
L’antiamericanismo di Evola non è pregiudizio, ma parte d’una visione coerente del mondo
24 Gennaio 2011
Gyula Gömbös non fu nazista né antisemita, semmai un nazionalista progressista
25 Gennaio 2011I materialisti non credono neppure che l’anima esista, dunque non lo sanno; ma anche molti di coloro i quali affermano di credervi, lo ignorano o se ne dimenticano: l’anima, per sostenersi, ha bisogno di cibo, esattamente come il corpo.
Ha bisogno di cibo spirituale, ovviamente: e tale cibo non può essere la tristezza né il rancore di cui, invece, molte persone si nutrono quotidianamente, con grave danno della loro salute sia fisica, che emozionale.
I materialisti credono che basti nutrire il corpo di alimenti e di bevande, perché esso funzioni adeguatamente: e non sanno che non sono i cibi in se stessi, né le bevande, ma una forma di energia in essi presente, a conferire loro la funzione nutritiva: ciò che la cultura dell’India, da tempi immemorabili, chiama «prana», ossia l’energia vitale presente e diffusa in tutto l’Universo, ivi compresa la luce solare.
Allo stesso modo, essi ignorano che il «prana» è presente, in abbondanza, nell’aria che respiriamo: solo che, mentre una respirazione consapevole permette di assimilarne la massima quantità, con immenso beneficio dell’organismo, una respirazione erronea e insufficiente, perché inconsapevole, ne lascia passare all’organismo solo una quantità minima.
Poiché il «prana» è presente ovunque, ma non si può vedere, né misurare, né pesare, allora la scienza materialista degli Occidentali si rifiuta di credere alla sua esistenza; e lo stesso discorso si può fare a proposito dell’anima.
Cos’è l’anima?
Dov’è?
Se esiste, perché non se ne possono addurre le prove?
A dispetto di tale scetticismo, l’anima esiste e non coincide con la mente: la mente è una delle funzioni dell’anima; e neppure la mente, sia detto per inciso, ha bisogno, per esistere, del corpo: il corpo ne è solo un sostegno temporaneo, dal quale essa può spiccare il volo in qualunque momento, a determinate condizioni.
La mente può esistere anche al di fuori del corpo e anche senza il corpo; può esistere anche dopo che il corpo ha terminato di svolgere il suo compito ed è stato da essa abbandonato, come un guscio ormai vuoto sulla riva del mare.
Ma l’anima è più della mente: l’anima è una scintilla della realtà cosmica e in essa non vi sono un prima e un poi, un dentro e un fuori: tutto è dentro di essa ed essa è presente ovunque; esisteva prima che il mondo fosse creato e continuerà ad esistere anche dopo: eterna, indistruttibile, splendente come infiniti soli.
Ma l’anima, il più delle volte, non è consapevole di se stessa; non è consapevole di essere eterna, non è consapevole di essere una scintilla divina. Perciò, pur essendo incorruttibile, di fatto anch’essa può ammalarsi e deperire, esattamente come il corpo.
Quali sono gli alimenti di cui ha bisogno, per mantenersi in armonia con il corpo al quale si è temporaneamente unita?
Non certo la tristezza e il rancore, in cui vivono sprofondati così tanti esseri umani; ma l’energia vitale che le proviene dall’Essere, di cui è parte, dal quale proviene e al quale aspira inconsapevolmente a ritornare.
Tutto il problema, pertanto, si riduce a sapere come si possa abbeverare la propria anima alle sorgenti dell’energia vitale proveniente dall’Essere, «fontana vivace» – come direbbe Dante – incomparabile ed inesauribile di tutto ciò che essa potrebbe desiderare.
Ebbene, il cibo fondamentale dell’anima è la preghiera; o, se si vuole chiamarla in altro modo, la meditazione: come si preferisce, il concetto non cambia. Essa deve abituarsi a parlare quotidianamente con la scintilla divina che è in lei, che è ella stessa; deve ritrovare e costantemente rinnovare il contatto consapevole con l’Essere, al quale è sempre unita, ma che troppo spesso tende a ignorare o dimenticare.
Quando l’anima si unisce all’Essere nella comunicazione profonda all’interno di se stessa, avviene qualche cosa di simile a quando l’adepto dello Hatha Yoga congiunge le piante dei piedi e chiude le punte delle dita: si crea un circuito virtuoso, potente, vittorioso, irraggiante forza, luce e bellezza e capace di rigenerare tutte le energie perdute.
Immensa e praticamente inesauribile è la forza dell’anima, quando essa prende consapevolezza della sua vera natura, della sua origine, del suo destino; quando si rivolge gioiosamente e fiduciosamente allo splendore dell’Essere, scavalcando d’un balzo tutte le difficoltà che, un momento prima, la facevano tremare e impallidire.
Non è forse stato detto che, per mezzo della preghiera, noi possiamo comandare perfino alle montagne e ordinare loro di spostarsi e di gettarsi nel mare?
Non è forse stato detto che basta chiedere, ma chiedere con fede autentica, per trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno?
Si faccia bene attenzione all’ultima parte della frase precedente: «tutto ciò di cui abbiamo bisogno»: perché l’anima, quando è smarrita e sviata, crede di aver bisogno di mille cose, d’infinite cose; ma di una sola ha realmente bisogno: dell’armonia con se stessa e con l’Essere, che poi sono una sola e medesima cosa.
L’anima non può essere veramente in armonia con se stessa, se non si pone in armonia con l’Essere: tale è il suo destino, la sua vocazione, la sua chiamata. Finché si allontana dall’Essere e si disperde lungo strade diverse, non troverà mai la pace e l’armonia con se stessa, perché essa è fuori dal proprio centro, è fuori dalla propria natura.
La natura dell’anima è l’unione con l’Essere: ogni passo che l’avvicina a questa meta le porta pace e benessere, perché realizza la sua vocazione ontologica fondamentale; ogni passo che l’allontana, anche se – apparentemente – può consentirle una fugace soddisfazione, finirà per causarle sofferenza e malessere.
Ma l’anima non è fatta per soffrire, bensì per gioire; se soffre, ciò avviene perché si tiene lontana dall’Essere, a causa del velo dell’ignoranza.
Ecco allora che il nostro compito è quello di lavorare affinché il velo dell’ignoranza si dissolva e la luce dell’Essere appaia, sfolgorante, come in un chiaro mattino di sole, quando i vetri di mille finestre riflettono, incendiandosi, il suo incomparabile splendore.
In fondo, è il compito della nostra vita; come lo studente si affatica sui libri per superare gli esami, così anche noi, tutti senza eccezione, siamo chiamati a svolgere un compito: che non è quello di fare questa o quella cosa, di aver successo negli affari o nel mondo della politica; e neppure quello di metter su famiglia, per quanto alcune delle cose che facciamo siano buone e lodevoli, ma a patto di non assolutizzarle e di non scambiarle per la nostra vocazione ultima.
La nostra vocazione ultima, che coincide con il nostro compito, è di riscoprire la nostra origine divina, la nostra parte luminosa e incorruttibile, ossia il legame perenne della nostra anima con l’Essere perfetto e luminosa dal quale tutto trae origine.
Quando noi incominciamo a intravedere questa verità, ecco che la nostra anima inizia a respirare a pieni polmoni e a nutrirsi di cibi che la sfamano e di bevande che la dissetano;.
Tutto il resto non è che illusione dei sensi e intorbidamento delle passioni.
Tutto il resto non è che attardarsi lungo sentieri sbagliati, che ci seducono sul principio, ma non ci porteranno mai da nessuna parte.
È incredibile come ci sfugga così facilmente una verità tanto semplice: che fin quando l’anima si alimenta di energia vitale, le sue possibilità si moltiplicano ed essa diviene capace di compiere qualsiasi impresa; mentre, se si nutre solo di energie negative, essa finisce per sgomentarsi e per ammalarsi.
Mentre sto scrivendo queste righe, dalla finestra posso vedere la fitta coltre di nuvole cariche di pioggia, che da giorni e giorni stagnavano sui monti e li sottraevano allo sguardo, mentre incomincia a rompersi e a disperdersi.
Banchi di nubi sfilacciate ristagnano sui fianchi della montagna di fronte a me, disegnando una fitta trama di arabeschi evanescenti, dai quali emergono le ombre scure dei boschi inzuppati di pioggia e le cime dei colli, in primo piano, simili a dei giganti che, risvegliandosi, levano il capo verso l’alto, spezzando l’assedio di quella bianca coltre.
Le larghe macchie di neve, raccolta sulle radure e nei canaloni di roccia, si confondono con il candore delle nuvole sparse e disegnano un paesaggio dalla geografia fantastica, ove il confine tra il certo e l’incerto tende a sfumare e a scomparire.
È un processo molto lento, che dura alcune ore. A lungo indugiano le nubi sulle cime dei colli e lungo i fianchi del monte; pare che non se ne vogliano andare, che si aggrappino con ostinazione alle pietre e alle cime degli alberi, affinché il vento non le trascini via.
Solo dopo una lunga battaglia, vinti, gli ultimi brandelli soffici si alzano e scompaiono, mentre una corona ritardataria ancora indugia sul versante più basso della montagna, quando già un pallidissimo e fuggevole raggio di Sole pare far capolino presso la vetta.
Allo stesso modo, mano a mano che l’anima acquista consapevolezza, si dirada la nebbia degli errori e delle false immagini di bene, lasciando sgombro il paesaggio e nitide le ombre, come rinnovate da una possente ondata di vitalità.
Essenziale è il linguaggio del’anima, una volta che essa abbia intravista la giusta via da seguire; come quello di un «haiku» giapponese, ossia un componimento poetico composto da tre versi di cinque, sette e ancora cinque sillabe.
Ad esempio questo, di Miura Chora (1729-80):
«sulle sere serene
e i giorni silenziosi,
piogge di primavera».
Oppure quest’altro, sempre di Miura Chora:
«in questo giorno
che tramonta
sono caduti i fiori di ciliegio».
Pochissimi versi di estrema brevità: densi, perfetti: che altro c’è da dire, da aggiungere, da abbellire?
Tale è la voce dell’anima, quand’essa ristabilisce il contatto con l’Essere: nitida, cristallina, essenziale, senza il benché minimo fronzolo.
Nel silenzio denso di verità, non c’è bisogno di tante parole.
Lo sanno da sempre, con sicuro istinto, gli innamorati; e tale è anche la condizione dell’anima, una volta che abbia ritrovato le vie dell’Essere: amore e soltanto amore.
Ecco perché non vi è più posto per la tristezza né per il rancore, allorché l’anima abbia ritrovato la scintilla divina che giace al fondo di lei stessa; ma solo per una cascata di luce che trasfigura ogni cosa, inondandola di pace e di bellezza.
Quando l’anima si accende d’amore per l’Essere, una grande pace la invade e la trasfigura.
Tutto il resto, a quel punto, diventa secondario: essa ha ritrovato la sua casa, il suo scopo, la sua verità definitiva, al di là di ogni incertezza e di ogni turbamento.
Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio