
La guerra civile fra Vitellio e Vespasiano (69 D.C.)
3 Giugno 2006
Elisa e il poeta
3 Giugno 2006Questo racconto è stato pubblicato sul numero 2 di marzo-aprile 1989 di "Alla Bottega. Rivista bimestrale di cultura ed arte", pp. 22-23, e corredato di fotografie.
Tutte le mattine ti vedo passare, ragazza.
Alle otto e trenta precise: questo è il tuo giro di servizio. Caporale. Con il basco sui capelli neri e folti, e i gradi di caporale cuciti sulla spalla.
Tu certo non mi ha mai notata, non lo avresti potuto. A quell’ora, tutti i giorni esco dalla moschea con le mie amiche, e indossiamo tutte il velo nero musulmano. Io non ho faccia: così vuole la tradizione. Usciamo dalla moschea di Jaipur e ci avviamo al mercarto, camminando rasente il muro del giardino.
Quando il sole è già alto, d’estate, le chiome degli alberi gettano la loro fresca ombra sulla strada, oltre il muro. Così camminiamo lentamente, chiacchierando, infagottate nei nostri neri chador, con le sporte sotto il braccio.
Poco dopo la svolta del giardino io ti vedo arrivare, alta e snella come una cerbiatta – per questo t’hanno arruolato nella Guardia Nazionale, suppongo. Guardi dritto avanti a te. Fai la ronda con una miliziana gigantesca, scura come un’africana (sarà del Mysore o del Kerala, ci scommetto, o di qualche altro Stato dell’India più meridionale). Ha il naso aquilino e due braccia nerborute da scaricatore, che dondola camminando in modo quasi scimmiesco. Inoltre ha un principio di pinguedine, poiché il cinturone ben stretto non basta a contenere il suo stomaco prominente di robusta contadina; e un seno più che florido le trabocca al di sopra e le tende i bottoni della divisa.
Tu, invece!
Porti la sahariana rimboccata sulle maniche, con la grazia inconsapevole di una indossatrice; quando cammini svelta ed eretta, sembri procedere come senza peso. Il tuo seno s’intuisce appena tra le pieghe della giacca, e i pantaloni si muovono ampi sulle tue gambe dritte e snelle. Le braccia poi sono così sottili: all’altezza del gomito quasi come i polsi. Eppure non hai l’aspetto gracile e indifeso; ma bella sì. Una volta sola t’ho vista sorridere, parlavi con la miliziana sempre guardando avanti – t’hanno bene istruita sul decoro militare nella pubblica via; e quel sorriso lo rivedo ancora. I tuoi occhi grandi, dalle ciglia lunghe, che brillano di una luce fresca e viva; i tuoi denti bianchissimi.
All’inizio non ti notavo quasi. Poi un giorno mi sei passata accanto, mi hai sfiorato con il gomito. Mi son detta: – Questo grazioso caporale deve avere circa la mia età. Senza velo, lei, può mostrare il suo viso per la via. Ed è rispettata e ammirata e forse invidiata perché porta l’uniforme, con i gradi cuciti sulla manica. E calza buone scarpe, mentre noi ciabattiamo nei nostri sandali sottili, impolverandoci i piedi. E guadagna tante rupie al mese ed è indipendente, può portare i soldi ai suoi vecchi e comperarsi dei vestiti e scegliersi per marito quello che lei vuole. –
Da allora t’ho osservata sempre più attentamente, non ho potuto farne a meno. I nostri orari coincidono e poi tu m’incuriosivi, e un poco alla volta t’ho ammirata e invidiata e poi amata odiata amata.
La mattina t’aspetto con il cuore in tumulto, con la coda dell’occhio guardo qua e là, e se sono in anticipo, rallento il passo o invento una scusa per restare indietro.
Voglio vederti passare.
Tu sei tutto quello che io vorrei essere e non sono. A casa, a mezzogiorno, mi aspettano il padre e i miei fratelli, mi trattano come una serva che deve soltanto tacere e obbedire; perché così era in passato e così dev’essere, sempre. Da noi il tempo si è fermato.
E tu, che forse provieni da una famiglia più povera della mia, ora sei stimata e ben pagata, e forse i tuoi fratelli devono tacere perché sei tu che porti a casa le rupie, e magari li aiuti a proseguire gli studi. Perciò quando ti vedo arrivare con tuo passo cadenzato, e al tempo stesso così femminile, quasi incurante di ciò che ti sta intorno, io mi struggo di desiderio.
Vorrei essere te. Con il tuo viso senza velo la tua pelle chiara quasi da europea la tua uniforme elegante la tua aria sicura la tua bellezza le tue rupie il tuo futuro speranzoso.
E pensare che non so nulla di te, neppure il tuo nome. Non so quanti anni hai né dove vivi. So soltanto che una distanza immensa ci separa, e che tu neppure mi vedi. Non perché mi copre lo chador, anche se non l’avessi tu non mi vedresti. Quello che ci separa è il coraggio. Tu l’hai avuto e io no. Non oso ribellarmi, tentare, rischiare – preferisco restarmene qui ai margini della vita, e vedermela scorrere innanzi.
La sera ti penso a lungo, prima di addormentarmi. Noi donne dell’India abbiamo troppo tempo libero per pensare, e troppo poca libertà per poterlo adoperare attivamente. Così ce ne stiamo a fantasticare delle ore, dopo aver rigovernato la casa. Io fantastico di te.
Cerco d’immaginarmi la tua vita, i tuoi pensieri, i tuoi amori. Perché certo qualcuno devi amare, tu non puoi passare a lungo inosservata. Hai certo qualcuno che ti desidera, e qualcuno che desideri tu. Ma il tuo mondo è così enormemente lontano dal mio, che neanche me lo so immaginare. Figuriamoci, una donna soldato!
La mattina mi sveglio e ti penso, aspetto con impazienza il momento in cui ti vedrò passare. Anche durante la preghiera alla moschea, ci penso. E se esco in ritardo e non ti vedo, provo un senso dfi abbandono e di cocente delusione; come un vuoto nello stomaco, e la bocca arida.
L’altro giorno, di nuovo, mi hai quasi toccata con il gomito mentre mi oltrepassavi col tuo incedere spedito. Guardavi dritto avanti a te, come sempre, ed eri così vicina che per un attimo ho respirato il tuo profumo lieve. È stato un attimo: mi sentivo sconvolta, ho provato addirittura il desiderio pazzo di stringerti. Ho perfino alzato il braccio per toccarti, con il cuore in tumulto.
Ma tu hai tirato dritto, senza accorgerti di nulla, assieme alla tua gigantesca miliziana.
M’è ricaduto il braccio, inutile. E in pochi istanti ti ho perduta di vista.
Il giorno dopo non ti ho vista. E nemmeno il successivo. Non sei più passata per la via.
Ho pensato che avessi cambiato giro, poi che ti avessero mandata in un’altra città. O che avessi terminato il servizio militare, e ti avessero congedata dall’esercito. Privata del suo più segreto punto di riferimento, la mia vita si è come afflosciata, svuotata. Mi è parsa ancor più grigia e squallida di prima.
Identificandomi con te, avevo trovato il modo di evadere, di sfuggire alla mia pusillanimità, alle mie frustrazioni. Era solo un sogno, e il risveglio mi ha restituita a una realtà anche più dura.
Poi è venuta Bhopal. Quella fuga di diossina, tutti quei morti e quei feriti, quegli ustionati. Quei bambini con gli occhi bruciati. La gente faceva la fila sui marciapiedi per leggere i giornali affissi alle vetrine. Così ho saputo che avevano mandato anche l’esercito ad aiutare la popolazione.
Ho subito pensato a te, e naturalmente ho avuto paura. Non potevo immaginarti, tu così bella e fine, in mezzo a quell’inferno, forse addirittura nel pericolo.
Allora ho compreso che anche le tue rupie e la tua elegante uniforme avevano un prezzo, e che per noi poveri non c’ avanzamento possibile senza rischio.
Così ho deciso di rischiare anch’io. Non so dove ho trovato il coraggio, quel coraggio che mi era sempre mancato. Forse è stato pensando a te.
Comunque sia, una settimana prima delle nozze con l’uomo scelto per me dalla mia famiglia – e che avevo visto tre volte in tutto – sono andata alla stazione e ho comprato un biglietto di terza classe per Delhi. Con i soldi racimolati poco a poco, di nascosto: gli spiccioli avanzati dalla spesa.
Ora sono nella capitale e mi arrangio facendo le pulizie nella sede di una ditta americana. Non ho amici, non ho nessuno, ma per la prima volta respiro la vita a pieni polmoni. Ho conquistata un po’ di rispetto per me stessa.
Non so che cosa farò domani. So che voglio istruirmi e sciegliermi il mio futuro sposo, e avere un giorno dei bambini e delle bambine, che non porteranno mai il velo. E so che tutto questo, in qualche modo, lo devo a te, bel caporale della Guardia Nazionale. A te, ragazza dagli occhi luminosi e dalla pelle chiara, che mi hai cambiato la vita senza neanche sapere che io esisto.
È buffo: non ho mai saputo neppure il tuo nome.
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels