
Nel male di vivere di Oberman c’è l’angoscia dell’uomo moderno che rifiuta la trascendenza
26 Luglio 2013
Davvero Dio non è necessario per l’etica?
26 Luglio 2013Il processo a Galilei nacque dalla sua sconfinata vanità e dal suo smisurato orgoglio intellettuale

Scrive Claude Allègre nel suo libro «Dieu face à la science» (Paris, Librairie Fayard, 1997; titolo italiano: «Dio e l’impresa scientifica», traduzione dal francese di Corrado Sinigaglia, Milano, Raffaello Cortiuna Editore, 1999, pp. 23-33):
«A cinquant’anni [Galilei] è al massimo della fama. Ed è in questo momento che, senza dubbio, la sua vanità ha superato i limiti del ragionevole. Sicuro di sé e della propria scienza, convinto d’essere la più grande personalità del tempo (ignora di proposito Keplero), non ammette più il contraddittorio. Si sente signore dei cieli, colui che decide il vero e il falso. Quando un gesuita, padre Scheiner, pubblica un libro sulla scoperta delle macchie solari, Galileo rivendica un primato che non gli spetta. Fama, denaro, successo, intransigenza, arroganza – sarebbe bastato ben meno per mobilitare un battaglione di nemici![…] Intanto, sicuro di sé e del proprio genio, persegue senza sosta il suo nuovo obiettivo: come dimostrare il sistema di Copernico?Vuole farlo da solo, senza l’aiuti di nessuno. Non si cura dei calcoli di Keplero e delle osservazioni di Tycho Brahe. Anzi, si vanta addirittura di non conoscerli. Le sue osservazioni delle fasi di Venere dovrebbero fornire una prova a favore dell’eliocentrismo — in realtà, non bastano per ottenere le adesioni del mondo scientifico. Ormai crede di aver trovato l’argomento decisivo grazie alla spiegazione delle maree – spiegazione che ricorre tanto alla rotazione della Terra su se stessa quanto alla sua rivoluzione intorno al Sole. Ma Galileo non è più quel genio della cinematica che sapeva coniugare intuizione impareggiabile e rigore argomentativo, e la sua teoria elle maree, geniale ai suoi occhi, è forse il più grande errore che egli abbia mai messo per iscritto. [..]
Galileo, comunque, decide di occuparsi in prima persona di teologia. Cera di dimostrare che il movimento intorno al sole non è contrario alle Scritture, purché si dia di certi passi un’interpretazione allegorica piuttosto che letterale. Dopo alcuni scambi epistolari con numerosi amici, esprime la propria interpretazione delle Scritture in una lettera indirizzata a Castelli nel 1613. Questo documento, la "Lettera a Benedetto Castelli", circola ben presto a Firenze e in tutta la Toscana. In seguiti, egli approfondisce nuovamente la propria riflessione teologica, ossia la propria interpretazione allegorica dei testi sacri, jn una seconda lettera indirizzata questa volta a Cristiana, la granduchessa di Toscana. Questa lettera sarà conosciuta col nome di "Lettera a Madama Cristina di Lorena!". Redatta nel 1615, essa non solo riprende le teorie formulate nella lettera a Castelli relativa all0eliocentrismo, ma contiene anche altre critiche ala fisica di Aristotele e, in filigrana, la difesa dell’atomismo di Democrito. Cammin facendo, Galileo propone una nuova interpretazione della Bibbia. Si sostituisce dunque alla Chiesa, prendendo in contropiede l’interpretazione ufficiale che egli considera dovuta alla mancanza di cultura dei vescovi.
