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Vescovo chiede scusa ai divorziati risposati: di che?

E così, ci siamo arrivati: anche in Italia, come in altre parti del mondo, il veleno contenuto in Amoris laetitia sta dando i suoi tossici frutti. Due vescovi del Nordest, Marangoni di Belluno-Feltre e Pizziolo di Vittorio Veneto, hanno annunciato pubblicamente di voler aprire le porte della Comunione ai separati e ai divorziati che sono passati a nuove nozze, ovviamente civili, o a nuove unioni. Fin qui, nulla d’inaspettato sotto il sole: era solo questione di tempo; ci sarebbe da stupirsi, semmai, che gli zelanti seguaci del signor Bergoglio abbiano atteso per passare dalle parole ai fatti ben tre anni e mezzo, un tempo considerevole secondo i frenetici standard della rivoluzione neomodernista, poiché l’esortazione apostolica reca la data dell’8 aprile 2016 e da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Probabilmente la spinta decisiva è venuta dalla celebrazione del sinodo amazzonico, grazie al quale i cattolici, basiti, hanno appreso di essere stati felicemente traghettati dai loro pastori dall’eresia all’apostasia, passando per l’idolatria, la blasfemia e il paganesimo di ritorno. Dopo quell’evento, che resterà a perpetua memoria d’infamia negli annali della chiesa, se ancora ci sarà il tempo di compilare degli annali, le forze ancora latenti della dissoluzione hanno preso coraggio, sono uscite dall’ombra e stanno sferrando l’assalto finale alla città di Dio, per opera e per mano di signori, regolarmente stipendiati dai fedeli e che godono del rispetto e della devozione dei fedeli, ma che non agiscono affatto da pastori del gregge di Cristo, avendo gettato infine la maschera e avendo deciso di mostrarsi senza più infingimenti per ciò che in realtà sono: dei lupi travestiti da pastori, ai quali non importa la salvezza delle pecorelle, ma anzi desiderosi di compiacere il disegno massonico, da lungo tempo concepito ed attuato nell’ombra con astuzia e con metodo, per assoggettare e distruggere la chiesa.

Tuttavia, affinché nulla mancasse all’apostasia, non era ancora sufficiente che il sedicente papa promulgasse quel documento eretico, né che ostentatamente si rifiutasse di rispondere ai Dubia di quattro eminenti cardinali e alla Correctio filialis di settanta studiosi cattolici; e neppure che gli zelanti esecutori traducessero in azione pastorale, si fa per dire, la cancellazione per decreto del peccato d’adulterio, vale a dire la pubblica abiura di duemila anni di dottrina cattolica sulla santità e indissolubilità del matrimonio. Un cammino all’incontrario iniziato nel 1974 allorché, in occasione del referendum abrogativo della legge sul divorzio, una quantità di cattolici, compresi importanti membri del clero, votarono per il "no" e difesero apertamente la loro scelta, affermando che pur credendo, da cattolici, nella indissolubilità del matrimonio (bontà loro), non se la sentivano però d’imporre la loro convinzione ai non credenti, in nome della "libertà", per usare le parole di uno dei cattivi maestri catto-progressisti, il rettore della Cattolica di Milano, Giuseppe Lazzati (ora in odore di santità: nessuna meraviglia, coi tempi che corrono e coi papi che imperversano). No, tutto questo non era ancora sufficiente; ci voleva dell’altro, ci voleva di più, qualcosa di più eclatante e di più spettacolare, qualcosa che arrivasse al cuore della gene per far capire da che parte soffia il vento che viene dalla chiesa odierna: e al "di più" ha magnificamente provveduto il vescovi di Belluno-Feltre, monsignor Renato Marangoni, il quale ha spinto la sua bergogliosa misericordia fino a indirizzare ai divorziati risposati una lettera aperta, ampiamente divulgata dalla stampa non solo cattolica, ma anche e soprattutto laica, nella quale porge loro le pubbliche scuse a nome della chiesa tutta per l’ingiusto e discriminatorio trattamento che essa ha riservato ad essi così a lungo, evidentemente comportandosi da madre matrigna, chiusa nei suoi sorpassati pregiudizi moralistici e insensibile al richiamo della vera carità cristiana. Come dire che per duemila anni la chiesa cattolica ha sbagliato e che duecentosessantacinque romani pontefici non hanno capito nulla di ciò che Gesù pensava e diceva a proposito del matrimonio: probabilmente perché, come ha osservato con finissima acribia filologica il generale della setta gesuita, Sosa Abascal, duemila anni fa in Palestina non si vendevano ancora, purtroppo, i registratori.

È doveroso, a questi punto, riportare la lettera che il 22 novembre 2019 il vescovo Marangoni ha indirizzato ai separati e ai divorziati della sua diocesi, firmandosi Renato, vescovo; un vescovo, vale la pena di ricordarlo, nella cui diocesi non è più attivo nemmeno un seminario (mentre un tempo ce n’erano due), perché i seminaristi sono così pochi che vengono dirottati ad altra diocesi: e questo è il biglietto da visita di un episcopato che forse dovrebbe riflettere su un tale crollo delle vocazioni.

Mi rivolgo a voi con un saluto che intende aprire un rapporto di conoscenza, di stima e di dialogo. Non solo, desidera anche farvi conoscere il desiderio di potervi incontrare. Vi parlo a nome della diocesi di Belluno Feltre, di cui sono vescovo.

C’è una parola iniziale da confidarvi: SCUSATE! C’è in questa parola la nostra consapevolezza di avervi spesso ignorato nelle nostre comunità parrocchiali. Forse avete anche sofferto per atteggiamenti tra noi di giudizio e di critica nei vostri confronti. Abbiamo anche per un lungo tempo dichiarato che non potevate essere pienamente ammessi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, mentre in molti di voi c’era il desiderio di essere sostenuti dal dono dei sacramenti e dall’affetto di una comunità.

In questo ci siamo irrigiditi su una visione molto formale delle situazioni familiari a cui eravate pervenuti. Abbiamo sbagliato a non considerare altrettanto la situazione personale, i sogni che avevate alimentato, la vostra vocazione alla vita coniugale con i progetti di vita che comportava, seppure incorsi in vicende familiari travagliate, dove tanti fattori possono essere stati decisivi ad ostacolare tutto questo. È proprio in queste situazioni complesse che la responsabilità personale ha bisogno di essere sostenuta e aiutata proprio nelle sue fragilità.

A chi tra voi si è scoraggiato e ha lasciato le nostre comunità parrocchiali, siamo qui per confidarvi che ci mancate e che sentiamo di aver bisogno di voi e della vostra testimonianza di vita. Siamo consapevoli che le vicende travagliate, che avete attraversato e che hanno disturbato e ferito i vostri affetti familiari, possono aiutarci tutti a considerare la vita come un dono mai scontato, come una responsabilità mai conclusa, come un poter ricominciare il percorso dell’esistenza per la promessa che esso rappresenta.

Ci risuona una parola di Gesù: «Coraggio, alzati, ti chiama!». Parola che egli pronuncia su ogni vita, anche quando essa sembra compromessa nelle sue radici.

È per questa sua parola che vorremmo incontrarci tra persone che sentono delle ferite aperte nei loro affetti familiari o che hanno ricominciato una vita insieme e desiderano porla accanto a questa parola di vita di Gesù.

Ecco l’invito che ti/vi facciamo: nel pomeriggio di domenica 1° dicembre, alle ore 15.00, presso il Centro Papa Luciani a Col Cumano di Santa Giustina. Ci incontriamo assieme ad altre persone, tra cui alcune coppie di sposi, che all’interno della Diocesi di Belluno Feltre si dedicano alla pastorale della famiglia.

Credici… Credeteci…: sarà un incontro amichevole e familiare, dove anche ascolteremo la Parola di Gesù e riscopriremo anche le parole incoraggianti di Papa Francesco, che ha scritto in una sua esortazione: "Amoris Laetitia".

Vi attendiamo!

In questo tedioso, melenso e lagnoso mea culpa, in questa patetico sforzo di captatio benevolentiae, in questa ammissione di una responsabilità storica e morale c’è la sintesi di tutto lo sbando, la tristezza e la desolazione di un clero che ha tradito la sua missione e che, soprattutto, ha tradito Gesù Cristo. E non ci si lasci impressionare dal tono untuoso e di falsa umiltà che caratterizza questa lettera: al contrario, essa è animata da un orgoglio luciferino, perché pretende di correggere e rivedere da cima a fondo duemila anni di Magistero, di smentire i Padri della chiesa e i più grandi teologi, di sbugiardare decine di papi e centinaia di vescovi, solo per dar ragione all’impostore argentino e per avvalorare le perfide e anticattoliche teorie di pseudo teologi come Rahner, Kasper e Bianchi. È un documento oggettivamente penoso, imbarazzante, oltre che scandaloso ed eretico: non c’è in esso neanche l’ombra di quella forza virile, di quella chiarezza, di quella linearità che si trovano nelle parole di Gesù Cristo, così come i Vangeli le riportano (col permesso di padre Sosa), e neppure delle lettere paoline o degli altri testi del Nuovo Testamento. Al contrario tutto è dolce, falsamente misericordioso, buonista, zuccheroso: sa di melassa. Dunque la chiesa è stata cattiva, è stata cieca e sorda, è stata indifferente o impietosa per secoli e secoli, mentre ora, con Bergoglio, essa ha scoperto, la sua vera vocazione? Dunque, prima di Amoris laetitia, nessun pontefice, nessun vescovo, nessun prete, nessun teologo, nessun cattolico, e, quel che più conta, nemmeno uno dei Santi, avevano capito un bel niente di niente? Padre Pio da Pietrelcina non aveva capito niente; il Curato d’Ars non aveva capito niente; santa Teresina di Lisieux non aveva capito niente: nessuno aveva capito niente, prima di Jorge Mario Bergoglio? Che fenomeni, questi vescovi bergogliani con la loro simulazione di umiltà, la loro contraffazione di misericordia, che per rendersi bene accetti al mondo svendono la dottrina, falsificano la morale, offendono e smentiscono i loro predecessori! E per ottenere qual risultato, poi? Le chiese, sempre più vuote; le parrocchie, sempre più deserte; le domeniche in Piazza San Pietro, sempre più spopolate. La verità è che correndo dietro ai gusti e ai peccati del mondo, la chiesa non recupera i peccatori, non li riporta in chiesa per il semplice fatto che non li converte: è lei a convertirsi al mondo e ad accettare il peccato.

È come se il vescovo di Belluno avesse detto ai cattolici che da sempre, sobbarcandosi in silenzio il loro fardello, sopportando i più grandi sacrifici, hanno tenuto in piedi le loro famiglie e sono rimasti fedeli alla promessa matrimoniale fatta davanti al coniuge e davanti a Dio: potevate risparmiarvi la fatica! Bastava che aspettaste ancora un po’, e la chiesa non solo vi avrebbe assolti, ma vi avrebbe dato ragione e si sarebbe scusata con voi, se aveste rotto la promessa e vi foste formati una nuova famiglia, secondo i desideri disordinati del vostro cuore. Qualcosa di simile a quel che dice lo Stato ogni volta che fa un condono fiscale o un indulto giudiziario: cari cittadini che pagate le tasse, che rispettate la legge, potevate risparmiarvi la fatica: potevate fare il vostro comodo e aspettare un poco, ché alla fine vi avremmo abbuonato le tasse e rimesso le pene! E non si venga a tirar fuori il paragone col fratello maggiore della parabola evangelica, quello che s’indigna perché il Padre ha perdonato il figlio prodigo e non vuole entrare in casa perché è geloso della bontà mostrata verso il fratello minore che aveva dilapidato nei vizi la sua parte di eredità. Sappiamo bene, lo sappiamo dalle pessime catechesi di Bergoglio dalla Casa di Santa Marta, che questa è la vostra strategia preferita: far passare i veri cattolici per persone rigide, astiose, maldisposte verso i fratelli e prive di carità evangelica: ma guardate che non attacca. Se vi prendete la briga di rileggere come si deve la parabola del Padre misericordioso, vedrete chiaramente la sostanziale differenza che corre fra l’atteggiamento di Lui, e il vostro. Certo, entrambi, Lui e voi, avete tirato un colpo di spugna sul passato, ma partendo da presupposti antitetici: perché nella parabola, il figlio prodigo si è profondamente pentito e ravveduto e ha deciso di cambiar vita, riconoscendo le sue colpe e accettando qualsiasi eventuale castigo: Padre, dice, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non son più degno di essere tuo figlio, ma trattami come uno dei tuoi servi. Invece i separati e i divorziati che sono passati a una nuova unione, e che, dopo aver dato ai confratelli pubblicamente scandalo, ora pretendono di fare la santa Comunione e di comportarsi in chiesa come se nulla fosse, non sono pentiti per niente, non si sono ravveduti, non hanno dato il benché minimo segno di voler cambiare vita: e voi li state confermando nella loro scelta sbagliata, cioè li state confermando nel peccato. State dicendo loro che vivere nel peccato è cosa lecita e che Dio l’accetta e l’approva. Sì, certo: queste cose sono scritte, nero su bianco, nell’esortazione Amoris laertitia: ma ciò non attenua la gravità della vostra colpa, vi rende solo corresponsabili con Bergoglio della profanazione dei Sacramenti e dell’abisso in cui state gettando le anime. I casi perciò sono due: o non vi rendete conto di quel che fate, oppure state agendo con piena cognizione di causa. Nel primo caso non siete all’altezza di fare i pastori del gregge di Cristo: lasciate le vostre poltrone, le vostre dimore episcopali, i vostri stipendi mal guadagnati: non ne siete degni. Ritiratevi in silenzio e in solitudine, pregate e chiedete perdono per tutta la confusione che avete seminato nel gregge. Nel secondo caso non sta a noi giudicarvi: ma sappiate che il giudizio di Dio vi sta sospeso sul capo. Ricordate quel che disse Gesù Cristo dei seminatori di scandali: sarebbe meglio se si legasse loro una macina da mulino al collo e li si gettasse in mare. Sono parole tremende, se vi resta un briciolo di timor di Dio.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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