
L’anima criminale come problema filosofico
6 Ottobre 2007
Quello degli ebrei è stato l’unico genocidio
6 Ottobre 2007Questo racconto è tratto dal volume di Francesco Lamendola «La bambina dei sogni e altri racconti», Poggibonsi (Siena), Antonio Lalli Editore, 1984, pp. 69-79. Il libro è da tempo esaurito ma può esserne fatta richiesta, in quantità limitata, direttamente all’Autore.
Il Sole calava sull’orizzonte sconfinato del sertâo (1) simile a un globo di fuoco avvolto nei rossi vapori del tramonto, tra il cielo e la selva. Bernardino Cearà, conosciuto in tutta la vasta regione del Nordeste brasiliano col nome generico e terribile di o Cangaceiro (2), sputò di nuovo a terra e imprecò sconciamente contro Dio e contro gli uomini.
«S’è azzoppato, il maledetto – ripeté ad alta voce, quasi per farsi compagnia nella solitudine incipiente della notte, considerando con sguardo livido d’ira impotente la zampa di Diablero, il suo cavallo pezzato che giaceva accosciato ai margini della pista. Una buca traditrice lo aveva azzoppato e per poco anche lui, o Cangaceiro, non s’era rotto l’osso del collo nella rovinosa caduta…
Senza più esitare, egli slacciò il sottopancia alla bestia, si caricò in spalla la sella riccamente adornata, raccolse col braccio sinistro le borse, la coperta e la borraccia. Con la destra libera estrasse il revolver dalla fondina, lo puntò sotto l’orecchio dell’animale che lo guardava con occhi acquosi e quasi umani, e premette il grilletto. Poi rimise l’arma nella fondina e si volse verso le basse montagne lontane, dal profilo stranamente dentellato, avviandosi con passo risoluto.
Da tre giorni, ormai, la malasorte lo perseguitava, Aveva perduto,, uno dopo l’altro, tutti i suoi uomini: José, Fernando, Agostinho e gli altri. L’ultimo, Carlos, stava penzolando in quel momento da una forca a Teresina, dodici miglia più a nord. Quel mastino del caporale Terry li aveva braccati senza tregua, con una tenacia e un’astuzia che nessun tenente o capitano, mandati sulle sue tracce, avevano mai dimostrato.
E adesso rimaneva lui solo.
Anche il cavallo aveva perduto, maledetta quella buca. Ma la cosa peggiore non era la perdita dei compagni, né la sua condizione attuale di fiera inseguita da ogni lato, ma quel volto, quel volto di mulatta…
Oh, Dio, potersene liberare; cancellarlo dalla coscienza e dalla memoria con un colpo di spugna: via così, per sempre! Quel pensiero era peggio di tutto il resto…
Ma cos’era realmente accaduto? Perché rabbrividiva al solo rievocare quell’immagine, quel volto; e tornava a sputare e imprecare e maledire, chiamando tutti i diavoli e tutti i santi a testimoni della sua ira e del suo turbamento?
L’ultima volta, l’aveva veduta in cima a una grande roccia di granito nero, proprio quel mattino, mentre galoppava ormai solo lungo il sentiero polveroso. Era apparsa come una visione dell’altro mondo, lassù in alto, e lo aveva guardato con occhi gelidi e inespressivi carichi di latente minaccia, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso straordinariamente malvagio e beffardo.
O Cangaceiro aveva tirato bruscamente le redini e, bestemmiando, aveva impugnato la pistola, ben deciso a scoprire se, infine, era una visione o un fantasma: ma la donna era già svanita. La cima della rupe nera era deserta e solo i cirri bianchi veleggianti nell’azzurro del cielo si muovevano al di sopra di essa.
Adesso, ripensandoci, cercava di trovare qualche spiegazione plausibile, e a tratti s’illudeva di averla realmente trovata: il sole negli occhi, la stanchezza, la fame, la sovreccitazione dovuta alla fuga e agli avvenimenti degli ultimi giorni.
