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Possiamo anche non nominarlo, però l’Inferno c’è

Come osserva giustamente, in un recente articolo, il professor Stefano Fontana, dal vocabolario che una società o un gruppo adopera si può capire ciò che pensa e quali sono i suoi valori, le cose che considera importanti; lo stesso discorso vale a proposito delle parole che non vengono adoperate. Ci sono delle parole che, a un certo punto, scompaiono dal vocabolario: semplicemente, si decide di non adoperarle più, perché sono considerate inappropriate dal punto di vista ideologico. Non stiamo parlando del naturale logorio del vocabolario, che incessantemente, ma lentamente, e in modo del tutto naturale, lascia cadere parole ed espressioni e le sostituisce con altre, più attuali, secondo l’orientamento generale di quella società o di quel gruppo; stiamo parlando della soppressione volontaria di parole considerate non politicamente corrette, perciò meritevoli di espunzione dal linguaggio. Sono due cose profondamente diverse. Molte parole adoperate da Pirandello, Verga, Manzoni, per non parlare di Goldoni, Bartoli, Ariosto, Poliziano, Petrarca, Dante, sono cadute dal nostro lessico, in maniera assolutamente naturale; ma ci sono parole dal forte contenuto semantico che sono state deliberatamente espunte nel corso degli ultimi anni, e la cosa prosegue, con un ritmo che ha qualcosa di veramente inquietante. Solo nelle peggiori dittature del passato si verificava un fenomeno del genere: è come se tutti, dai giornali alla televisione, dai politici agli insegnanti, avessero ricevuto un ordine silenzioso: quella certa parola non deve essere più adoperata, e vi si fossero prontamente adeguati.

Nel caso della Chiesa cattolica, il fenomeno si può osservare in maniera ancor più evidente, perché la Chiesa, per la sua particolare struttura e per la sua stessa ragion d’essere, si è sempre posta come al di sopra del tempo, in quanto detentrice di una Parola assoluta, definitiva, eterna, e quindi come la prefigurazione del Regno di Dio, che non è di questo modo. La solennità, la bellezza e la suggestione della liturgia — della liturgia preconciliare, naturalmente — avevano questo scopo e nascevano da questa necessità: preservare intatta la Parola di Dio, al di sopra del mutare dei tempi e della società. L’uso del latino, infatti, una lingua "morta", ma universale, solenne, assurta ad altissima dignità grazie all’opera degli scrittori antichi, rispondeva precisamente a questo fine: innalzare la Parola di Dio al di sopra della parola degli uomini, al di sopra della Babele delle lingue.

Ma ora lasciamo stare il latino e lasciamo stare anche il discorso sulla cosiddetta riforma liturgica del 1969, culminata con la sostituzione della Messa tridentina con la nuova Messa di Paolo VI: argomenti dolorosi, e che tuttavia è necessario ponderare a lungo, per comprendere quel che è accaduto e sta accadendo nella Chiesa di Gesù Cristo. Limitiamoci, in questa sede, a un discorso più circoscritto: la scomparsa di alcune parole fondamentali del lessico cattolico dalla liturgia e dalla pastorale degli ultimi pontificati, e specialmente di quello presente. Non si parla più di adulterio, fa notare il professor Fontana; non si parla più di fornicazione omosessuale; si parla, in documenti che dovrebbero essere del Magistero, come Amoris laetitia, di fragilità, di debolezze, o, peggio, di "imperfetta risposta alle richieste del Vangelo"; non si dice che il tradimento del matrimonio è un peccato grave, né si dice che le relazioni omosessuali sono un peccato ancor più grave. Allo stesso modo, la parola peccatore è diventa rarissima, è quasi sparita anch’essa. Si parla ancora, qualche volta (ma sempre di meno) del peccato, ma non del peccatore: strano, vero? È come se il peccato fosse stato trasformato in una realtà astratta, lontana, inafferrabile, e non una realtà concreta e drammaticamente presente nella vita degli uomini. Il tutto, sempre sulla base di una deliberata mistificazione del concetto evangelico di condannare il peccato, ma non il peccatore. Quel precetto non significa che bisogna far finta che i peccatori non esistano più o che sia sconveniente e scorretto chiamarli con il loro nome. Gesù, all’adultera, non dice: Vai in pace, non hai fatto niente di male; ma le dice: Vai in pace, e non peccare più. Dunque, e sia pure con molta delicatezza, senza umiliarla, le ricorda che ha peccato, e che se vuole la pace del Signore, deve astenersi dal ripeterlo. Se la Chiesa smette di chiamare peccatore colui che indugia nel peccato, vuol dire che ha deciso di abdicare al suo ruolo e alla sua funzione fondamentale, che è quella di adoperarsi in ogni modo per la salvezza delle anime. Ma le anime non si salvano edulcorando il vocabolario per non offendere le suscettibilità umane: san Pio da Pietrelcina arrivava perfino a strapazzare fisicamente i penitenti, per far capire loro la necessità di non peccare più. Ed è un fatto che essi, passato lo sbigottimento iniziale, spinti da una forza misteriosa, ritornavano da lui: tornavano pentiti, e il santo li accoglieva a braccia aperte, come il figlio prodigo che ritorna da suo padre dopo aver compreso il suo errore ed essersene profondamente pentito e ravveduto. Loro sì, che rientravano nella grazia di Dio: e questo per merito di un cappuccino burbero e perfino manesco, ma dal cuore traboccante di amore misericordioso: traboccante della vera misericordia, e non della misericordia finta di quei preti impegnati a minimizzare l’idea di peccato e a banalizzare, cioè profanare, il Sacramento della Confessione. Sono davvero tornate in grazia di Dio, le anime di quanti partecipano alle cosiddette confessioni collettive? O le anime di quanti, seguendo le sciagurate indicazioni di Bergoglio, non confessano interamente i loro peccati al sacerdote, perché se ne vergognano: come se il sacerdote, in quel momento, non fosse Gesù Cristo medesimo?

Ora, c’è un’altra parola che si direbbe scomparsa, quasi da un giorno all’altro, dal vocabolario dei sacerdoti e degli stessi teologi: la parola Inferno. Si parla ancora del Paradiso, ma dell’Inferno no, e neppure del Purgatorio (anzi qualche sapientone si spinge ad affermare che il Purgatorio è una pura e semplice invenzione medievale): evidentemente, è stato dato l’ordine di non usarla più. Bergoglio, in un’intervista al suo amico Eugenio Scalfari, ha detto perfino che le anime dei malvagi, dopo la morte, cessano di esistere, si dissolvono: il che è come negare l’esistenza dell’Inferno; affermazione poi goffamente smentita dalla sala stampa vaticana, ma smentita in maniera tale da lasciar sussistere tutti i dubbi, anzi, da suggerire l’esattezza di quanto riportato dai giornali. Del resto, i neopreti e i neoteologi si affannano da un pezzo a liquidare parole come peccato e Inferno: don Paolo Scquizzato, per esempio, si augura che l’Atto di dolore, questa orribile preghiera che genera sensi di colpa, venga soppressa definitivamente, mentre padre Ermes Rocnchi sostiene che è tempo di smetterla con la pedagogia della paura, che deve essere sostituita dalla pedagogia dell’amore e della misericordia. E padre James Martin, da parte sua, deplora il che il Catechismo spinga i giovani omosessuali al suicidio, e quindi ne auspica la radicale revisione, evidentemente non solo a livello lessicale, ma proprio a livello dottrinale: vorrebbe che la pratica omosessuale venisse derubricata dalla lista dei peccati e fosse proclamata una cosa buona e giusta, in quanto perfettamente naturale. E per non restare indietro, preceduto dai suoi colleghi ultraprogressisti, il cardinale Schönborn apre la cattedrale di Santo Stefano, a Vienna, a spettacoli omosessualisti, con "artisti" transgender che si esibiscono in canti e danze orripilanti, davanti all’altare del Santissimo, sullo sfondo di scenografie piuttosto sataniche che cattoliche, per quanto può giudicare una persona qualsiasi, dotata di normale buon senso. Oh, ma tutto questo — ci mancherebbe altro! – avviene sempre in nome della misericordia, dell’inclusione e della gioia dell’amore, ossia della amoris laetitia, si capisce. Sarà. Ma non c’è il rischio, lo chiediamo sommessamente, che a forza di amore e di misericordia, le anime vadano all’Inferno?

Che l’Inferno esista; che sia una terribile realtà destinata ai peccatori impenitenti: queste non sono opinioni, ma sono ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Sempre, partendo da Gesù Cristo e dai suoi apostoli, fino a qualche anno fa. Alcuni santi e alcuni mistici lo hanno visto, e ne hanno riportato un’impressione incancellabile. Una delle descrizioni più famose è quella di suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima.

Riportiamo dal libro di M. E. Schepisi, I tre Pastorelli (Alba, Edizioni Paoline, 1958, pp. 180-182):

"Non ditelo a nessuno" aveva raccomandato la Madonna il 13 luglio [1917]. I bimbi avevano obbedito eroicamente.

Questo secondo segreto, chiamato anche il "grande segreto", non fu rivelato che venticinque anni dopo, nel 1941, da Lucia diventata suor Lucia dell’Addolorata nella Congregazione delle Religiose Dorotee. Ella lo rivelò solo in parte, ma in quei punti che più interessavano i fedeli, cioè la salvezza delle anime e la devozione al Cuore Immacolato di Maria.

Dalle parole stesse della Veggente quindi, sappiamo molto di quanto ella vide e udì durante la terza apparizione e possiamo anche capire la ragione di quel grido di dolore "Ahi!" che le sfuggì mentre gli astanti vedevano i tre bimbi impallidire e tremare.

Nel momento stesso in cui la Madonna terminò la sua raccomandazione di sacrificarsi per i peccatori e di offrire sacrifici per la loro conversione, aprì le mani come nelle due precedenti apparizioni.

Il fascio di luce emanante dalle sue palme radiose sembrò penetrare la terra.

"I pastorelli in quella luce videro come un mare i fuoco ed in esso immersi neri e abbronzati, demoni e anime in forma umana, somiglianti a braci trasparenti, che trascinate in alto alle fiamme, ricadevamo poi giù da ogni parte come le faville nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, fra grida e lamenti di dolore e di disperazione, che facevano inorridire e tramare per lo spavento".

L’orribile vista era durata pochissimo, ma aveva impietrito i pastorelli d aveva strappato a Lucia il grido di angoscia soffocata che aveva impressionato anche gli astanti.

"Questa vista — scrive Lucia — durò un istante; e dobbiamo grazie alla nostra buona Madre del cielo che prima ci aveva prevenuto con la promessa di portarci in Paradiso. Altrimenti, credo saremmo morti di terrore e di spavento".

I tre bimbi avevano alzato gli occhi verso la Signora, quasi a trovarvi rifugio ed ella, amabile e triste, aveva loro detto:

"Avete visto l’inferno, dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori. Per salvarli il Signore vuole stabilire nel mondo la devozione al io Cuore Immacolato. Se si farà quel che vi dirò, molte anime si salveranno e vi sarà la pace. La guerra sta per finire; ma, se non cessano di offendere il Signore, nel regno di Pio XI ne incomincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che quello è il grande segno che vi dà Iddio, che prossima è la purificazione del mondo per i suoi tanti delitti, mediante la guerra, la fame e la persecuzione, contro la Chiesa e contro il Santo Padre.

Per impedire ciò, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati del mese. Se si darà ascolto alle mie domande, la Russia si convertirà e si avrà pace. Altrimenti diffonderà nel mondo i suoi errori, suscitando guerre e persecuzioni alla Chiesa; molti buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire: varie nazioni saranno annientate… Ma finalmente… il mio Cuore Immacolato trionferà!"

Queste ultime parole sono come uno sprazzo di luce su di un orizzonte cupo e minaccioso. Poi l’Apparizione conchiuse:

"Non dire questo a nessuno. A Francesco potete dirlo [Francisco vedeva la Madonna, ma non udiva le sue parole; Jacinta la vedeva e la udiva, ma non le poteva parlare; solo Lucia la vedeva, ne udiva la voce e parlava con lei].

Questa pagina è tratta da un libro su Fatima scritto esplicitamente per un pubblico di ragazzi. La data di pubblicazione è il 1958. Oggi non è facile che vengano stampati libri scritti così, e ancor più difficile è udire i sacerdoti, nelle omelie della santa Messa, esprimersi in questi termini sulla misteriosa e tremenda realtà dell’Inferno. Sono di rigore le buone maniere: non si deve parlar mai di cose sgradevoli, né turbare mai le anime sensibili. Oggi si stampano libri, come quelli del "teologo" Enzo Bianchi, nei quali si dice che Gesù era "un profeta che narrava Dio agli uomini", e ciò ad opera di casa editrici cattoliche, o meglio ex cattoliche: case editrici che hanno dei meriti storici e che hanno svolto egregiamente la loro missione… fino a qualche anno fa. Poi, qualcosa è cambiato. Sono arrivate delle nuove disposizioni, tassative, non troppo misericordiose (per chi avesse voglia d’infrangerle): non si deve parlare più dell’Inferno, e anche la parola peccatori deve sparire dal vocabolario. Così pure la parola adultero e adulterio, e la parola sodomita e sodomia. Questo non è più il tempo della paura, questa non è più la Chiesa della penitenza: no, questi sono i meravigliosi tempi della gioia; questa è la chiesa della letizia. Che bello! E chissà come Satana si frega le mani…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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