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Il giardino d’inverno

La novella di Giovanni Boccaccio ambientata a Udine (Decameron, Giornata X, Novella quinta) rappresenta la minaccia della magia contro la società civile di quel tempo.

(Pubblicato sulla rivista Graal, n.9, maggio-giugno 2004,

rivisto e ampliato nel 2007).

"In Friuli, paese quantunque freddo, lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane, è una terra chiamata Udine, nella quale fu già una bella e nobile donna, chiamata madonna Dianora, e moglie d’un gran ricco uomo nominato Gilberto, assai piacevole e di buona aria. E meritò questa donna per lo suo valore d’essere amata sommamente da un nobile e grande barone,il quale aveva nome Ansaldo gradense, uomo d’alto affare, e per arme e per cortesia conosciuto per tutto. Il quale, ferventemente amandola e ogni cosa faccendo che per lui si poteva per essere amato da lei, e a ciò spesso per sue ambasciate sollicitandola, invano si faticava…"

UNA VICENDA FANTASTICA?

Con queste parole Emilia, una delle fanciulle della "lieta brigata", dà l’incipit alla novella quinta della decima giornata, nel capolavoro di Giovanni Boccaccio, il Decameron. La storia prosegue così: volendosi liberare dell’insistente ammiratore, Dianora gli manda a dire che verrà da lui il giorno in cui egli le saprà offrire "del mese di gennaio che viene, appresso di questa terra un giardino pieno di verdi erbe, di fiori e di fronzuti albori, non altrimenti fatto che se di maggio fosse" ; ma che, se non sarà in grado di accontentarla, dovrà rinunciare per sempre a corteggiarla.

Invece di scoraggiarsi e di gettare la spugna, Ansaldo, l’innamorato, riesce a trovare un negromante che realizza il desiderio impossibile. "Essendo i freddi grandissimi e ogni cosa piena di neve e di ghiaccio, il valente uomo in un bellissimo prato vicino alla città con sue arti fece sì, la notte alla quale il calendi gennaio seguitava, che la mattina apparve, secondo che color che ‘l vedevan testimoniavano, un de’ più bei giardini che mai per alcun fosse stato veduto, con erbe e con alberi e con frutti d’ogni maniera."

Dianora, come del resto i suoi concittadini, vede il portento, stupisce e si rattrista. Infine, si confida col marito, il quale compassionando la sua imprudente promessa (e temendo anche, un poco, i poteri del negromante) l’autorizza a recarsi da messer Ansaldo, cercando di preservare se può la sua onestà e, se non può, di concedergli per quella volta sola il corpo, ma non l’anima. Controvoglia, la donna obbedisce e, prima dell’alba, scortata da due famigliari e da una domestica, si reca a casa dello spasimante, il quale l’accoglie "con reveranza e senz’alcun disordinato appetito": felice, ma quanto mai rispettoso. E seduti tutti davanti a un caminetto, la bella Dianora gli confida che si è recata lì solo per obbedire all’ordine di suo marito. Al che Ansaldo, gareggiando in liberalità e disinteresse con Gilberto (il consorte), scioglie la donna dalla promessa fattagli e la rimanda libera a casa. Il negromante, che aveva assistito a tutta la scena, punto nel senso dell’onore, a sua volta si congeda rifiutando il compenso pattuito per i suoi servigi.

Ė la novella della signorilità d’animo, della magnificenza che non vuole ricompense, dell’onore cavalleresco che prevale su ogni altra cosa, perfino sull’onore materialmente inteso, quale custodia di una rispettabilià puramente esteriore. Essa trasporta il lettore in un’atmosfera sognante e rarefatta, dove tutto è possibile perché Amore nobilita e trasfigura le cose abituali con una luce abbagliante, diffondendo un’aura d’impareggiabile gentilezza e cortesia su personaggi e situazioni.

UN’AMBIENTAZIONE REALISTICA.

In realtà, esistono valide ragioni per collocare la vicenda narrata da Emilia in un contesto di realistica verosimglianza, caratterizzata da elementi storico-geografici assai più circostanziati di quanto una lettura distratta lascerebbe immaginare.Il Friuli, con il suo clima continentale, le sue montagne, i fiumi e le chiare fontane, appare descritto realisticamente. Se pure Giovanni Boccaccio non lo visitò personalmente, certo ne ebbe notizie precise da mercanti fiorentini e toscani, che allora vi prosperavano numerosi. I protagonisti della vicenda sono tutti designati per nome; di Anselmo si specifica anche la provenienza. Era di Grado, località posta sull’isola omonima, nella laguna di fronte ad Aquileia; sebbene, come quasi tutti i nobili feudali del tempo, disponesse anche di un palazzo cittadino. Si specifica che il giardino creato dal negromante apparve, nella notte fra il 31 dicembree il 1° gennaio, "in un bellissimo prato vicino alla città" di Udine. Tutto lascia pensare che Boccaccio si riferisse a un luogo ben preciso: la conca ai piedi del versante est del colle su cui sorgeva il castello patriarcale, l’attuale piazza 1°Maggio.

Qui, in origine, vi era un lago che fu interrato ai primi del trecento lasciando, al suo posto, tre piccoli stagni. La notizia di un’opera d’ingegneria idraulica così grandiosa dovette spargersi, amplificata dall’ammirazione, anche fuori del Friuli. Secondo lo storico udinese Arduino Cremonesi, il Boccaccio avrebbe a questo punto contaminato il "miracolo" del prosciugamento del lago con quello del giardino d’inverno: opere entrambe, nella mentalità popolare del tempo, di magia negromantica (o cerimoniale), basata sull’evocazione degli spiriti e degli spettri dei morti.

Se Boccaccio avesse voluto mettere in bocca a Emilia una storiella puramente di fantasia, l’avrebbe collocata in un tempo e in un luogo indefiniti. Invece, il prato scelto dal negromante per l’incantesimo è "vicino alla città", cioè subito fuori le mura; in effetti questa zona era extraurbana perché posta fuori Porta San Bartolomeo (oggi porta Manin), che in origine si chiamava Porta Cividale e faceva parte della terza cerchia di mura, realizzata dal patriarca Raimondo della Torre (morto nel 1299). I suoi successori promossero la quarta e quinta cerchia e fu allora che, dovendosi includere l’area del lago, si decise di prosciugarlo. Ciò avvenne contestualmente alla risistemazione del corso delle due rogge cittadine, la Roggia di Palma e la Roggia di Udine. La riduzione del lago nei tre piccoli stagni dovette essere così rapida che, secondo lo storico Gino di Caporiacco, Boccaccio fu sollecitato a fantasticare di un’opera dovuta a "incantamento",

Dianora, moglie di un ricco borghese, è insidiata da un barone, rispecchiando perfettamente lo scontro di classe nel Friuli patriarchino: lo strapotere dei nobili nei confronti del ceto mercantile (e dello Stato stesso, visto che perfino alcuni patriarchi finirono assassinati per mano della nobiltà locale). Inoltre, i feudatari del Friuli erano quasi tutti di origine longobarda: Ansaldo, che oggi si è conservato come cognome, è un nome che tradisce immediatamente l’origine germanica. Per il toscano Boccaccio, che viveva in una Firenze dominata dalla ricca borghesia finanziaria e mercantile (il "popolo grasso"), la conoscenza di tutto ciò appare stupefacente..

L’autore del Decameron, inoltre, sottolinea nella novella la rigidità del clima friulano: ebbene, i sobborghi a est di Udine, come l’area del lago, erano e sono particolarmente esposti al vento della bora, che soffia con estrama violenza giù dall’altipiano del Carso.

UNA STORIA DI MAGIA.

Ciò che rende sorprendente la novella, a livello contenutistico, è il "colpo di scena" operato dalle arti magiche. Anche in questo caso, dobbiamo innanzi tutto domandarci se Boccaccio ha inteso fare opera di mera fantasia o se può aver tratto ispirazione da circostanze reali.

