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28 Luglio 2015Come si concilia la credenza greco-romana nell’esistenza di "demoni", esseri intermedi fra gli uomini e gli dèi, con quella cristiana negli angeli e nei diavoli, credenza, quest’ultima, che divide nettamente in due schiere, buona e malvagia, le creature spirituali che si muovono al di sopra della dimensione umana, ma nella quale possono intervenire?
Nel corso di un certo lasso di tempo, gli scrittori, i padri della Chiesa, gli apologisti cristiani accentuarono la tendenza a vedere nei "demoni" pagani null’altro che diavoli ("daimon" è un essere divino; "diabolos" è colui che divide o che accusa); e, di conseguenza, nel paganesimo, nient’altro che una religione demoniaca, che, sotto le mentite spoglie delle varie divinità e dei vari culti, serve, in effetti, il Diavolo in persona, allo scopo di portare gli uomini alla confusione, al peccato e alla dannazione eterna.
Tracce di questa teologia sono presenti negli scritti cristiani più antichi, come le «Epistole» paoline: nella famosa «Lettera ai Romani», in particolare, si afferma chiaramente che esiste una stretta relazione fra il culto di divinità false e ingannevoli, che si fanno adorare in quanto idoli di animali, e il traviamento morale dei loro seguaci, che, smarrita, falsificata e orribilmente deturpata l’immagine di Dio, precipitano nelle peggiori perversioni.
D’altra parte, nella cultura cristiana dei primi secoli, esisteva anche la tendenza opposta, mirante a riallacciarsi alle radici della civiltà greca e a interpretare in senso cristiano, per quanto possibile, le stesse credenze del paganesimo, sia quelle filosofiche, sia, perfino, quelle religiose; e, all’interno di essa, si pensava che i "demoni", o messaggeri, di cui avevano parlato Socrate e Platone, altro non fossero che gli angeli. Questa tendenza operava quindi una distinzione fra demoni buoni e cattivi: i diavoli veri e propri corrispondevano ai demoni malvagi.
Ad ogni modo, a partire dall’età costantiniana si accentò la prima tendenza, quella anticlassica e antipagana, forse anche perché, nella stessa fase storica, si stava accentuando la tendenza uguale e contraria da parte del paganesimo morente, e specialmente del neoplatonismo: uomini come Celso, come Porfirio, come Giamblico, non facevano sconti al cristianesimo e ritorcevano contro di esso l’accusa di venerare come creature spirituali e benevole, ossia come angeli, delle creature malvagie, che erano, in realtà dei diavoli veri e propri.
In questi scambi di accuse e controaccuse, era chiaro che l’ultima parola sarebbe spettata, alla fine, a quella delle due culture che avesse materialmente preso il sopravvento sull’altra; e dopo che, con l’editto di Tessalonica (27 febbraio del 380 d. C.), Graziano e i suoi colleghi, Teodosio e Valentiniano II, ebbero messo fuori legge i culti pagani (insieme all’arianesimo), il processo di demonizzazione del paganesimo conobbe una brusca accelerazione. Ne parla diffusamente lo storico svizzero Jakob Burckhardt nella sua opera ormai classica «L’età di Costantino il Grande», del 1853, in un capitolo dedicato, in modo specifico, a questo argomento: per cui rimandiamo ad esso il lettore desideroso di ulteriori approfondimenti.
Ma dobbiamo ritenere ormai chiusa e definitivamente chiarita tale questione storiografica? Niente affatto: perché, se è certo che la cultura cristiana, a un certo punto, anche per ragioni contingenti e strumentali, ritenne di "demonizzare" più o meno tutto il paganesimo, è pur vero che l’altra tendenza, ispirata a rispetto nei confronti della cultura classica, e specialmente di alcuni autori, come Platone e Virgilio, più facilmente suscettibili di essere "cristianizzati", non si spense mai del tutto: sì che sarebbe più giusto affermare che il cristianesimo prevalse sul paganesimo, ma al prezzo di molte concessioni verso la cultura sconfitta, con la quale finì per realizzarsi una sorta di sincretismo, complesso e a volte problematico, ma originale e vitale.
D’altra parte, non si può negare che, nel tardo paganesimo, e specialmente nel neoplatonismo, vi sia stata una forte attrazione nei confronti della magia, anche della magia nera, dell’occultismo, della negromanzia, sì che non riesce sempre facile, allo studioso moderno, capire fino a che punto la tendenza cristiana a vedere gli dei e i "demoni" del paganesimo come esseri malvagi e diabolici, sia una sostanziale forzatura, scaturita dallo scontro e dalla polemica in atto con la cultura pagana, e quanto, invece, corrisponda a un dato di fatto reale e oggettivo, ossia alla reale credenza, e talvolta alla adorazione, in chiave di magia nera, dei demoni malvagi, da parte dei filosofi e dei sacerdoti pagani, specialmente quelli di orientamento neoplatonico o platonizzante.
Non deve perciò destare troppa meraviglia il fatto che una simile ambiguità sia stata consegnata in eredità ai secoli del Medioevo, durante i quali le due tendenze continuarono a sopravvivere: e, mentre alcuni inquisitori vedevano nelle "streghe" del loro tempo delle donne che praticavano arti diaboliche di origine antichissima, e cioè pagana, non mancarono nemmeno studiosi, anche di tendenza ereticale, che si sforzarono di "riabilitare" la natura degli dèi pagani, negando la loro intrinseca malvagità. Tale fu la convinzione di Vilgardo, che finì giustiziato a Ravenna, nel 970, dopo un processo e una condanna per eresia.
Il punto di vista "classico", cioè anticattolico, sul processo di demonizzazione del paganesimo, è stato esposto, fra gli altri, dal latinista Carlo Pascal (Napoli, 21 ottobre 1866 — Milano, 22 settembre 1926) in numerose opere, in particolare nella monografia «Dèi e diavoli. Saggi sul paganesimo morente» (Firenze, Le Monnier, 1904, ristampato con il titolo: «Dèi e diavoli nel paganesimo morente», Fratelli Melita Editori, 1988, pp. 71-79):
«Gli antichi dèi detronizzati non perdettero però ogni efficacia sugli spiriti ed ogni intervento nei fatti umani. Fu ad essi riserbata una strana sorte, diventarono demoni. […] Tanto nel paganesimo quanto nel cristianesimo era la dottrina che fossero spiriti vaganti per il mondo, intermediari tra l’uomo e la divinità, variamente operanti sui destini umani, o custodi di singole vite. Nel paganesimo la credenza nei demoni, come spiriti individuali che accompagnassero l’uomo, è molto antica: si ritrova già in Pindaro ("Phyt.", V, 164 seg.) e in Teognide (v. 161 sgg.); e presso Menandro (fr. 550 Kock) si ha già la distinzione tra due specie di demoni, i buoni e i cattivi. Notissime sono del resto le tradizioni sul cattivo demone di Bruto (Plut., "Brut.", 36) e su quello di Cassio Parmense (Val. Mass., I, 7, 7). Nel tardo paganesimo tal dottrina sembrava offrire il modo di conciliare l’antico politeismo con la nuova idea monoteistica, di cui pareva farsi sempre più vivo il bisogno nelle coscienze. Massimo Tirio attesta essere già universale al suo tempo la credenza che ci fosse un unico dio, re e padre di tutte le cose, e accanto a lui molti altri dèi, figliuoli di Dio. Questo, egli dice ("Diss.", XVIII, 5), professa il greco e lo straniero, l’uomo del continente e il marinaro, il saggio e l’indotto. E altrove ("Diss.", XIV, 8) egli spiega il concetto di queste divinità secondarie. Sono nature immortali, che risiedono tra la terra e il cielo, più deboli di Dio, ma più forti degli uomini, e sono ministri di Dio, e custodi degli uomini. Così pure li rappresenta Apuleio nel "Deo Socratis", quali "medias potestates per quas desideria nostra et merita ad Deos commeant", e Plutarco nel "De defectu oraculorum", 10, asserisce che avevano risoluto le maggiori difficoltà quelli che avevano escogitato una stirpe di demoni intermedia tra l’uomo e la divinità. Come si vede molto si avvicinava a tale concetto quello degli angeli cristiani, che troviamo raffigurati negli antichi monumenti raffigurati ai lati del Salvatore, alati campioni della verità e della fede, intermediari tra la volontà divina e le speranze e le preghiere umane. Anche su questo punto si accese il dibattito tra i sostenitori delle due religioni avversarie, giacché gli oppositori del cristianesimo, come il platonico Celso, affermavano non potersi far distinzione tra i demoni pagani e gli angeli cristiani (Orig., "Contra Celsum", V, 4, sg.). E tra le file stesse dei Cristiani non mancarono quelli che tale identità ammisero e propugnarono, e ne trassero anzi argomento a confortare la loro tesi, che parte della verità si fosse già rivelata ai saggi antichi. Viene di solito attribuita a Platone la conoscenza della vera natura degli angeli, sulla scorta di quel passo del "Simposio" (202 E) nel quale si dice essere i dèmoni nature intermedie tra gli dèi e gli uomini, nunzi ai primi delle cose umane. Tal concetto fu poi ripreso e spiegato da Porfirio […]
Ma il paganesimo aveva pure […] i suoi i suoi dèmoni maligni. Questi si compiacevano di sferze, battiture e digiuni, voci di malo augurio, detti osceni (Plut., "De Iside et Os.", XXVI; "De defectu oracul." XIII in f.). Ed era turbato anche il paganesimo dalle trepide fantasie di anime invase ed agitate dai dèmoni; s’indicava anzi nelle superstizioni popolari una pietra miracolosa del Nilo, come avente la virtù di fugare lo spirito maligno, sol che si accostasse al naso dell’invasato (Ps. Plutarco, "De fluviis", XVI, 2). Si può di leggieri immaginare quanto tal dottrina giovasse agli intenti degli apologisti cristiani, i quali vedevano dunque nello stesso paganesimo la conferma della loro idea, che cioè le anime degli infedeli fossero in preda a spiriti malvagi. Lattanzio riporta le opinioni di Hermes Trismegisto e di Asclepio, che chiamavano i dèmoni "nemici e tormentatori degli uomini" ("Inst.", II, 15, 8) […].E tanto oltre gli apologisti procedettero in questa loro idea, che s’indussero a interpretare come spiriti maligni, pure quelli che come tali non erano stati evidentemente considerati dagli scrittori che essi citano; Lattanzio si appella alla autorità di Esiodo e ne riporta i due versi ("Op. et D.", 122 sg) […]. Peggio è che a tali scrittori, che pur si ornavano di così eletta sapienza, non ripugnasse maculare la pur grandiosa memoria di Socrate, traendo a siffatta interpretazione il demonio socratico. Menti così illuminate, che non rifuggivano dal prendere l’anima sublime di Socrate come tipo ed esempio di tutti gli ossessi, di tutti gl’invasati dal demone malvagio! Così Minucio Felice ("Oct.", 26) "[daemonas] Socrates novit qui ad nutum et arbitrium assidenti sibi daemonis vel declinabat negotia vel petebat". Così Ciprinao […] e Tertulliano […] e Lattanzio […] nei quali passi tutti l’esempio di Socrate è addotto per quanto dalle parole citate non appaia, per confermare con un’autorità storica l’esistenza dei dèmoni maligni. Il cristianesimo dunque interpretò come malvagi tutti i dèmoni. […] A tal condizione di dèmoni i filosofi del cristianesimo ridussero gli antichi dèi pagani. Essi non negarono la loro realtà né il loro intervento nei fatti umani: ma li giudicarono spiriti malvagi, insidiosi, e ingannatori, che ponevano la loro stanza nei templi e nelle statue consacrate ed ivi facevano risentire i loro malefici effetti, sconvolgendo le menti, distraendole dalla cognizione di Dio, irrompendo a quando a quando nei corpi miserandi degli uomini, torcendone le membra, distruggendone la salute.»
Ci è impossibile riportare tutto il brano riguardante la demonizzazione del paganesimo, per cui ne riassumiamo brevemente il seguito.
Pascal ricorda che sia Commodiano, nelle «Instructiones», sia Lattanzio, nelle Instututiones», rifacendosi a un celebre passo della «Genesi», spiegano la comparsa dei démoni come effetto della mescolanza sessuale degli angeli inviati da Dio sulla Terra e le femmine umane, delle quali si erano invaghiti, contaminandosi e perdendo, così, la loro natura celestiale. Lattanzio, poi (II, 14), dice che le creature generate da quegli amplessi furono di due specie, l’una celeste, l’altra terrena. Dopo la loro morte, questi figli degli angeli corrotti erano stati adorati dagli uomini come dèi, ma non erano che dèmoni. Questa tradizione si fuse con un’altra, molto più antica, secondo la quale gli spiriti dei morti diventano démoni, credenza attestata, fra gli altri, in Esiodo, Eschilo, Euripide. Si trattava di divinità parificate ai dèmoni: ma, ovviamente, non nel senso di esseri malvagi, bensì in quello, diciamo così "socratico", di creature intermedie fra le umane e le divine. Gli apologisti cristiani non avrebbero fatto altro che unificare le due credenze pagane: quella che i dèmoni fossero gli spiriti dei morti e quella che dèmoni fossero gli dèi. Con questa variante, però: che non ammisero l’esistenza di dèmoni buoni, ma li immaginarono tutti malvagi, tutti asserviti alla potestà del Male.
I dèmoni, dunque, pur vagando negli spazi fra la terra e il cielo, avevano la loro sede nei templi e nelle statue delle divinità pagane: si pascevano dei sacrifici offerti loro dagli uomini ed esercitavano su di essi ogni sorta di malefico influsso. Così Lattanzio, così Cipriano. A partire da quel momento, cominciò la trasformazione degli dèi in dèmoni anche nell’immaginario collettivo: e Diana, per esempio, divenne il demonio che presiedeva, di notte, il sabba delle streghe. Il pantheon, tempio di tutti gli dèi, divenne il ricettacolo di tutti i dèmoni; mentre Venere, la tentatrice per eccellenza, divenne la principessa dell’Inferno. Vilgardo, l’eretico del X secolo che tentò di restaurare la natura non maligna degli dèi pagani, fu visto dalla Chiesa come l’espressione di un estremo rigurgito delle credenze demoniache, e condannato a morte.
Questa, in sintesi, la tesi centrale di Carlo Pascal circa la demonizzazione del tardo paganesimo greco-romano da parte della vittoriosa religione cristiana.
A questo punto, potremmo lasciare impregiudicata la sostanza della questione e limitarci a prendere atto della radicale inconciliabilità delle due tendenze teologiche oggi esistenti: quella filo-cattolica, propensa a ribadire la natura demoniaca degli dei del paganesimo, e quella filo-pagana, che la nega, e, semmai, tenta di ribaltare l’accusa. Colpisce il silenzio imbarazzato della storiografia: nessuno storico ha voglia di impelagarsi in una simile discussione; così come pochi hanno voglia di impelagarsi in una discussione, non già sulle vicende relative ai processi medievali contro la stregoneria, ma circa la reale natura della stregoneria stessa.
Ci sembra che l’antropologia e la storia delle religioni possano e debbano venire in nostro soccorso, davanti a un simile silenzio imbarazzato, così come davanti a tesi contrapposte così chiaramente originate da preoccupazioni di natura extra-storiografica. La domanda che poniamo è la seguente: esisteva un culto demoniaco, all’interno della religione — ma sarebbe meglio dire: delle religioni — del paganesimo, o si trattava di false accuse gettate dai cristiani; così come i cristiani, a loro volta, erano stati a lungo accusati di ateismo, per il fatto di aver sempre rifiutato di rendere al loro Dio un culto "materialistico", simile a quello dei pagani? E, secondariamente: si trattava di mere credenze superstiziose, oppure esse poggiavano su qualche cosa di reale?
Alla prima domanda, crediamo di poter rispondere affermativamente. Gli antropologi che hanno studiato da vicino molti popoli extra-europei, sanno che, in molti di essi, sono vivi non solo la credenza nelle entità demoniache, ma anche il loro culto e la loro evocazione magica; che i praticanti della stregoneria tentano di servirsene per i loro scopi tenebrosi, e li adorano, chiedendo loro di ricevere i poteri di cui hanno bisogno; e che tali poteri e tali entità sono molto temuti dalla popolazione, la quale si sente esposta alla loro azione subdola e malvagia, suscettibile di portare perfino alla morte, operata a distanza, di persone innocenti, secondo la volontà perversa degli spiriti maligni, delle streghe o degli stregoni. E, se tale credenza esiste ancora oggi, non si vede perché non avrebbe dovuto esistere allora, quando le conoscenze scientifiche erano assai più rudimentali e la distinzione fra mondo naturale e mondo soprannaturale (o, anche, preternaturale) era sovente di difficile definizione.
Anche alla seconda domanda crediamo di poter rispondere affermativamente, ma a titolo di convinzione personale. Se il Diavolo esiste, allora gli stregoni e le streghe che praticano la magia nera possono realmente operare dei malefici e altre forme di azione malvagia a distanza nei confronti delle loro vittime; e anche il Diavolo stesso può vessare, ossessionare, e, nei casi più gravi, possedere le persone che ha preso di mira. Inoltre, se il Diavolo esiste, è perfettamente logico pensare che esso si serva, e si sia sempre servito, di talune credenze religiose, di taluni culti, di talune categorie di persone dedite a tali culti, per realizzare i suoi scopi a danno dell’umanità, ma senza farsi riconoscere come tale. In altre parole, è logico pensare che, accanto al satanismo, cioè all’adorazione consapevole del Diavolo, gli uomini abbiano talvolta adorato quest’ultimo in forma inconsapevole, attraverso religioni pagane basate sulla crudeltà, sulla violenza, sul sacrificio umano, laddove egli simulava di essere Dio e riusciva a stravolgere, così, ai loro occhi, la vera immagine di Dio stesso, che è, prima di tutto, Amore.
Avvenne qualche cosa di simile nel tardo paganesimo, in certe sette e circoli neoplatonici, così come si può almeno sospettare una presenza diabolica in certi culti e in certe pratiche di taluni popoli extra-europei, basati sull’odio, sulla malvagità sistematica, sull’assassinio di persone innocenti, sul cannibalismo, sulla tortura efferata dei prigionieri, tenuti in vita il più possibile, prima di essere uccisi, per poter esercitare su di essi il massimo della crudeltà fisica e morale? Viene in mente, ad esempio, la setta indiana dei Thugs; vengono in mente certe pratiche magiche e cannibalistiche dei primitivi della Nuova Guinea, o certe raffinatissime forme di tortura praticata dagli Irochesi e da altri popoli nordamericani; viene in mente la strage di vittime umane nei sacrifici aztechi; e, naturalmente, anche il sadismo infernale che spingeva folle immense di Romani a godere della sofferenza e della morte di migliaia di persone, nel corso di spettacoli pubblici ove esse erano crocifisse, arse vive, date in pasto alle fiere… C’era la presenza dei Diavolo, in tutto questo, mirante non solo a ottundere e spegnere ogni senso morale, ogni legge naturale nel cuore degli uomini, ma anche a sovvertire e rovesciare la vera immagine di Dio?
A questo proposito, vi è posto per opinioni personali diversificate. Si tratta, comunque, di questioni serie, sia sotto il profilo teologico, religioso e morale, sia sotto quello strettamente storiografico. Non è affatto vero che una sana storiografia non dovrebbe nemmeno porsi simili interrogativi. Perché mai non dovrebbe farlo? Forse perché l’ipotesi del Diavolo non è degna del modo di pensare di un uomo del terzo millennio, e specialmente di uno studioso? Ma ecco smascherato l’equivoco: la credenza nella esistenza del Diavolo, come in quella di Dio, non ha niente a che fare con la scienza: non può essere "decisa" dalla storico, e neppure dall’antropologo. Lo storico e l’antropologo devono limitarsi a prendere atto che quella credenza è esistita per secoli e millenni, e, in parte, esiste tuttora. Nessuno ha il diritto di dedurne che, se essa sta scomparendo, ciò dipende dal fatto che non esistono; ma soltanto che l’uomo, grazie all’uso libero e spregiudicato della propria ragione, ritiene di non aver più "bisogno" di credere a simili cose. Perché questa sarebbe una invasione di campo: lo storico faccia il suo mestiere di storico, e l’antropologo faccia il suo mestiere di antropologo; che essi studino, cioè, i fatti: le convinzioni e le conclusioni in materia religiosa e spirituale sono tutt’altra cosa, e ogni singolo essere umano può giungere a quelle che il suo cuore, la sua mente, la sua anima, gli suggeriscono. Senza dover temere il giudizio altrui, e specialmente di coloro i quali, con presunzione immotivata, si ergono a giudici infallibili delle credenze altrui, e pretendono di dettare anche allo storico o all’antropologo quali devono essere le loro personali opinioni circa l’intima natura dei fatti che sono chiamati a studiare.
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)