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Opporsi al Pensiero Unico della modernità vuol dire essere nostalgici del fascismo?

La modernità non è una categoria metafisica o un valore autoevidente, come vorrebbero i suoi sostenitori, ma una forma culturale, sociale ed economica storicamente data, che si definisce per il suo carattere di reazione virulenta verso i valori del passato.

La sua apparenza paciosa e quasi ludica non deve ingannare: anche quando non ricorre a metodi violenti, essa è animata da un sacro spirito di crociata verso tutto ciò che appartiene alla tradizione, e da una spietata intolleranza nei confronti di essa. Non c’è peggiore ingiuria di quella che definisce persone o situazioni come «appartenenti alla passato».

Sovente la denigrazione si nasconde dietro l’efficientismo tecnologico: ad esempio, dire che una biblioteca scolastica odierna sembra una degli anni Settanta del secolo scorso, ha un esplicito significato dispregiativo.

Ma proprio in ciò stanno l’ipocrisia e il totalitarismo della modernità, il cui naturale sbocco è la formalizzazione del Pensiero Unico: dietro le apparenze di una legittima ricerca del «meglio» in chiave tecnoscientifica (ma il meglio per chi? per fare cosa, e a quale prezzo?), si svaluta e si delegittima ogni altra forma di pensiero, ogni altra pratica sociale ed economica, ogni altra cultura. Storici e antropologi, ad esempio, danno più o meno per scontato che una società pre-moderna sia meno evoluta e meno perfetta di una società moderna (o post-moderna); quindi, danno per scontato che la sua omologazione sia solo questione di tempo.

Tutto questo implica l’idea del genocidio, se non quello fisico (come pure è toccato in sorte a tanti popoli che vivevano a livello pre-moderno, dai Tasmaniani ai Fuegini, dai Tehulche agli Indios dell’Amazzonia), certo quello culturale; tuttavia, si fa finta che non sia così, anzi, si parla sempre della modernizzazione per le «società arretrate» come di un obiettivo auspicabile e altamente positivo, nonché assolutamente pacifico e umanitario.

Si dà per scontato che coltivare la terra con i mezzi meccanici e con i concimi chimici sia cosa più evoluta e preferibile al fatto di coltivarla con strumenti di legno e con l’ausilio di animali da tiro; così come si dà per scontato che il numero dei televisori, dei telefonini, l’ammontare del reddito e la percentuale della popolazione urbanizzata, siano indicatori indiscutibili di progresso. e, quindi, di una vita più degna e più felice.

Si dà anche per scontato che il libero mercato sia non già la migliore forma di economia possibile, ma l’unica meritevole di imporsi su ogni angolo del pianeta; così come si dà per scontato che solo la democrazia parlamentare, così come essa è praticata nelle grandi nazioni occidentali, Stati Uniti d’America in testa, sia meritevole di sopravvivere e si debba, anzi, estendere ad ogni nazione, possibilmente in vista di una confederazione mondiale democratica. E se ne è talmente convinti, che nessuna spesa e nessuno sforzo (potremmo aggiungere: e nessun crimine) sembrano eccessivi, pur di raggiungere questo duplice risultato: instaurare la democrazia e il libero mercato a livello planetario, eliminando ogni possibile alternativa.

Vale la pena di riflettere che altre volte, nella storia (limitandoci all’Occidente), si è visto un analogo processo di rifiuto e di demonizzazione del passato: per citare solo due casi, quando il cristianesimo soppiantò il paganesimo antico, e quando l’illuminismo, rifacendosi alle premesse poste dalla Rivoluzione scientifica, rifiutò l’Ancién Régime e la cultura ad esso sottesa.

Mai, però, una Weltanschauung nascente era stata così «ideologica» da presentare se stessa non solo come portatrice di nuovi valori, ma come portatrice degli unici valori che possano garantire all’umanità, nel suo complesso, un futuro degno di questo nome. Altre Weltanschauung nascenti avevano intimato: «O con noi, o contro di noi!»; mai, però, si era vista una di esse proclamare con tanta foga di convincimento scientifico che, fuori di lei, non c’è salvezza.

La visione del mondo propria della modernità è perciò, nella sua essenza, profondamente totalitaria, anche se essa – per ora – ama mascherare i propri obiettivi di dominio, fisico e spirituale, dietro la maschera della democrazia parlamentare. Del resto, la democrazia parlamentare non impedisce ai signori della modernità di portare avanti i propri obiettivi strategici con uno sprezzo delle regole, che nemmeno i più biechi totalitarismi avrebbero osato immaginare: lo si è visto, tanto per fare un esempio, quando la dementocrazia bushiana sferrò la sua guerra di aggressione contro l’Iraq, sulla base del pretesto menzognero delle armi di distruzione di massa.

Ma che cos’è, in effetti, lo spirito della modernità?

In un precedente articolo («Francesco Petrarca e lo spirito della modernità», consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice) ne avevano individuati gli aspetti salienti, e rimandiamo il lettore a quel lavoro; qui ci limiteremo a spendere ancora qualche parola circa il rapporto fra democrazia e modernità.

La nostra affermazione che l’essenza del pensiero moderno è totalitaria, può aver fatto sobbalzare qualcuno sulla sedia: non ci è stato sempre insegnato che la modernità, proprio perché nasce come reazione all’assolutismo dell’Ancién Régime, è, per sua natura, democratica, e che i «sacri principi» dell’89 ne sono la coerente e paradigmatica formulazione?

Ebbene, non lo crediamo. Dietro le apparenze, il democraticismo di matrice giacobina e, poi, liberale, non è stato che la maschera di un profondo disprezzo nei confronti del "popolo". L’Umanesimo è aristocratico perché, sul modello dei classici, crede nelle qualità dell’uomo eccezionale, dell’eroe; per dirla con Machiavelli, crede nella Virtù del "Principe".

L’Illuminismo è aristocratico, perché ritiene il popolo una massa ignorante e superstiziosa, incapace di autogovernarsi; quindi, con Voltaire, proclama la necessità di riforme, ma da parte di un potere assoluto: Voltaire sta a Machiavelli come Federico di Prussia sta a Cesare Borgia.

Infine il Positivismo (nella cui corrente più tarda noi siamo tuttora immersi) è aristocratico, perché ha fatto suoi dèi la Scienza e la Tecnica, dunque solo il tecnico e lo scienziato "sanno" cosa sia vero e cosa sia giusto per la società. Se il volgo ignorante lo sapesse, non ci sarebbe bisogno di costringerlo, con la minaccia delle sanzioni di legge, alle vaccinazioni mediche obbligatorie; né lo si vedrebbe così di frequente protestare contro i portentosi ritrovati dell’apparato tecno-scientifico, siano essi alimenti geneticamente modificati o centrali per la produzione di energia nucleare o linee ferroviarie ad alta velocità nel cuore delle valli alpine.

Si noti, a questo punto, che il marxismo-leninismo non è stato che una variante di questo aristocraticismo positivistico: solo il partito dei «veri» rivoluzionari (anzi, la ristretta cerchia dei suoi capi) sa che cosa è bene per il popolo; il popolo, da sé, non ragiona: è perfino capace, nelle elezioni dell’Assemblea Costituente russa del novembre 1917, di dare ai suoi veri rappresentanti (cioè i bolscevichi) un misero quarto dei membri, e tre quarti ad altre formazioni politiche, come i socialrivoluzionari. Inaudito!

Aggiungiamo soltanto che il totalitarismo implicito nello spirito della modernità non è soltanto l’espressione della sua negazione e della sua demonizzazione radicale della tradizione (per cui tutto il passato è presentato come il male), o la logica conseguenza della tecnica eretta a sistema di vita (per cui ciò che è obsoleto intralcia il progresso, e va eliminato); ma anche, e forse soprattutto, una conseguenza del suo fondamentale approccio nei confronti del mondo: che è quello di una curiosità fredda, interessata e calcolante, che mira al dominio sugli enti e alla manipolazione illimitata della natura.

In breve, questo ci sembra il principale elemento di novità rispetto alle altre Weltanschauung nascenti, che si presentarono come radicalmente alternative alla tradizione precedente (compresi il cristianesimo e l’illuminismo): l’attitudine a guardare il mondo con l’occhio freddo e privo di emozioni del rettile che contempla la sua preda, prima di afferrarla e divorarla; l’assoluta mancanza di simpatia, di apprezzamento, di amore per le cose.

Dunque, il nostro dilemma è il seguente.

Se ci si oppone al Pensiero Unico, si viene automaticamente relegati nella categoria dei nemici che meritano solo disprezzo e una lotta senza quartiere, fino allo sterminio o alla conversione; e un’apposita scienza, la psichiatria, è sorta per agire volonterosamente in tal senso: poiché solo i pazzi o i criminali possono avere qualche dubbio sulla bontà intrinseca del mondo moderno, e come tali vanno trattati.