La prima cosa da notare è che la vicenda di madonna Dianora non è una creazione originale del Decameron, ma appare già nel Filocolo, una delle opere minori dell’autore toscano e la sua prima di sicura attribuzione. Il Filocolo, scritto fra il 1336 e il 1340, è un romanzo in sette libri che narra la ben nota leggenda di Florio e Biancifiore; nel quarto libro, come in un romanzo nel romanzo, vi è la novella in questione, con lievissime varianti: Ansaldo diventa Tarolfo (altro nome germanico), Dianora è una dama senza nome, così come suo marito, che è un cavaliere anziché un borghese.

Per il resto, la vicenda è pressochè identica: unica significativa differenza è che, nel Filocolo, il mago Tebano opera mediante un incantesimo che viene descritto (molto ingenuamente) in tutti i particolari, mentre Emilia, nel Decameron, sorvola sul come il giardino d’inverno sia stato realizzato in una sola notte. Si tratta- nell’opera giovanile – di un rito di evocazione rivolto alla notte, alle stelle, a Ecate e a tutte le forze e divinità minori della natura. Appare un carro tirato da due dragoni, che conduce Tebano in una cavalcata fantastica attraverso mezzo mondo: da Creta al Caucaso, dal Gange alla Libia, al Tanai (Don), al Danubio, onde permettergli di rifornirsi di pietre e piante dal magico potere, con le quali riesce a creare il giardino prodigioso.

Ma Boccaccio dove può aver tratto la materia, o almeno lo spunto, per la sua storia? Nel Medioevo le arti occulte sono praticate, per così dire, su un doppio binario: colto e popolare. Quest’ultimo è appannaggio di una vasta schiera di streghe e stregoni che si muovono nel contesto più o meno esplicito di un animismo naturalistico di origine pre-cristiana, legato sovente ai culti di fertilità di epoca neolitica. Quello colto, invece, riceve gran parte della propria linfa dai contatti con il Medio Oriente islamico che seguono, come osserva Fulcanelli ne Le dimore filosofali, tre direttrici di penetrazione: bizantina, mediterranea (la Palestina dell’epoca delle Crociate), iberica (la Spagna almoravide).

Intorno al 1330 le scienze occulte sono anche oggetto di insegnamento universitario: la magia a Toledo, l’astrologia a Padova, l’alchimia a Cracovia. Il rapporto fra esse e la gerarchia cattolica è ambivalente: alcuni papi arrivano a proteggerle personalmente (nel Rinascimento, Leone X istituisce una cattedra di astrologia alla Pontificia università di Roma), altri le combattono duramente.

IL GIARDINO D’INVERNO.

L’operazione magica compiuta dal negromante per conto di messer Ansaldo non è un parto di fantasia. Essa è prevista dai rituali cerimoniali ed è perfettamente descritta nel Libro di San Cipriano, attribuito al monaco Giona Sufurino del monastero di Broken, intorno all’anno Mille. Nel capitolo XIV della sezione "L’etere", descrivendo i poteri magici di Simon Mago, così come li aveva studiati san Cipriano, si dice fra l’altro che "creava immagini luminose, forme materiali" e che era capace di "trasformare campi sterili in pieno inverno in campi ornati di alberi fantastici e di esuberante vegetazione".

Si ha pertanto l’impressione che Simon Mago, secondo San Cipriano, non creava realmente un giardino fiorito in pieno inverno, ma aveva la capacità di farlo apparire tale agli astanti: un po’ come Mosè quando trasformava il bastone in un serpente e viceversa, alla presenza del faraone d’Egitto e dei suoi maghi (Esodo, VII, 8-13), Il Libro di San Cipriano, del resto, afferma che "gli esperimenti di Simon Mago erano mervigliosi, sì, ma possibili a tutti gli iniziati esperti nelle pratiche dell’alta magia", servendosi della clavicola (= piccola chiave) di Salomone. Anche i maghi d’Egitto trasformarono i loro bastoni in serpenti: solo che il serpente di Mosè li divorò, sempre in presenza del faraone.

Una magia del tutto simile è attribuita ad Alberto Magno, il grande scienziato e teologo tedesco, maestro di Tommaso d’Aquino. Si dice, dunque, che Alberto Magno invitò nel suo convento il conte d’Olanda, Guglielmo II, in pieno inverno e che, tuttavia, fece apparecchiare la tavola all’aperto. Non appena il duca e il suo seguito si furono seduti, la neve si sciolse e l’aria si fece tiepida, come in un bel giorno di primavera.Questo, e altri simili prodigi, furono raccontati dai discepoli di Alberto Magno, tra cui lo stesso Tommaso d’Aquino: ad esempio, la costruzione di un automa meccanico, capace persino di parlare, ma che alla fine venne distrutto per mano del suo stesso inventore.

FEDELTÀ AI VALORI, CONTRO LA MAGIA.

Sembra che con questa novella Boccaccio abbia voluto rappresentare, sullo sfondo di una città trecentesca realisticamente descritta, la minaccia rappresentata dalla magia nei confronti della società civile del suo tempo. È vera, infatti, l’osservazione di Carlo Salinari, secondo il quale madonna Dianora è l’unica figura intimamente umana: essere dolente che lotta per difendere il suo pudore, tanto più commovente allorché, "senza troppo ornarsi", si reca controvoglia da messer Ansaldo, "nella sua umile e dimessa personalità di donna onesta".

Ma è anche vero che Piero Gallardo, con profonda finezza umana, ricava dalla vicenda nel suo insieme "una forma più complessa di cortesia, che diventa soprattutto comprensione umana, in questa novella in cui la magia sfuma i contorni della realtà e crea un’atmosfera quasi fiabesca. Il rispetto della parola data, anche se incautamente, fa nascere sentimenti di generosità nell’animo di tutti: generosità che è essenzialmente fedeltà a valori che arti non umane minacciavano di sovvertire."

L’incantesimo del giardino d’inverno, infatti, spogliato del suo alone fiabesco, ci appare come un diabolico strumento per distruggere il pudore, la fedeltà, l’armonia coniugale. Violenza soprannaturale che solo un codice di magnanimità spinto sino al sacrificio e alla rinuncia di sé riesce a disarmare. Virtù e giustizia sono salve, perché ciascuno è disponibile al superamento del proprio ego, alla propria sconfitta: Gilberto del suo orgoglio, Dianora della sua onestà, Ansaldo del suo piacere, il negromante del suo guadagno. Ma dove ciascuno è disposto a perdere, tutti alla fine vincono: perché "chi vorrà salvare la propria vita, la perderà: ma chi perderà la propria vita per me – dice Cristo – la salverà." (Luca, IX, 24).

Francesco Lamendola

NOTA BIBLIOGRAFICA

Gino di Caporiacco, Udine. Appunti perla storia, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1976; Nicolangelo d’Acunto, voce Udine, in Dizionario Encicilopedico del Medioevo di André Vauchez, Roma, Città Nuova, 1999, vol. 3, pp. 1969-70; Arduino Cremonesi, L’epoca patriarcale (1077-1420), in Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, Ist. Per l’Enc. del Friuli Venezia Giulia, 1978, vol. 3, parte I, pp.137-178; P. S. Leicht, Breve storia del Friuli, Udine, Libreria Editrice "Aquileia", 1977; Aldo Rizzi, Udine, Udine, Del Bianco Editore, 1969; Arduino Cremonesi, Udine. Guida storico-artistica, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1978; Gian Carlo Menis, Storia del Friuli, Udine, Società Filologica Friulana, 1996; Piero Gallardo, Giovanni Boccaccio, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1968, pp. 146-150; Giovanni Boccaccio, Il Decameron, a cura di Carlo Salinari, Bari, Laterza, 1988 (2 voll.), vol. 2, pp. 703-708; Cordier, Umberto, Guida ai luoghi misteriosi d’Italia, Casale Monferrato, Piemme, 2004, p. 168; Autori Vari., Guida ai misteri e segreti del Trentino Alto-Asige e del Friuli-Venezia Giulia, Milano, Sugar Ed., 1972, p. 243. Autori Vari, Friuli-Venezia Giulia, Bergamo, Atlas, 1983, pp.155-169; Autori Vari, Friuli -Venezia Giulia, Milano, Aristea, 1979, pp. 63-75.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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