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Lo stato terroristico della Virtù nel pensiero politico di Jean-Jacques Rousseau

Scrive Rousseau ne «Il contratto sociale» nella sezione ottava del libro quarto (traduzione italiana di Gianluigi Barni, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1995, pp. 187-94):

«La religione, considerata in rapporto alla società, che è o generale o particolare, può pure essere divisa in due specie, cioè la religione dell’uomo e quella del cittadino. La prima senza templi, senza altari, senza riti, limitata al puro culto interiore del Dio supremo e ai doveri terni della morale è la pura e semplice religione del Vangelo, il vero teismo e ciò che si può chiamare il diritto divino naturale. L’altra, limitata a un solo paese, gli fornisce i suoi de, i suoi patroni particolar e tutelari; questa religione ha i so dogmi, i suoi riti, il suo culto esteriore prescritto da leggi: tolta la sola nazione che la segue, tutte le altre sono per lei infedeli, straniere, barbare; essa non stende i doveri e i dritti dell’uomo più lontano de suoi altari. Tali furono tutte le religioni primitive alle quali si può dare il nome di diritto divino civile o positivo.

V è un terzo tipo di religione, più bizzarra, che dando agli uomini due legislazioni, due capi, due patrie, li sottonette a dover contraddittori ed impedisce loro di essere in un sol tempo devoti e cittadini. Tale è la religione dei lama, tale quella dei giapponesi, tale il cristianesimo romano. Si può chiamare questa la religione del prete. Ne risulta una specie di diritto misto e non corrispondente alla società, dritto che non ha nome.

Volendo considerare questi tre tipi d religione da un punto di vista politico, tutte hanno i loro difetti. La terza è così evidentemente cattiva, che sarebbe una perdita d tempo divertirsi a dimostrarlo. Tutto ciò che rompe l’unità sociale non vale nulla: tutte le istituzioni che mettono l’uomo in contraddizione con se stesso non valgono nulla.

La seconda è buona per l fatto che riunisce il culto divino e l’amore delle leggi e perché, rendendo la patria l’oggetti dell’adorazione dei cittadini, insegna loro che servire lo stato vuol dire servire il dio tutelare. È una specie di teocrazia, nella quale non s deve avere altro pontefice che il principe, né altri preti che magistrati. In tal caso, morire per il proprio paese significa andare al martirio; violare le leggi è essere empio e sottoporre un colpevole alla pubblica esecrazione vuol dire dedicarlo allo sdegno degli de: "sacer esto".

Ma questa religione è cattiva perché, esse4ndo fondata sull’errore e sulla menzogna, inganna gli uomini, li rende creduli, superstiziosi e sommerge il vero culto della divinità in un vano cerimoniale. È ancor più cattiva quando, diventando esclusiva e tirannica, rende un popolo sanguinario e intollerante, d modo che questo non agogna che assassinio e massacro e crede di fare un’opera santa uccidendo chiunque non ammetta i suoi de. Ciò pone un tal popolo in uno stato naturale d guerra con tutti gli altri, assai nocivo alla sua stessa scurezza.

Resta dunque la religione dell’uomo o il cristianesimo, non quello di oggi, ma quello del Vangelo, che ne è del tutto differente. Attraverso questa religione, santa, sublime, vera, gli uomini, figli dello stesso Dio, si riconoscono tutti per fratelli e la società che li unisce non s scioglie neppure con la morte. Ma questa religione, non avendo alcuna relazione particolare col corpo politico, lascia alle leggi la sola forza che esse possono ricavare da se stesse senza aggiungervene altra e da ciò deriva che uno de grandi legami della società particolare resta senza effetto. Anzi, in luogo di legare i cuori dei cittadini allo stato, essa li allontana come da ogni cosa della terra. Non conosco nulla di più contrario allo spirito sociale.

Ci si dice che un popolo d veri cristiani formerebbe la più perfetta società che si possa immaginare. Non vedo in questa ipotesi che una grave difficoltà ed è che una società di veri cristiani non sarebbe più una società di uomini.

Dico di più che questa supposta società non sarebbe, con tutta la sua perfezione, né la più forte, né la più durevole: a forza di essere perfetta mancherebbe d ogni legame, il suo vizio distruttore sarebbe nella sua stessa perfezione.

Ciascuno compirebbe il proprio dovere: i popoli sarebbero sottomessi alle leggi, i capi sarebbero giusti e moderati, i magistrati integri ed incorruttibili, i soldati disprezzerebbero la morte; non vi sarebbe né vanità né lusso: tutte cose bellissime, ma guardiamo un po’ più lontano.

Il cristianesimo è una religione completamente spirituale, diretta unicamente alle cose del cielo: la paura del cristiano non è d questo mondo. Egli fa il suo dovere, ma lo fa con una profonda indifferenza circa il buono o il cattivo esito dei suoi sforzi. Purché non v sa nulla da rimproverarsi, poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiù. Se lo stato è fiorente, a mala pena egli osa gioire della pubblica felicità, temendo di inorgoglirsi della gloria del suo popolo; se lo stato deperisce, benedice la mano di Dio che grava sul suo popolo.

Perché una tale società fosse pacifica e vi si mantenesse l’armonia,, bisognerebbe che tutti i cittadini, senza eccezione, fossero ugualmente buoni cristiani; ma se per disgrazia vi si trova un solo ambizioso, un solo ipocrita, un Catilina, per esempio, un Cromwell, questi certamente avrà buon gioco rispetto ai suoi pii compatrioti. La carità cristiana non permette facilmente di pensar male del prossimo. Dal momento che egli avrà trovato con qualche trucco l’arte dei imporsi a loro e d impadronirsi di una parte dell’autorità pubblica, ecco un uomo costituito in dignità; Dio vuole che lo si rispetti: ben presto ecco un potere; Dio vuole che gli si obbedisca. Il depositario d questo potere ne abusa: è il bastone con cui Dio punisce i suoi figli. Scacciare l’usurpatore diverrebbe un caso di coscienza; bisognerebbe turbare la pubblica quiete, usare la violenza, versare del sangue: tutto ciò mal si accorda con la dolcezza del cristiano, e, dopo tutto, che cosa importa l’essere liberi o servi in questa valle di miseria? L’essenziale è andare in Paradiso e la rassegnazione non è altro che un mezzo d più per giungere a ciò.

Capita qualche guerra straniera: i cittadini marciano senza fatica al combattimento; nessuno tra loro pensa a fuggire, fanno il loro dovere, ma senza passione per la vittoria: sanno piuttosto morire che vincere. Che essi siano vincitori o vinti, che cosa importa? La Provvidenza non sa meglio d loro ciò di cui essi abbisognano? Si pensi qual vantaggio possa trarre da questo loro stoicismo un nemico fiero, impetuoso, appassionato. Mettete faccia a faccia a essi quei popoli generosi che erano divorati dall’ardente amore della gloria e della patria, immaginate la vostra repubblica cristiana di fronte a Sparta o a Roma: i pii cristiani saranno battuti, schiacciati, distrutti prima di aver avuto il tempo d riprendersi, o dovranno la loro salvezza solo al disprezzo che il nemico concepirà per loro. Fu, a mio giudizio, un bel giuramento quello dei soldati di Fabio: essi non giurarono di morire o di vincere, giurarono di tornare vincitori e mantennero il loro giuramento; mai i cristiani ne avrebbero fatto uno simile: avrebbero pensato d tentare Dio.

Ma io mi sbaglio parlando d una repubblica cristiana: ciascuno di questi termini esclude l’altro. Il cristianesimo non predica che servitù e dipendenza. Il suo spirito è troppo favorevole alla tirannia, perché questa non ne approfitti sempre. I veri cristiani son fatti per essere schiavi: essi lo sanno e non se ne preoccupano troppo; questa corta vita ha troppo poco valore ai loro occhi.

Le truppe cristiane sono eccellenti, ci si dice. Lo nego. Mi s mostrino tali truppe. Per quanto mi riguarda, non conosco truppe cristiane. Mi si citeranno le crociate. Senza disputare sul valore delle crociate, io farei notare che, lungi dall’essere dei castani, quei crociati erano soldati del prete, erano de cittadini della chiesa: s battevano per il suo paese spirituale, che essa aveva reso temporale, non s sa come. A ben guardare, tutto ciò rientra nel paganesimo; dato che il Vangelo non stabilisce una religione nazionale, ogni guerra sacra è impossibile tra cristiani.

Sotto gli imperator pagani i soldati cristiani erano valorosi; tutti gli autor cristiani lo assicurano e io vi credo: era evidentemente una onorevole emulazione in rapporto alle truppe pagane. Da quando gli imperatori furono cristiani questa emulazione non vi fu più, e quando la croce ebbe cacciato l’aquila tutto il valore romano scomparve.

Ma, lasciando da parte le considerazioni politiche, torniamo al diritto e fissiamo i principi su questo punto importante. Il diritto che il patto sociale dà al corpo sovrano sui sudditi non oltrepassa, come ho detto, i confini dell’utilità pubblica. I sudditi non debbono render conto al corpo sovrano delle loro opinioni, se non in quanto tali opinioni abbiano importanza per la comunità. Ora, è senza dubbio importante per lo stato che ogni cittadino abbia una religione ch’egli faccia amare i suoi doveri, ma i dogmi d questa religione non interessano né lo stato, né i suoi membri, se non in quanto tali dogmi si riferiscono alla morale e ai doveri che colui che la professa è tenuto ad adempiere riguardo agli altri. Ciascuno può avere, anzi, tutte quelle opinioni che gli piacciono, senza che spetti al corpo sovrano d occuparsene. Perchè, dato che esso non ha alcuna competenza sull’altro mondo, qualsiasi sa la sorte dei sudditi nella vita futura, questo non è un suo problema, a condizione che tali sudditi siano de buoni cittadini in questa

Vi è dunque una professione d fede puramente civile, d cui spetta al corpo sovrano il fissare gli articoli, non precisamente come dogmi di religione, ma come sentimenti di sciabilità, se4nza de quali è impossibile essere né buon cittadino né suddito fedele.

Senza poter obbligare nessuno a credere in essi, si può bandire dallo stato chiunque non vi creda; si può bandirlo, non come empio, ma come essere non sociale, come incapace di amare sinceramente le leggi, la giustizia, e di sacrificare, in caso di bisogno, la sua vita al suo dovere. Che se poi qualcuno, dopo aver pubblicamente riconosciuto questi dogmi, si condurrà come se non vi credesse, sa condannato a morte: ha commesso il più grande dei reati, ha mentito davanti alle leggi.

I dogmi della religione civile debbono essere semplici, in piccolo numero, enunciati con precisione, senza spiegazioni né commenti. L’esistenza della divinità possente, intelligente, benefica, previdente e provvidente, la vita futura, la felicità dei giusti, la punizione de cattivi, la santità del contratto sociale e delle leggi, ecco i dogmi positivi. Quanto ai dogmi negativi, io li limito a uno solo ed è l’intolleranza: questa rientra nei culti che noi abbiamo escluso.

Coloro che distinguono l’intolleranza civile dall’intolleranza teologica, a mio parere, si sbagliano. Queste due intolleranze sono inseparabili. È impossibile vivere in pace con delle persone che s ritengono dannate: amarle sarebbe odiare Dio che le punisce; bisogna assolutamente riconvertirle o sottoporle a tormenti. In ogni luogo n cui è ammessa l’intolleranza religiosa è impossibile che non ne derivi qualche effetto civile e, appena questi s verificano, il corpo sovrano non è più sovrano neppure nel campo temporale:; da quel momento i preti sono veri padroni: i re n on sono che i loro ufficiali.

Nei tempi presenti ne quali non v è più e non vi può essere una religione nazionale esclusiva, s devono tollerare tutte quelle che tollerano le altre, fin quando oro dogmi non hanno nulla in contrario ai doveri de cittadini. Ma chiunque osi dire: "Fuori della chiesa non esiste salvezza" deve essere cacciato dallo stato, salvo che lo stato non sia la Chiesa e che il principe non sia il pontefice. Un tale dogma è buono in un governo teocratico; in ogni altro è dannoso. La ragione secondo cui s raccontò che Enrico IV avrebbe abbracciato la religione romana avrebbe dovuto farla abbandonare a ogni uomo onesto e soprattutto a ogni principe che sapesse ragionare.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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