortuna nemica, la sfida, la provoca, la insulta. Egli somiglia al Nietzsche della follia, al Nietzsche che balla nudo in camera sua, sopra il letto, e che spedisce gli inverosimili, pietosi "biglietti della follia" alle persone più diverse: dalla vedova di Wagner, Cosima – forse amata in segreto per tutta una vita – al Kaiser di Germania; come lui si crede un Anticristo, un liberatore del mondo, un salvatore provvidenziale; e anche lui, forse, si industria di gettare le premesse per una gloria postuma, che non farà leva tanto su quel che realmente ha detto e scritto, ma su quel che i posteri vorranno fargli dire, avendo preso la sua persona, e non il suo pensiero, a simbolo di un mondo "nuovo", nel quale il rinnovamento dovrà manifestarsi prima di tutto come distruzione degli "idoli", a partire dall’idolo-Cristo, che ha insegnato agli uomini una dottrina empia, crudele e distruttiva.

Ma via! Possibile che fossero tutti quanti asini, pedanti, imbecilli, dai professori di Oxford a quelli di Wittenberg, passando per la Sorbona e per la corte praghese di Rodolfo II? Possibile che egli abbia subito solo "persecuzioni", lui che tradiva tutti, spiava tutti, ingannava tutti, a cominciare dai suoi anfitrioni, ai quali faceva false promesse di sapere esoterico, e poi si limitava a sfruttarli per farsi mantenere senza far nulla, come accadde con il patrizio Mocenigo, a Venezia? E possibile che il mondo intero, la storia, la religione, altro non fossero che un riflesso della vicenda personale del Nolano, una amplificazione della sua vita, dei suoi successi, dei suoi fallimenti, delle sue attese, speranze, ambizioni? Eppure lo stesso Ciliberto, intuendo l’improbabilità d’un simile ritratto, a un certo punto si corregge e, subito dopo aver parlato delle persecuzioni che Bruno subì, allude alle "burrasche" che lo investirono. Insomma: furono persecuzioni o furono burrasche? Le persecuzioni sono qualcosa di volontario e d’immeritato; le burrasche, qualcosa d’impersonale e di casuale. E tuttavia, si dirà, Bruno fu perseguitato a morte. È vero, fu condannato al rogo (in verità, dopo un processo estremamente scrupoloso, durato otto anni e durante il quale gli fu offerto il modo di salvarsi: cosa che egli ripetutamente promise di fare, per poi rimangiarsi tutto ogni volta). Però non fu condannato, si badi, in quanto innocente precursore della scienza, ma come mago anticristiano…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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