Ma poi, riflettendo che quella era stata la terza volta che lei gli si era mostrata nello spazio di tre giorni, di nuovo scrollava il capo, vinto, e un brivido gli correva lungo le ossa, costringendolo al gesto puerile di voltarsi a guardare indietro.
Ma perché, dunque – cercava di farsi coraggio – quel fatto lo aveva così turbato? Era stata forse la prima che aveva tolto la vita a qualcuno, senza ripensamenti né rimorsi?
Non aveva esitato la sua mano allorché aveva ammazzato a revolverate, sotto gli occhi del loro padre, quei due fratelli laggiù, a Paulistana. Non aveva tremato il suo cuore quando aveva fatto crocifiggere, per dileggio, quel frate portoghese sulla via di Cruzeiro.
Tutta la sua vita era stata una sfida alle leggi di Dio e a quelle degli uomini: una sfida continua, implacabile, mortale. Il suo cuore non conosceva la pietà. Ma allora perché quella dannata mulatta continuava tormentarlo con le sue imprevedibili, silenziosi apparizioni? Perché?
Entrando in quel miserabile villaggio di capanne senza neanche una chiesetta, una settimana prima, non avrebbe certo immaginato che proprio lì il destino gli aveva dato appuntamento. E quando quella mulatta, della quale aveva abusato, gli aveva chiesto pietà e lo aveva supplicato piangendo in ginocchio, la sua coscienza aveva registrato con un senso di noia e di fastidio una scena tante volte accaduta in forme analoghe.
Non aveva minimamente immaginato, sparandole nel ventre a bruciapelo un colpo di pistola, che quel gesto avrebbe potuto acquistare una risonanza decisiva nella sua vita. Né , uscendo con una scrollata di spalle dalla baracca di paglia e fango seccato al sole, avrebbe mai immaginato che quel volto bruno e ricciuto di mulatta lo avrebbe perseguitato implacabile, di lì a poco, mentre i soldati inseguivano la sua banda come una muta di cani sulle tracce della selvaggina.
Ricordava con un misto d’inquietudine e disprezzo il nome di quel lurido agglomerato di baracche smarrito nella polvere e ella eterna siccità del sertâo: Bom Jesùs. Bom Jesùs! Quei tuguri maleodoranti, quei bimbi stracciati e seminudi, quegli eterni cani magrissimi e pidocchiosi, tutto ciò si chiamava niente meno che Bom Jesùs!
Ma Lui non li aveva davvero protetti quando la banda vi aveva appiccato il fuoco, e ammazzato come un cane il vecchio contadino che aveva osato maledirli; e non aveva soccorso la mulatta dagli occhi di gazzella dilatati dal terrore, quando egli le aveva sparato a bruciapelo, senza nemmeno togliersi il sigaro dalle labbra, con un vago sorriso canzonatorio…
No, non li aveva salvati. Non aveva potuto farlo perché quel Bom Jesùs non era che un nome vuoto, il nome insulso di un cencioso villaggio smarrito nelle pieghe più aride e profonde del desolato Nordeste brasiliano. Non aveva soccorso gli abitanti dalla banda di O Cangaceiro, così come non lo aveva fatto dal cielo azzurro smagliante che da anni e anni negava la pioggia ai campi riarsi e spaccati… No, non esisteva alcun Dio che vegliasse sul Nordeste del Brasile. Nessun Dio e nessuna legge. Lì l’unica legge era la sua, quella di colui che fra tutti i banditi era conosciuto come il solo, vero Cangaceiro: ed era la legge delle sue pistole.
D’un tratto, mentre camminava a tentoni nel bui della notte stellata e senza luna, ebbe un brivido violento lungo la schiena. Non avrebbe saputo dire come, ma aveva la certezza che qualcosa o qualcuno lo stesse fissando.
Di nuovo si volse e fece in tempo a distinguere due occhi bianchi dileguare velocissimi tra le piante. «Giaguari!», gli balenò alla mente, e senza riflettere estrasse la pistola e sparò due colpi, là ove i due occhi malvagi erano scomparsi, a non più di venti metri da lui. E subito si rimproverò per aver segnalato così imprudentemente la sua posizione agli inseguitori. Ma no, avrebbero dovuto essere pazzi per continuare l’inseguimento anche al buio, col rischio di storpiare i cavalli o di cadere a loro volta in un’imboscata. Certamente al tramonto avevano sospeso la caccia e si erano accampati sulla pista, forse dopo aver trovato la carcassa del suo Diablero.
O Cangaceiro allontanò quasi subito il pensiero dei soldati, e posata la sella e le bisacce si avviò con il revolver spianato fra i cespugli.
Doveva accertarsi se aveva colpito la bestia: sarebbe stato pericoloso continuare la marcia con un giaguaro affamato e, magari, ferito alle spalle.
Avanzava cautamente, incespicando a ogni passo nelle alte erbe secche, nel paesaggio notturno e irreale del cerrado (3). Le sagome nere degli alberi contorti e assetati, simili a mostri preistorici, e quelle dei giganteschi termitai che si drizzavano al cielo come torri di una città fantasma, popolavano il silenzio di strane inquietudini.
O Cangaceiro sperò di non avere a che fare con una bandeira gigante, della quale conosceva le abitudini notturne. Se messo alle strette, il bestione rivelava la forza di un orso ed era capace di aprire squarci mortali coi suoi unghioni robusti come il ferro.
Ma, giunto sul luogo ove gli occhi erano scomparsi, ai piedi d’un giallo albero di ipé che mormorava al vento, non trovò nulla.
Sempre con la massima circospezione frugò attorno: nulla.
Ed ecco, di nuovo la sensazione di uno sguardo ostile su di sé lo fece voltare bruscamente; e di nuovo i bianchissimi occhi sfavillanti nella notte si eclissarono tra i cespugli non appena li ebbe intravisti.
Bestemmiando, l’uomo sparò ancora, ma con troppa precipitazione. E mentre si avviava per controllare se almeno questa volta avesse fatto centro, gli occhi apparvero a non meno di cinquanta metri sulla sua sinistra, e sparirono.
Non poteva essere lo stesso animale!
Sforzandosi di controllare il proprio nervosismo, il bandito tornò sulla pista, raccolse la sella e le borse, e riprese il cammino verso sud. Non poteva però fare a meno di voltarsi frequentemente per controllare il terreno alle sue spalle: e non meno di tre volte, nella mezz’ora successiva, rivide gli occhi sinistri brillare nel buio.
Stava per decidere di fermarsi e accendere un fuoco, a dispetto del pericolo di tradirsi con la pattuglia del caporale Terry, quando una nuova sensazione inquietante gli penetrò come un brivido nelle ossa.
Non era mai stato in quei luoghi prima d’allora, eppure riconosceva la pista. «È la stanchezza», pensò; ma non poteva correre il rischio di fermarsi per riposare. Se arrivava alle pendici della Sierra prima dell’alba, era salvo. Lassù non lo avrebbero mai trovato. Doveva perciò proseguire. Ma più avanzava e più la sensazione di familiarità cresceva. Si sarebbe detto quasi… ma no, non poteva, non poteva assolutamente essere quella pista. Le assomigliava, e basta.
Ma poi, giunto alla grande svolta verso oriente, ogni possibile dubbio cadde. Era inverosimile, eppure stava ripercorrendo la pista che portava a Bom Jesùs. Doveva anzi essere vicinissimo al villaggio, ormai.
Nei due o tre chilometri successivi fu come ripercorrere un sogno ad occhi aperti, un sogno torbido e penoso. La pista si allargava poco a poco e gli alberi sui due lati si facevano più radi. Infine, dopo una seconda svolta, giunse al villaggio.
Doveva aver perso l’orientamento durante la fuga affannosa degli ultimi giorni e, descrivendo un cerchio completo, era tornato al punto di partenza. Cose simili possono accadere: devono poter accadere, pensò.
Ma l’ansia e lo stupore non si acquietavano.
Il villaggio era deserto. Le poche capanne carbonizzate, nere contro lo sfondo nero della notte, producevano un effetto più che sinistro.
«Se ne sono andati via, quei miserabili», mormorò a mezza voce o Cangaceiro, indugiando sullo spiazzo abbandonato e spettrale. E pensò, sputando in terra con tutto il suo disprezzo: come le termiti quando a bandeira demolisce con le sue zampate implacabili il termitaio; e allora fuggono, fuggono in tutte le direzioni…
Di nuovo, all’improvviso, si sentì osservato.
Alzò lo sguardo oltre il cerchio delle rovine annerite e vide tre, sei, dieci paia di occhi selvaggi risplendere nel buio tutto attorno.
Sbigottì il bandito, e imprecando estrasse la pistola e cominciò a sparare. Ma gli occhi sembravano indovinare le sue intenzioni: presi di mira si occultavano, e poi subito tornavano ad apparire poco lontano, luminosi, malvagi. Il villaggio bruciato e abbandonato sembrava chiuso nella morsa inafferrabile di quel sinistro cerchio.
Scaricati tutti i colpi della sua arma, mentre la ricaricava o Cangaceiro fu costretto a riflettere su quanto gli stava accadendo. Non potevano essere giaguari: essi sono animali solitari, è già raro che escano in coppia per cacciare. E nemmeno poteva trattarsi di lobos (6): nonostante la sua al-a statura, o lobo ha paura dell’uomo e non si era mai sentito che lo seguisse da vicino.
Allora la mente del bandito, scartate tutte le possibili spiegazioni, si trovò davanti al vuoto. Ed indietreggiò con un lungo brivido di paura.
Con rabbia, quasi con frenesia, egli cominciò a strappare rami secchi ed arbusti per accendere un fuoco. Perché quelle, anche se non riusciva a capire di che specie fossero, dovevano comunque certamente essere belve: e il fuoco tiene lontane le belve.
Quel lavoro fisico, il fatto di muoversi e agire, nonostante la stanchezza, attenuarono in parte il suo senso di impotenza e poco alla volta quasi lo rassicurarono. Ma certo, pensava affastellando la legna secca: belve, sicuro. Os gatos do mato, probabilmente; un branco fatto audace dalla fame e dal numero.
Ma non c’era nulla di cui preoccuparsi. Il fuoco li avrebbe tenuti a distanza, e sarebbe servito al tempo stesso per scaldare un po’ di cena. Poi avrebbe dormito qualche ora, protetto dalla fiamma crepitante… E all’alba, ristorato e ben padrone di sé, si sarebbe rimesso in marcia verso la Sierra… e la salvezza.
«Aspettate pure, bestiacce», li sfidò ad alta voce, mentre traeva di tasca la scatola dei fiammiferi. «Sarà un’attesa lunga, la vostra, e all’alba ve ne dovrete pure andare… se non vorrete fare i conti con la mia pistola».
E rise, rise forte, un po’ istericamente, ben deciso a gettarsi dietro le spalle tutte le inquietudini e tutti gli allarmi di quella serata.
Di colpo il riso gli morì in gola. Qualcuno lo stava fissando: ma non potevano essere gli animali laggiù attorno. Era invece qualcuno lì vicino, a pochi passi da lui.
Lentamente, con riluttanza, timoroso di ciò che avrebbe visto, si alzò dalla fascina sulla quale era curvo e levò sguardo avanti a sé.
E la vide.
La mulatta era proprio lì, sulla soglia della sua panna diroccata.
Stava ferma immobile, appoggiata una trave annerita, con la mano sul fianco, e lo fissasi coi suoi occhi bianchissimi nel buio della notte.
O Cangaceiro rimase come fulminato e nemmeno la solita bestemmia riuscì a farsi strada per la sua gola inaridita. Ma attimo dopo ella era sparita, sgusciando velocemente tra ciò che restava della miserabile capanna.
Il bandito rimase immobile ancora per diversi minuti, come una si tua di sale. Poi, impugnando la grossa pistola e tergendosi col dorso della sinistra il sudore che gli correva per la fronte, a passi lenti ma decisi si avviò verso il rudere semi-carbonizzato.
Sostò un attimo presso la trave ove lei si era appoggiata, solleticando il grilletto della sua arma. Vide, con la coda dell’occhio, che il cerchio degli occhi malvagi s’era fatto molto più vicino, sfiorava le baracche esterne del villaggio, a non più di trenta metri da lui. Tuttavia egli non distolse neppure un istante l’attenzione da ciò che era stata, fino a una settimana prima, la porta della baracca.
Raccolse tutto il suo feroce sangue freddo, ed entrò.
«Però è strano. Non ti sembra, caporale?», chiese il soldato, mentre la pattuglia a cavallo imboccava l’ultima curva della pista e giungeva in vista di Boni Jesùs. – O Cangaceiro ha voluto tornare proprio qui, come se qualcosa lo legasse a questo luogo…».
II caporale Terry, comandante della pattuglia, diede l’alt.
Gli uomini smontarono di sella e imbracciarono te carabine, avviandosi a piedi verso le capanne carbonizzate.
«Può darsi che abbia smarrita la direzione, o può darsi che abbia voluto menarci per il naso – disse il caporale. – Comunque fate bene attenzione. Non mi piace questo silenzio».
«Se avesse voluto tenderci un agguato, avrebbe potuto farlo almeno cinque o sei volte lungo la pista. Ma qui solamente un pazzo, da solo, potrebbe sperare di spuntarla contro otto uomini bene armati».
«Ricordati, Getulio, che l’animale più pericoloso è quello ridotto alla disperazione… Attenzione adesso, ci siamo».
Erano arrivati sullo spiazzo al centro del villaggio. E subito notarono la sella riccamente adornata, le bisacce e la fiasca dell’acqua abbandonate a terra presso un fascio di arbusti e rami secchi. Un fuoco che non era mai stato acceso.
Cominciarono a frugare fra le macerie bruciacchiate, tenendo i fucili spianati, senza dire più nulla. L’esplorazione fu di breve durata. Le capanne erano tutte ridotte a dei mucchietti di legni anneriti dal fuoco, tranne una, quasi al centro del villaggio, che era rimasta parzialmente in piedi. A un ordine del caporale, due soldati vi penetrarono, le carabine strette in pugno. E si arrestarono di colpo per la sorpresa e l’orrore.
Al centro del pavimento, la testa mozza del Cangaceiro sembrava fissarli coi suoi occhi enormi sbarrati.
Il corpo non c’era, e non lo trovarono da nessuna pane Nei tratti del volto era impressa la ferocia che il bandito aveva mostrato da vivo.
Ma, nello sguardo fermato dalla morte, era visibile un terrore così smisurato, così atroce, che non era possibile sostenerlo più di qualche secondo.
NOTE
1) Sertâo: paesaggio steppico del Nord-est del Brasile.
2) O Cangaciero: lett.: il bandito.
3) Cerrado: la boscaglia rada o savana brasiliana.
4) Bandeira: il formichiere, così detto per la forma e il portamento della grande coda pelosa, simile a una bandiera.
5) Ipé: splendido albero senza foglie, che in agosto si adorna di innumerevoli fiori gialli.
6) Lobo: lett.: lupo. Si tratta propriamente del crisocione o lupo dalla criniera, dalle zampe smisuratamente lunghe.
7) O gato do mato: lett.: il felino della foresta, felis pajeros.
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels