
Luddismo: rivolta dei perdenti o profezia
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Jaroslav Hašek: quando l’anarchismo è vita
12 Luglio 2006Questo articolo riporta la sintesi di due conferenze tenute dall’Autore, alcuni anni fa, per l’Associazione Filosofica Trevigiana (ora Associazione Eco-Filosofica).
La prima, intitolata: "Prospettive per il Duemila: considerazioni inattuali" ha avuto luogo giovedì 12 novembre 1998, alle ore 17,00, presso l’allora sede dell’Associazione in Palazzo Onigo (accanto al Teatro Comunale), a Treviso, e costituiva per così dire la "pars destruens", ossia la critica al modello di sviluppo neocapitalista e ai suoi costi ambientali, sociali, umani.
La seconda, intitolata: "Prospettive per il Duemila: per uscire dalla crisi", e sollecitata dagli intervenuti alla precedente, si è svolta venerdì 23 aprile 1999, alle ore 17,00, sempre a Palazzo Onigo, e ha costituito la "pars costruens". Molti argomenti sono sati recentemente ripresi dall’Autore nel corso di incontri e seminari, tra cui quello tenuto a Maserada sul Piave il 12 maggio 2006, e quello tenuto presso il Convento di San Francesco a Treviso il 12 giugno 2006 (quest’ultimo tenuto dall’Associazione Eco-Filosofica in collaborazione con l’Associazione per la Decrescita Sostenibile).
Il testo, riassuntivo, delle due conferenze originali è stato pubblicato sui"Quaderni" dell’Associazione Filosofica Trevigiana: il primo, sul numero 7 del 1998 (anno XIX), pp. 2-3; il secondo, sul numero 1 del 1999 (anno XX), pp. 2-3.
PROSPETTIVE PER IL DUEMILA:
CONSIDERAZIONI INATTUALI
(Prima parte)
- [LA GRANDE MENZOGNA.**
L’economia capitalista, chiusa la "parentesi" dell’alternativa comunista, tende ad autoreferenziarsi – come al principio del XIX secolo – quale unica possibile forma di economia, anzi, come la sola possibile filosofia politica, come la sola interpretazione legittima del mondo. L’appiattimento dei media e di larga parte del mondo della sedicente cultura su tali posizioni, è completo. Ogni approccio alla realtà diverso da quello del mercato è bollato come utopismo conservatore, come luddismo. [cfr. F. Lamendola, recensione al libro Ribelli al futuro di Kirkpatrick Sale, sul Quaderno n. 7 del 1999, anno XX, pp. 5-7.]
- [IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI ?**
Il dissenso è ridicolizzato e/o criminalizzato. Diffidare delle virtù taumaturgiche del mercato per la ricomposizione dei conflitti sociali significa essere fuori della storia, fuori del progresso. Contestare l’attuale distribuzione della ricchezza equivale a "remare contro". Il meccanismo onnipervasivo del nuovo paradigma politico-economico tende a eliminare fisicamente le minoranze ideologiche. Lo Stato-azienda è la versione aggiornata dello Stato etico di hegeliana memoria: ciò che vi si riconosce è buono, ciò che gli si oppone è cattivo.
- [IL RICATTO DEL PROGRESSO.**
Poiché lo sviluppo dell’economia capitalista viene identificato col "progresso" tout-court, essere contro tale sviluppo significa combattere una battaglia persa contro il progresso. Accettare il "progresso" significa accettare anche una crescente gerarchizzazione e militarizzazione dell’economia e della società, una crescente centralizzazione del potere mondiale, una crescente irreggimentazione a danno dei sudditi-produttori-consumatori. In cambio, il "benessere" nevrotico e artificiale di una piccola minoranza privilegiata, costruito sul crescente sottosviluppo di oltre tre quarti dell’umanità
- ["CHE IMPARINO DA NOI!"**
Così diceva Reagan ai popoli del Sud della Terra, come ricetta per uscire dal sottosviluppo: rimboccatevi le maniche, lavorate, privatzzate e, soprattutto, apritevi al mercato (delle multinazionali). Ma il mito che il modello di sviluppo capitalistico sia esportabile, e possa consentire di colmare gradualmente l’abisso che separa le società povere da quelle opulente, è stato smentito dai fatti. Oggi, il divario di reddito fra l’Occidente e i Paesi sottosviluppati è cresciuto di tre volte rispetto al 1968. È evidente che la "ricetta" del libero mercato e delle privatizzazioni a tappeto non è e non può essere una ricetta mondiale.
- [LA PIOVRA CAPITALISTA.**
Contrariamente all’opinione corrente, sono i Paesi ipersviluppati a drenare capitali da quelli sottosviluppati: con gli interessi sui prestiti, con l’attrazione di capitali nelle loro banche, con i roll-programs statunitensi che funzionano come super-B.O.T. internazionali, garantiti dal Tesoro americano e che assicurano agli investitori interessi anche del 40% e oltre. L’economia mondiale, che è costituita per il 99% da titoli e azioni e solo per l’1% da beni e servizi reali, finanzia dunque incessantemente la ricchezza dei ricchi con la miseria dei poveri, attraverso un meccanismo apertamente speculativo.
- [UNA SPADA DI DAMOCLE.**
Tutti dunque, ricchi e poveri, viviamo sotto l’incubo di una spada di Damocle sospesa sul capo: le oscillazioni di borsa dovute a imprevedibili fattori extra-economici (vedi Sexigate [ossia la vicenda del tentato impeachment di Clinton originata dagli scandali sessuali alla Casa Bianca]); le crisi di sovra-produzione e di recessione; la lotta furiosa tra le multinazionali per la conquista dei mercati e la necessità di creare sempre nuovi bisogni artificiali; il progressivo esaurimento delle fonti di energia non rinnovabile; il ricorso dissennato alla produzione di energia nucleare nelle centrali atomiche; il moltiplicarsi esponenziale dell’industria chimica, con il suo micidiale impatto ecologico; la necessità, per il capitalismo satunitense, di trasformare la N.A.T.O. in una macchina da guerra sempre all’erta, con funzioni di super-polizia mondiale; la spaventosa crisi economica dell’ex blocco sovietico e quella, incipiente, delle cosiddette "tigri" asiatiche (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Indonesia); l’opzione nucleare dell’India e del Pakistan; il montare del fondamentalismo islamico come risposta isterica e fanatica a un sistema occidentale spietato e totalizzante; le poderose ondate migratorie dal Sud della Terra verso il miraggio del nostro benessere.
- [PENSARE IN GRANDE.**
Quasi tutti gli economisti, i politologi, gli intellettuali e i tecnici occidentali si muovono all’interno del "pensiero unico". Non esiste quasi più una sinistra ideologica, esistono varie sfumature di destra. Salvo questioni di dettaglio, tutti sono d’accordo sulla bontà, anzi sull’unicità del modello di sviluppo neo-liberista: un modello che sta fallendo, che è già fallito, che divora posti di lavoro, distrugge l’ambiente, aumenta in misura esponenziale il dislivello esistente già ora fra Nord e Sud del mondo.
Una cosa è certa: se esiste una via d’uscita dalla presente crisi, non saranno loro a vederla, non saranno loro a traghettarci oltre. Occorrono idee nuove, uomini nuovi; occorre ripensare l’economia, la politica, le forme sociali, a cominciare dallo Stato. Occorre saper pensare in grande.
PROSPETTIVE PER IL DUEMILA:
PER USCIRE DALLA CRISI
(Seconda parte)
- [PRENDERE COSCIENZA DELLA CRISI.**
Sembrerà ovvio, e forse non lo è: condizione ineludubile per tentare di uscire dal vicolo cieco in cui il modello di sviluppo capitalistico ci ha condotti è una doverosa, approfondita, se necessario impietosa presa di coscienza delle aberrazioni e della inautenticità del nostro modo di vivere. Non è solo l’economia di mercato, ma è la stessa "forma mentis" borghese che va rimessa in discussione da cima a fondo: le sue ipocrisie, le sue falsità, le sue bassezze, la sua violenza, la sua stupidità e volgarità. Occorre ripensare tutta l’evoluzione storica dell’Occidente; distruggere i miti etnocentrici e tecnologici; demistificare l’uso strumentale dell’etica; prendere atto dell’impossibilità di procedere ulteriormente in questo modello di sviluppo (Pasolini diceva: "sviluppo senza progresso", già negli anni ’60 e nei primi anni ’70).
- [RIFORMARE L’EDUCAZIONE.**
Un cambiamento di rotta rispetto al modello sviluppista presuppone un drastico mutamento di rotta riguardo al modello educativo. Oggi l’azione pedagogica è esercitata: a) da una famiglia mononucleare sempre più chiusa e, al tempo stesso, sempre più latitante; b) da una scuola sempre più burocratizzata e lontana dai bisogni reali dell’individuo; c) da una società sfrenatamente edonistica e consumistica, che tutto appiattisce sul metro delle esigenze del mercato. Che è come dire che, oggi, la società occidentale ha abdicato al suo ruolo educante, ha rinunciato a qualunque strategia pedagogica. Ma è chiaro che fino a quando il bambino non verrà educato a sentire con un cuore di carne (e non col portafogli di mamma e papà); a pensare con la sua testa; e difeso contro lo strapotere dei media asserviti al sistema, non potrà che riprodurre i meccanismi di dominio che, a parole, si vorrebbero correggere e possibilmente disinnescare.
- [RESTAURARE LA TEORIA E LA PRATICA DELLA LIBERTA’.**
L’elemento su cui far leva per scardinare la società borghese e recuperare spazi di creatività e di speranza è quello libertario. "La libertà umana non è soltanto una questione privata – scriveva Marcuse in Eros e civiltà – ma non è nulla se non è anche una questione privata." Duemila anni dopo che Spartaco spezzò le catene della schiavitù, sembra che ci siamo abituati a posporre l’esigenza della libertà a quelle di ordine, efficienza, benessere economico, potenza tecnologica. Contro tutte queste mistificazioni va ribadito che non esiste bene più grande della libertà – che la società economicista in genere, e capitalista in particolare, non potrà mai, per sua natura, rispettare; e che nessuna vera libertà è possibile, se non partendo dalla libertà concreta, qui e ora, del singolo individuo.
- [RIAFFERMARE IL PRIMATO DELL’IDEOLOGIA SULLA POLITICA E SULL’ECONOMIA.**
Oggi si celebra con enfasi, da destra e da sinistra, il cosiddetto "tramonto" delle ideologie, e si mette in pratica l’aforisma di Deng Xiaoping: "Non importa se il gatto è rosso o nero, basta che acchiappi i topi". Ebbene, questa pretesa scomparsa delle ideologie non è altro che un comodo paravento per contrabbandare l’ideologia del capitale come la sola pensabile. Come si può parlare di "tramonto delle ideologie" quando la divisione del lavoro, e quindi l’antagonismo di classe, è (nonostante le apparenze) più forte che mai? Quando il conflitto mondiale tra sfruttatori e sfruttati è più aspro e permanente che mai? La pretesa emancipazione della politca dall’ideologia è, in realtà, la vittoria di una politica, quella neo-conservatrice camuffata da populismo qualunquista; la quale è, a sua volta, un semplice giocattolo nelle mani di un preciso modello economico: quello ultraliberista di matrice thatcheriana e reaganiana. Nessuna differenza sostanziale fra il laburista Tony Blair e la reazionaria signora Thatcher; fra Schroeder e Kohl; fra D’Alema e Berlusconi. Anzi, è un fatto che i governi "progressisti", in Europa e negli Stati Uniti d’America, stanno oggi guidando la più massiccia offensiva conservatrice degli ultimi cinquanta anni.
- [PORRE DEI FINI ALLO SVILUPPO.**
Il modello di sviluppo del capitalismo nella sua fase tecnologica (il filosofo Emanuele Severino direbbe: della tecnologia nella sua fase capitalistica) è basato su un postulato indimostrato e indimostrabile: che produrre di più e consumare di più sia un bene in sé stesso, sia un valore. Su ciò si basano l’inganno e il ricatto consumistico. Ma se appena ci si ferma per riflettere e se appena si hanno occhi per vedere, si potrà facilmente constatare che il risparmio di tempo (relativo), l’accumulo di beni (superflui), il dominio sulla tecnica (apparente) non si traducono affatto in una migliore qualità della vita. Si vive forse di più, ma certo non si vive meglio. Si hanno più cose, ma non si è più felici, anzi, ci si sente sempre più maledettamente infelici. Come spiegare, diversamente, il dilagare di droga e prostituzione? Il senso spaventoso di solitudine e di isolamento? Il revival di numerose sètte a sfondo salvifico o, addirittura, dell’astrologia e della magia da supermercato? Se nella famiglia e nella società borghese si vive così bene, se è un tale Paradiso in terra, perché tanti ne fuggono, distrutti e disperati?
Porre dei fini razionali allo sviluppo è, quindi, la condizione necessaria (ma non certo sufficiente) per ridare spazio ai fini veri della vita, ai bisogni reali – materiali e spirituali – della persona.
- [VALORIZZARE LA CREATIVITA’.**
Se c’è una cosa di cui il sistema tecno-scientifico odierno non sa proprio cosa farsene, e che, anzi, giustamente (dal suo punto di vista) teme e combatte, sono la creatività, la diversità, la spontaneità. Esso ha bisogno di strutture sociali rigide (nonostante le apparenze talvolta demagogiche e ultrapermissive), fortemente gerarchizzate e burocratizzate. Solo così può arrivare a spremere il massimo di efficienza produttiva (e di profitto). E tuttavia, chiediamoci – come faceva Socrate (nel Gorgia, e in polemica coi sofisti): è cosa migliore possedere tante scarpe, o buone scarpe? Tante scuole, o buone scuole? Tante ore libere dopo il lavoro, o buone ore libere? Tanti libri, o buoni libri? Tanti campi di calcio, piscine olimpioniche, biciclette super-tecnologiche, oppure aria pulita, vita sana, ritmi di vita e di lavoro sostenibili? Tanti ospedali, tanti medici e medicine, o un’esistenza più serena, più piacevole, e infine una morte più umana? Tutte cose che si possono perseguire solo ridando impulso al libero, creativo apporto specifico di ciascun individuo: cioè, facendo della società il luogo della valorizzazione di tutto ciò che è personale, unico, irripetibile, e non un meccanismo di repressione sistematica e di alienazione pianificata delle potenzialità di ciascuno.
- [L’OBBEDIENZA NON E’ PIU’ UNA VIRTU’, OVVERO: RIBELLARSI E’ GIUSTO.**
Il sistema tecno-scientifico al servizio del capitale sta giocando con l’individuo una partita truccata. Esige il rispetto formale delle regole democratiche, la critica costruttiva, la contestazione ragionevole e moderata: così ragionevole e così moderata da risultare del tutto innocua, buona per essere riciclata dal meccanimo consumistico (vedi la musica leggera degli anni ’60, che da fenomeno di contestazione e da ricerca di nuove potenzialità creative è divenuta la punta di diamante della restaurazione tecno-consumistica).
Occorre smascherare l’inganno, mostrando come la democrazia borghese sia ben poco democratica e costringendola a mostrare il suo vero volto, oppressivo e violento, sia all’interno che all’esterno: c’è un legame necessario fra la repressione dei minatori inglesi negli anni ’80 e la guerra delle Falkland/Malvinas, come c’è fra la ristrutturazione capitalistica di fine millennio e l’attacco della N.A.T.O. alla Serbia-Iugoslavia. Naturalmente, la nostra critica alla democrazia nasce dall’esigenza di sostituirla con qualcosa di più e di meglio, non certo con qualcosa di meno e di peggio (come le dittature militari).
Ma, per poter fare ciò, occorre che il singolo individiuo esca alla massa e ritrovi dignità, consapevolezza di sé stesso, e un certo grado di fierezza.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash