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I fiumi sono vivi e fanno scorrere la vita nelle città che attraversano

Così rievoca il fiume Sile nel suo tratto cittadino lo scrittore trevigiano Cino Boccazzi, sul filo della memoria venata di malinconia (da: C. Boccazzi, «Vetrina. Racconti di Treviso e di altri posti», Riese Pio X, Edizioni della Galleria, 1983, pp.110-11):

«Il Sile, tra la fine del secolo scorso e gli inizi dell’attuale [cioè, tra la fine del XIX e gli inizi del XX], era un fiume di cascate, di acque spumeggianti, e di pulviscoli d’arcobaleno. Al ponte di San Martino, a San Paolo, alle rapide del ponte Garibaldi, dove nel fiume si immettevano le acque di quel ramo che era stato staccato per cingere le mura a mezzogiorno. Qui le chiuse venivano regolate a mano, ed esisteva uno sbarramento con pilastri in pietra d’Istria decorati coi leoni di San Marco che le autorità comunali – sempre solerti nel proteggere le cose antiche – fecero distruggere a colpi di mazza non moltissimi anni fa, per sostituirli con analoghe strutture aniconiche in cemento, così grigio, così bello.

Era il tempo che a Quinto, lungo le rive erbose, passeggiavano Guglielmo Ciardi e i figli Beppe ed Emma in cappello di paglia, e dipingevano quadri radiosi. Presso i mulini si pescavano le anguille e anche i gamberi. Il fiume, entrando in città, cambiava indole, quasi non fosse più il Sile ma la Senna. Lungo le sue rive i delitti: la contessa Onigo decapitata dal giardiniere; marchesi morti di dubbie apoplessie nelle alcove peccaminose della contessa Morosini, a Casier; nelle acque corpi di annegati e di generosi, quanto incauti, soccorritori che non sapevano nuotare.

In riva al fu,e senza battere nessuna doppia, l’austero preside Augusto Serena declamava Carducci, canottieri baffo nerboruti vogavano a torace enfisematoso mentre sulla riva fanciulle correvano dietro al cerchio, inciampando in lunghe gonne.

Sugli spalti del castello, recentemente costruito dal signor Romano, le contesse Rinaldi esibivano il loro fascino davanti alla cinepresa nella realizzazione della pellicola "Il fratello carnefice" girata a Treviso: in abiti da castellane, gettavano nei gorghi del fiume crisantemi in memoria di amanti,. Morti d’amore,l di duello, ma più spesso di spinte, forse ufficiali, dei bianchi lancieri di Novara.

In quegli anni maturavano grandi imprese, quali la discesa del Sile con una barca battezzata "Silona", e il sognato arrivo in piazza San Marco accolti dal grido: "Méteghe le rode, e torna a Treviso per el Terajo" [cioè il Terraglio, l’antica strada che unisce Treviso a Mestre, famosa per le ville di soggiorno estivo del patriziato veneziano]. Si combinavano audaci gite fino alla lontana Torcello, partendo dal ponte della Gobba, ed è in una di queste che le maestre della "De Amicis", guidate da mio padre che ne era ispettore, caddero in acqua, essendosi rotte le panche provvisoriamente inchiodate al barcone.

Questo fiume, arcadico e quieto, nel suo ultimo tratto e alla foce, avrebbe raccolta l’eco di cannonate e assalti, fatte da quegli stessi canottieri baffuti che vi avevano remigato su fragili sandolini,. E n mezzo a loro sarebbe apparso Gabriele d’Annunzio, dedicando un ritratto "ai canottieri del Sile l’ardito di Caposile". Fra gli animali acquatici sopravissuti alle cacce e alle guerre, l’ultima lontra fu mangiata all’osteria dei "Do mori"da Ciro Cristofoletti, libraio e porta, subito dopo l’ultima guerra. Sapeva di pesce ed era molto dura.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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