Questa volta, si è spinto troppo oltre. […] Il Granduca di Tosana e i suoi amici gesuiti gli consigliano prudenza, silenzio: invano. Con il permesso e il sostegno logistico del Granduca, Galileo si reca a Roma. Ma qui, invece di calmare gli spiriti, insiste con le sue affermazioni, e la sua arroganza intellettuale irrita la curia intera o quasi. Quando le cose cominciano a mettersi male, i gesuiti e i loro cardinali, Bellarmino, ma anche Barberini (e altri come Francesco Del Monte) intercedono in suo fave. Bellarmino espone di fronte al papa la famosa teoria sulle ipitesi di lavoro che, spiega, non pretendono affatto statuto di verità e che quindi non possono essere considerate peccato. Consiglia a Galileo grandissima prudenza, discrezione, modestia. […]Galileo non comprende bene questa strategia dell’ombra, dell’influenza e del bisbiglio, o piuttosto sovrastima il proprio potere di persuasione personale: in fondo, vorrebbe arrivare allo scontro, quando gli si consiglia di insabbiare la cosa. Non è nemmeno soddisfatto della condotta degli amici gesuiti. Non si aspettava da loro, forse, un sostegno fermo e pubblico che gli permettesse di affermare "apertis verbis" la superiorità delle proprie idee? Chiuso com’è in questa ammirazione di sé, in questo immenso orgoglio, non vede che i gesuiti si sforzano di salvare il suo onore, la sua libertà e, forse, la sua vita. […]
Galileo rientra a Firenze frustrato, sdegnato, furioso. È al sommo del prestigio, è l’uomo più famoso d’Italia e gli hanno fatto un piccolo processo, quasi di nascosto! Lo si ostacola senza condannarlo, si autorizzano i suoi avversari a diffondere voci malevole sul suo conto, ed egli dovrebbe subire senza dire una parola? Dato che alcuni pretendono che abbia abiurato, chiede a Bellarmino una lettera in cui smentisca ufficialmente il fatto, e la ottiene. Ma nel profondo resta umiliato. E l’incidente, molto grave, non gli ha insegnato nulla. Certo, capisce che per qualche tempo è meglio non parlare troppo di Copernico (e per sette anni se ne asterrà in pubblico). Ma non ha perso la spocchia, la sufficienza, né la pretesa di egemonia scientifica,m nell’ambito, in particolare, dell’astronomia. In breve, aspetta l’ora della rivincita, preparandosi ad attaccare, soprattutto i traditori: gli ex amici gesuiti. L’affondo ai gesuiti del Collegio romano è lanciato in occasione di quello che si chiamerà l’affare delle comete e che nulla aggiungerà alla gloria di Galileo. […] Galileo non si trattiene più, e in una ota al "Ratio Ponderum Librae et Simbellae" (1626) del Sarsi (pseudonimo del gesuita Grassi, osservatore attento delle comete), da cui ha impunemente "preso a prestito" scoperte astronomiche, scriverà: "E che volete far, Sig. Sarsi, se a me solo è stato conceduto di scoprir tutte le novità celesti, ed a niun altro nissuna?". Le osservazioni dei gesuiti erano attendibili, precise, irreprensibili: è la reputazione scientifica di Galileo a uscirne danneggiata. […]
Mentre in ambito religioso l’opposizione a Galileo non cessa di crescere, accade un evento determinante per la nostra storia: Maffeo Barberini, l’ammiratore di Galileo, è eletto Papa nell’agosto del 1623 con il nome di Urbano VIII. […] Convoca Galileo a Roma nel 1624, e lo riceve sei volte in udienza privata. Nella sua lotta contro i protestanti, vuole avere la scienza dalla sua, e per questo è pronto a fare concessioni. Così, sull’eliocentrismo Urbano VIII si mostra molto più liberale dei suoi predecessori (nel 1616 ha già difeso l’opinione copernicana e ottenuto un decreto che autorizza la discussione delle ipotesi). Per giustificare la sua condotta, sostiene la seguente teoria: nulla limita la fantasia di Dio che avrebbe potuto creare infiniti mondi possibili, anche se alla fine ne ha creato uno solo. Non è affatto vietato esplorare le diverse possibilità, benché si resti nell’ambito delle ipotesi. Commissiona a Galileo un’opera che quest’ultimo pubblicherà nel 1632, con il titolo di "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo". E questo causerà la sua rovina. Il "Dialogo" si presenta come una discussione tra tre "signori" che dura quattro giornate. In essa Galileo confuta l’argomento di Aristotele contro la rotazione della Terra, osservando — sulla scia di Giordano Bruno – che un peso lasciato cadere dall’albero di una nave in movimento ricade ai piedi dell’albero e non in acqua. Se il contenuto scientifico non è, nei suoi tratti essenziali, contestabile, la forma è invece irritante: nulla è dimostrato, tutto è affermato senza prove o quasi, compreso quando si tratta di idee false come la teoria delle maree (cui Galileo non ha rinunciato). Rivendica la paternità di tutte le scoperte astronomiche realizzate con il cannocchiale – il che suona come una prevaricazione. Il tono è aggressivo, sprezzante, sarcastico, insultante per lo stesso papa Urbano VIII, che Galileo ridicolizza mettendo in bocca a Simplicio, il personaggio che rappresenta lo sciocco, la sua teoria del compromesso. E naturalmente, contrariamente alla raccomandazione del Papa, adotta a proposito dell’eliocentrismo un tono perentorio e definitivo. Afferma che l’eliocentrismo è un fatto dimostrato, una verità incontestabile. In breve, fa ‘esatto contrario di quanto gli aveva raccomandato il Papa, suo amico. […]
Il caso Galileo è esemplare sotto molti aspetti: innanzitutto dal punto di vista storico, per come illustra la politica della Chiesa destinata a ripetersi spesso in seguito. Poi da quello psicologico: da un lato, una Chiesa meno chiusa di quel che si dice, che vorrebbe avvicinare la scienza; dall’altro, una scienza che fa valere più arroganza di quanto si pretenda…»
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