D’altra parte, il rifiuto integrale della modernità comporta di per sé effetti alienanti, nel senso che conduce ad un totale isolamento e ad una totale auto-esclusione, oltre al fatto che inibisce qualsiasi possibilità di agire in modo efficace per operare un mutamento delle coscienze. Vogliamo dire che – per esempio – il rifiuto dell’informatica taglia fuori, automaticamente, dalla possibilità di raggiungere un vasto pubblico: quindi, accettare gli strumenti del Pensiero Unico, significa anche – in qualche misura – ridimensionare la portata della contestazione, perché gli strumenti non sono «freddi» e la loro accettazione implica anche, almeno in parte, l’accettazione della filosofia ad essi sottesa.

Non era così nelle società pre-moderne. Il discorso di San Paolo all’Aeropago di Atene ne è un buon esempio: là, due visioni del mondo si confrontavano e si scontravano, ma su un terreno culturale paritario. Oggi, invece, le regole del confronto e dello scontro sono stabilite in partenza dalla modernità, che è direttamente parte in causa.

Essa, quindi, non deve nemmeno fare la fatica di convincerci di rappresentare il futuro migliore a noi riservato, perché, di fatto, tale convinzione è già implicita nel fatto che noi ci serviamo dei suoi strumenti, sempre e comunque, perfino quando desideriamo contestarla, metterla sotto processo e rifiutarla.

Non stiamo sopravvalutando la potenza della tecnica: ne stiamo registrando l’irrinunciabilità, almeno nell’immaginario collettivo. Se, nel mondo moderno, non è possibile concepire più nemmeno un convento di clausura, il cui funzionamento non sia legato all’elettronica e alla telefonia satellitare, allora bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che l’alternativa alla modernità non può esistere, perché qualunque ipotesi diversa è già sconfitta in partenza.

Noi, pero, non siamo disposti a rassegnarci e ad arrenderci alle delizie del Pensiero Unico, per il semplice fatto che non siamo persuasi della irrinunciabilità delle sue strumentazioni, e meno ancora della filosofia ad esse sottesa.

È vero che praticamente nessuno, ormai, sarebbe disposto a rinunciare volontariamente alla strumentazione tecnologica (magari affermando che se ne serve in modo critico, senza lasciarsene dominare: cosa che è vera solo in un numero rarissimo di casi); ma sappiamo che le mode vanno e vengono, e che la moda tecnologica, e il volgare edonismo ad essa sotteso, è, in fondo, una moda come tutte le altre. Tutto sta a vedere se dobbiamo aspettare passivamente quello che la modernità inventerà al suo posto, per potersi perpetuare mutando le sue forme esteriori, o se siamo disposti a fare uno sforzo per riprenderci in mano il nostro destino, e per decidere in quale direzione intendiamo che si orienti la società dei nostri figli e dei nostri nipoti.

La cultura moderna corrisponde al massimo della ideologia, e quindi al massimo della mistificazione: essa vorrebbe farci credere di essere portatrice di istanze universali, mentre invece serve solo l’interesse di pochi, anzi, di pochissim; e siamo sicuri di conoscerli? Dietro i volti dei potenti della terra, forse si celano delle entità che il grande pubblico nemmeno s’immagina: i Maestri Sconosciuti, di natura non umana, evocati da un’altra dimensione proprio dalla bassa frequenza spirituale che la società moderna, nel suo complesso, emette.

Chi non è disposto a lasciarsi impunemente manipolare, deve anche accettare i costi che impone il rifiuto del Pensiero Unico. Come minimo, se non da pazzo o da potenziale sovversivo, verrà trattato da fascista: perché il fascismo, essendo stato la tipica ideologia alternativa alla democrazia nel secolo appena trascorso, si presta come nessun altro a fornire il prototipo caricaturale di tutto ciò che è superato e, perciò, intrinsecamente condannato dalla Storia.

È un ricatto ideologico che non ci fa né caldo, né freddo.

La forza espansiva della modernità risiede anche nella sua massiccia capacità ricattatoria: ma il ricatto lo si sconfigge andando a fare la spesa in maniera diversa, passando il tempo libero in maniera diversa, rapportandosi a se stessi, agli altri e alla natura in modo diverso da quello proposto dalla società moderna.

Non certo andando a votare per dei partiti che, ormai, si somigliano tutti e che, oltre la cortina fumogena delle parole d’ordine e delle frasi fatte, difendono sostanzialmente gli stessi interessi e fanno ugualmente propria la Weltanschauung del Pensiero Unico mondiale: quella della modernità, appunto.

Immaginare un mondo diverso non è un sogno ad occhi aperti, e tanto meno un crimine: è un nostro preciso diritto; anche perché solo così possiamo tenere in vita l’elemento propulsore di ogni società degna di questo nome: la speranza.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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