
Da dove viene la marea
24 Dicembre 2006
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29 Dicembre 2006O LIBERA FEDERAZIONE DI COMUNI ?**
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Questo articolo è stato pubblicato sul numero 35 del 19 novembre1989 (anno 69) del settimanale "Umanità Nova", giornale anarchico fondato da Errico Malatesta.
Lo riproponiamo per dare un contributo alla riflessione su uno dei temi nevralgici del dibattito culturale di matrice libertaria: la futura organizzazione del lavoro e dell’intera società emancipata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo di matrice capitalistica.
Spesso gli anarchici vengono accusati (e con qualche ragione) di praticare una ideologia puramente negativa; di essere troppo presi dalla lotta contro qualche cosa (Stato, istituzioni, capitalismo), e troppo poco dallo sforzo di precisare il proprio pensiero in senso costruttivo. Appunto per portare un piccolo contributo a un dibattito orientato in tal senso, ci sembra non inutile rivisitare una controversia "storica" del movimento anarchico, quella tra César De Paepe e Adhémar Schwitzguébel sui temi della organizzazione sociale. Infatti la problematica teorica di quel dibattito, estremamente importante e costruttiva, è attuale più che mai, anzi si carica di nuove urgenze alla luce del rapidissimo progresso scientifico e tecnologico che, negli ultimi anni, ha fortemente condizionato l’evoluzione sociale. Ciò diciamo, pur consapevoli del fatto che sarebbe vano e puerile voler stabilire oggi, a tavolino, quel che secondo gli anarchici andrà fatto, quando sarà possibile iniziare la ricostruzione della società in senso libertario. Ma ancor più vano e puerile sarebbe, da parte loro, invocare un tale cambiamento, senza avere affatto le idee chiare su ciò che concretamente essi vogliono, in positivo.
Tutto inizia al Congresso dell’Internazionale del 1874, a Bruxelles (passato poi alla storia con l’epiteto di "anti-autoritario"). Il belga De Paepe, personalità eminente del movimento libertario e socialista, quantunque non specificamente anarchico, presenta un rapporto intitolato Sull’organizzazione dei servizi pubblici nella società futura.
Per prima cosa egli si chiede: dovranno, tali servizi d’interesse generale, essere gestititi da compagnie operaie? Ma, anche se operaie, queste "non tarderebbero a dominare tutta la situazione economica, come i loro antenati dominarono le compagnie finanziarie". Né esisterebbe contratto in grado di premunire la società dal loro strapotere. Anche le compagnie capitalistiche, infatti, hanno ricevuto la concessione di miniere, ferrovie, ecc., mediante un contratto: il che non ha impedito il loro funzionamento a danno dei lavoratori e per il beneficio esclusivo di pochi privilegiati. E allora?
Il problema non è di facile soluzione, anche ammettendo che la proprietà degli strumenti di lavoro rimanga nelle mani del corpo sociale, che li affida temporaneamente alle società operaie. Per contro, si affaccia la proposta dei socialisti "autoritari": è lo Stato che deve occuparsi dei servizi sociali d’interesse collettivo. De Paepe sa bene che la sola parola "Stato" suscita le reazioni immediate degli anti-autoritari, per i quali essa è sinonimo di autorità e di potere. E tuttavia, si chiede "se le collettività operaie, le corporazioni di mestieri riunite in una stessa località; se in una parola questa Comune dei proletari, il giorno in cui avrà sostituito la Comune ufficiale di oggi o Comune borghese, non si troverà come quest’ultima di fronte a certi servizi pubblici il cui mantenimento è indispensabile per la vita sociale. Noi ci chiediamo se, nella nuova Comune, non saranno necessari sicurezza pubblica, pulizia delle strade e delle piazze, illuminazione nelle vie, acqua potabile nelle case, fognature…". E prosegue: " I gruppi operai, le corporazioni di mestieri della Comune dovranno scegliere, nel loro seno, delegati per ogni servizio pubblico… oppure questi gruppi nomineranno in blocco una delegazione che si divida la direzione dei diversi servizi (i corsivi sono nostri, n. d. r. ).
E qui, per De Paepe, si pone il dilemma. I servizi pubblici non possono essere gestiti da un’organizzazione puramente locale: poste, telegrafo, ferrovie, ecc., sono destinati – per loro stessa natura – ad operare su un territorio più vasto della singola Comune. Le Comuni si dovranno quindi riunire in Federazioni più ampie, e scegliere delle delegazioni che si occupino dei vari servizi d’interesse regionale. Questi delegati costituiranno, dunque, una vera e propria amministrazione pubblica. Inoltre, all’inizio, sarà opportuno che le Federazioni di Comuni si costituiscano secondo un criterio di affinità linguistica, il che significa – più o meno – ricalcare la configurazione territoriale dei vecchi Stati borghesi.
"E questa Federazione regionale o nazionale delle Comuni, che cosa sarà, se non uno Stato? Sì, uno Stato, poiché bisogna chiamarlo con il suo nome. Solo, sarà uno Stato federativo, uno Stato organizzato dal basso all’alto". Addirittura, il De Paepe non esita a definirlo uno Stato "anarchico", forse mettendoci le virgolette proprio perché si rende conto, non solo della contraddizione in termini, ma del fatto che egli sta ricalcando fedelmente i vecchi discorsi marxisti sullo Stato operaio, sullo Stato dei lavoratori, sul "potere rosso" e via dicendo.
Se ne rende conto così bene, che cerca di distinguere e di differenziare in ogni modo il suo preteso "Stato anarchico" dallo Stato giacobino dei socialisti autoritari. Dice infatti, a mo’ di conclusione: "Alla concezione giacobina dello Stato onnipotente e della Comune posta in posizione subalterna, opponiamo la concezione della Comune emancipata, che nomina da sola tutti i suoi amministratori, senza eccezioni, che ha funzioni legislative, giudiziarie, e di sicurezza pubblica".
E di sicurezza pubblica: non chiarisce ulteriormente questo concetto, e a noi resta quantomeno il dubbio che De Paepe, oltre allo Stato camuffato da Federazione delle Comuni libertarie, voglia propinare ai suoi compagni anche una polizia in piena regola.
Comunque, i problemi sollevati circa l’organizzazione dei servizi pubblici sono reali, e meritevoli di un dibattito ampio e libero da pregiudizi. Si incarica di rispondergli per primo, al Congresso del Giura di Vevey (1-2 agosto 1875), Adhémar Schwitzguébel, a nome della sezione degli incisori e rabescatori. (Per inciso, questo dibattito è interessante anche perché sostenuto da due militanti che non sono intellettuali di professione, e rappresentano quindi il punto di vista genuino dei lavoratori. De Paepe, benché destinato in gioventù all’avvocatura, ha dovuto interrompere gli studi e diventare tipografo; Schwitzguébel, oriundo del Giura svizzero, è operaio incisore-rabescatore).
La prima obiezione di Schwitzguébel alle tesi di De Paepe è che il cosiddetto "Stato operaio" assomiglia troppo, nella realtà dei fatti e non solo nel nome, allo Stato attuale, capitalista e sfruttatore. D’altra parte, Schwitzguébel prevede le due contro-obiezioni del compagno: 1) che lo Stato operaio, essendo retto e amministrato dalle classi lavoratrici, avrà perduto il suo attuale carattere oppressivo; 2) che, invece di un’organizzazione politico-giudiziario-poliziesca, sarà puramente e semplicemente un’agenzia economica, regolatrice dei servizi pubblici organizzati.
Ma… c’è un "ma". Lo Stato anarchico teorizzato da De Paepe (che non viene citato direttamente: si tratta di una polemica estremamente composta e garbata, basata sul presupposto della buona fede reciproca) si sforza di distinguere fra sfera pubblica, di sua pertinenza, e sfera privata, di pertinenza esclusiva dell’individuo. Orbene: lo Stato borghese attuale persegue precisamente tale distinzione. Il meccanismo della delega è appunto basato su questa distinzione. Poiché il proletariato, per gestore i servizi d’interesse generale, deve scomporsi, dividersi, specializzarsi: insomma, deve mandare al parlamento dei rappresentanti. Dunque, anche in uno stato operaio ci saranno dei parlamenti e, con essi, entrerà in vigore il principio che la maggioranza detta legge alla minoranza. E chi non si adegua, chi non rispetta le decisioni parlamentari? Evidentemente, dovrà essere trattato come un criminale (straordinaria, questa intuizione di Schwitzguébel del futuro Stato-gulag staliniano, con cinquanta o sessant’anni di anticipo).
E prosegue: "Questo Stato operaio, che doveva essere organizzato per la soddisfazione degli interessi economici della società, eccolo lanciato a vele spiegate nella legislazione, la giurisdizione, la polizia, l’esercito, la scuola e le chiese ufficiali." (Notiamo, en passant, che De Paepe – coerentemente – non aveva arretrato davanti a previsioni del genere, quando aveva parlato di "funzioni legislative, giudiziarie, e di sicurezza pubblica"). Ma Schwitzguébel porta alle estreme e logiche conseguenze tali premesse, affermando: "L’organizzazione giudiziaria [sarà necessaria] per punire gli attacchi portati alle basi, all’ordine, alle leggi dello Stato; la polizia, per sorvegliare l’osservanza delle leggi; l’esercito, per reprimere la rivolta che sta per scoppiare, per proteggere lo Stato contro gli attacchi degli altri Stati" (non può non venire alla mente il concetto di "esercito popolare" caro al P. C. I. del secondo Novecento e, in genere, a tutti i partiti socialisti e comunisti d’ispirazione più o meno esplicitamente marxista).
Dopo aver sviluppato la parte critica, Schwitzguébel non scantona e non elude i problemi reali posti da De Paepe sulla futura organizzazione dei servizi pubblici. Solo che, "ragionando in modo razionale, si sarebbe dovuto dire: noi ci troviamo di fronte alla necessità di trasformare la proprietà individuale in proprietà collettiva: qual è il mezzo più pratico…?", e non lambiccarsi il cervello, chiedendosi come e da chi dovranno essere gestiti i servizi pubblici. E risponde: saranno le necessità rivoluzionarie a suggerire alle corporazioni di mestiere i patti federativi. Nessun gruppo potrà accaparrarsi la proprietà collettiva con finalità egoistiche, poiché i patti saranno comunali, regionali, internazionali, così come la proprietà collettiva sarà comunale, poi regionale e infine internazionale. "Quanto alla costituzione dei gruppi di produttori, la spontaneità degli interessi rivoluzionari che sono all’origine della loro nascita sarà il punto di partenza della loro organizzazione, e dello sviluppo di questa organizzazione dal punto di vista della riorganizzazione sociale."
In altre parole, il processo rivoluzionario fornirà l’occasione per sperimentare l’autogestione dei produttori, che fornirà la traccia anche per l’organizzazione successiva. Il nostro pensiero corre ai Soviet, così come nacquero già prima della Rivoluzione d’ottobre (sia nel 1905 che nel febbraio del 1917), quando i i lavoratori russi si accorsero che erasn capacissimi di gestire da soli le fabbriche, le aziende, le tenute agricole, e vissero quella straordinaria stagione creativa e libertaria che poi il colpo di Stato bolscevico stroncò, sostituendo il ferreo partito "dei lavoratori" all’autogestione, e lasciando alla nuova organizzazione sociale solo il nome, vuoto e falso, di "sovietica": mentre a Kronstadt, nel 1921, i membri degli autentici Soviet venivano massacrati.. dall’Armata "Rossa"!
Infine, Schwitzguébel spiega perché la Federazione delle Comuni non sia e non debba diventare uno Stato, e sia pure uno Stato operaio.
"Lo Stato stabilisce i servizi pubblici e la loro organizzazione: ecco la volontà sottomessa a delle regole. Nella Federazione delle Comuni […] ciò che è limitato si organizza in modo limitato, tanto nei gruppi quanto nelle comuni e nelle federazioni. È l’esperienza, il progresso di ogni giorno, messo al servizio della libertà e dell’attività umana… Che cosa sono diventati, in questa organizzazione, i servizi pubblici dello Stato attuale, la sua legislazione, la sua polizia, la sua giurisdizione, il suo esercito, la sua scuola e la sua chiesa ufficiale? Il libero contratto ha sostituito la legge: se ci sono dei conflitti, sono giudicati da tribunali nell’ambito dei gruppi stessi in cui scoppiano questi conflitti; e, quanto alle misure repressive, non hanno ragione di esserci, in una società fondata sulla libera organizzazione."
N. B. Tutta la controversia De Paepe- Schwitzguébel è documentata in DANIEL GUÉRIN, Né Dio né padrone, Jaca Book, 1977.
ALCUNE NOTIZIE SU DE PAEPE E SCHWITZGUÉBEL
"DE PAEPE, CÉSAR (1842-90). Nato in una vecchia famiglia fiamminga di Ostenda, orfano in giovanissima età, si guadagna da vivere in principio come operaio tipografo, contemporaneamente studiando medicina e facendo propaganda alle sue idee. Originariamente proudhoniano, si orienta, verso il 1867, verso un collettivismo individualista che diventa quello dell’A.I.L. (Associazione Internazionale dei Lavoratori o Prima Internazionale) al Congresso del 1868 a Bruxelles. I collettivisti anti-autoritari, infatti, si raggruppano dietro di lui e James Guillaume. Fa parte fino al 1877 dell’Internazionale anti-autoritaria; l’abbandona , come pure la sua Federazione belga, per adottare un concetto più tradizionale di Stato. Si tratta, in realtà, di una adesione alle tesi marxiste. Per l’Internazionale anti-autoritaria è un colpo tanto più duro, in quanto la Federazione belga aveva ricevuto mandato, al precedente congresso, di occuparsi, nell’anno seguente, dell’ufficio federale."
Tratto da Roger Boussinot, Piccola enciclopedia dell’anarchia, Milano, Garzanti, 1978, p. 76 (Samonà e Savelli, 1970).
SCHWITZGUÉBEL, ADHÉMAR, incisore Sonvilier, membro bakuniniano della Federazione del Giura.
"All’interno della Federazione del Giura si scontrano due linee. Una facente capo a Kropotkin e Cafiero si proclama comunista libertaria, l’altra, il cui leader è Adhémar Schwitzguébel, si proclama collettivista. Le differenze sostanziali fra le due tendenze si possono così riassumere. I collettivisti sostengono la collettivizzazione dei mezzi di produzione lasciando alle associazioni operaie il compito della ripartizione dei prodotti del lavoro, remunerando il lavoro in funzione delle prestazioni fornite; il comunismo libertario, pur dichiarandosi favorevole alla collettivizzazione, sostiene che bisogna mettere in comune anche gli oggetti di consumo e distribuire a tutti secondo la formula "da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".
Tratto da Domenico Tarizzo, L’anarchia. Storia dei movimenti libertari nel mondo, Milano, Mondadori, 1976, p. 49. Altre notizie su Schwitzguébel sono reperibili in George Woodcock, L’Anarchia, Milano, Feltrinelli, 1980.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash