
Gesù dialogava e “accompagnava” la gente?
21 Aprile 2019
Il Grande Inganno
22 Aprile 2019Senza dubbio qualcuno ci accuserà di fare del terrorismo psicologico, un’espressione che suona sempre efficace, perché suscita un’istintiva reazione di difesa. Ma avvertire i proprietari di un edificio che è scoppiato un incendio al settino piano, è fare del terrorismo psicologico? O è dare loro una informazione da cui potrà dipendere la loro salvezza, mentre tacere equivarrebbe ad assistere indifferenti alla loro morte tra le fiamme? Pure, vivere al tempo della post-verità, quale è il nostro, comporta appunto questa strana circostanza: che i pompieri vengono accusati di fare del terrorismo psicologico, e tutti li vorrebbero cacciare a sassate. Che brutta cosa, in verità, venire a scompigliare la vita ordinata e tranquilla delle persone; buttar giù dal letto chi dorme il sonno dei giusti, e far venire l’affanno a chi è già tanto stressato per suo conto, da dover prendere, mattina e sera, le pastiglie per tener sotto controllo la pressione sanguigna. E adesso questi vengono a sirene spiegate, con i riflettori che sciabolano il buio, e tutto il frastuono che rompe il silenzio della notte e provoca lo spavento dei vecchi e dei bambini. Che razza di maleducati! Quale imperdonabile mancanza di delicatezza, di savoir-faire! E poi, avete notato che i pompieri, per far più presto, calpestano i fiori delle aiole condominiali? I fiori che l’amministratore dello stabile aveva fatto piantare a suo tempo, e che crescevano così bene, conferendo una nota allegra e gentile in mezzo a tutto quel cemento. Barbari, indubbiamente; barbari senza cuore, senza alcun senso della bellezza, senza alcun gusto per le cose gradevoli e delicate!
Ebbene, tanto peggio: ci prenderemo tutte queste accuse, e anche delle altre, ancor più rabbiose, ancor più cariche di veleno. Ci diranno superbi, perché riteniamo d’aver capito quel che gli altri non vedono, anche se, a nostro dire, dovrebbe esser cosa evidente: eppure, a giudizio della grande maggioranza dei fedeli, nella Chiesa non sta succedendo proprio nulla di strano, se non — casomai — in positivo: finalmente il clero si fa carco delle difficoltà reali della gente, finalmente i vescovi e il papa si accorgono dei problemi di questo mondo, e la smettono di parlare in base a principi astratti, velleitari, poveri di carità, per accogliere, includere, integrare tutti quanti, a partire dai più lontani, dagli emarginati, dai poveri… Finalmente assistiamo alla realizzazione della vera Chiesa di Cristo, che è la Chiesa dei poveri, dei feriti, dei sofferenti… Da secoli i preti lo dicevano, ma non lo facevano; da secoli i papi e il Magistero lo predicavano, ma poi razzolavano male, si perdevano in questioni metafisiche, figuriamoci, come Pio IX con il dogma dell’Immacolata Concezione, o Pio XII con quello dell’Assunzione in Cielo di Maria… Ora, però, finalmente in Vaticano hanno eletto l’uomo giusto, un papa davvero umile e francescano, davvero amante dei poveri e dei bisognosi: infatti non parla d’altro che dei migranti, dice che Gesù e i suoi genitori erano migranti, erano profughi; perfino nella Via Crucis del Venerdì Santo, perfino nella Domenica di Pasqua, non ha parlato che dei poveri migranti, del loro diritto ad emigrare, del nostro dovere di accoglierli. E Bassetti, Paglia, Galantino, tutti dietro al suo nobile esempio. E il cardinale Parolin, l’eminenza grigia, l’uomo nell’ombra? Ma certo, anche lui, lui per primo: che bello sapere che il papa è circondato da uomini così devoti, così fidati, e soprattutto così illuminati dallo Spirito Santo. Tanto illuminati che hanno quasi smesso di parlar di Gesù per sostituirlo con papa Francesco; hanno quasi smesso di parlare di Dio, per inginocchiarsi davanti agli uomini e baciar loro i piedi; quasi smesso di parlare della vita eterna, per sensibilizzarci sui temi dell’ambiente e del clima, con l’ausilio di una geniale quindicenne, quella che marina la scuola tutti i venerdì per piazzarsi col suo cartello di rimprovero davanti al Parlamento del suo Paese, e accusare gli adulti di egoismo, per la loro feroce volontà di rubare il futuro ai quindicenni nobilmente sensibili ai temi del pianeta, come lei. Non è mancato neppure un arcivescovo bergogliano, quello di Berlino, Heiner Koch, che ha paragonato Greta a Gesù Cristo; Bergoglio, da parte sua, l’ha voluta incontrare, complimentare, omaggiare, come già aveva fatto Jean-Claude Juncker…
E allora, visto che siamo dediti al terrorismo psicologico, diciamolo forte e chiaro: la cosiddetta misericordia, tanto sbandierata dal signor Bergoglio (non possiamo e non dobbiamo chiamarlo papa, né considerarlo tale), non è che l’autostrada per l’inferno. Che l’inferno esista, è una verità di fede, e Gesù Cristo ne ha parlato molte volte (faceva del terrorismo psicologico anche lui?), ad esempio allorché diceva (Matteo, 13, 41-42): Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Che all’inferno ci vanno le anime dei peccatori impenitenti, le quali disprezzano l’amore e il perdono di Dio, è pure una verità di fede. La Chiesa l’ha sempre insegnata; checché ne dicano i falsi preti e i falsi teologi bergogliani dell’ultima ora, a sentire i quali tutti gli uomini saranno perdonati, perfino Giuda, anche se non rivolgono a Dio neanche un pensiero di contrizione. Ma perché poi i peccatori dovrebbero mostrare contrizione, visto che teologi come don Paolo Scquizzato affermano che l’Atto di dolore è una preghiera totalmente sbagliata, e che sarebbe ora di scordarsela? E visto che altri sedicenti teologi, come James Martin, non cessano di fare giri di propaganda omosessualista, accusando il Catechismo di discriminare i gay e spingerli al suicidio, mentre si sa che il calendario liturgico è pieno delle ricorrenze di santi che certamente erano gay? E nondimeno, ci rendiamo ben conto di aver fatto un’affermazione particolarmente grave: abbiamo detto che la finta misericordia del signor Bergoglio ha come esito la dannazione delle anime e, quindi — salvo l’imperscrutabile mistero dell’Amore e della Giustizia di Dio – la pena dell’inferno. Vediamo, con un esempio concreto, perché lo abbiamo detto. Prendiamo l’esortazione apostolica Amoris laetitia, un documento che, in teoria, dovrebbe riflettere il Magistero della Chiesa, ma che lo riflette così poco da aver indotto prima quattro eminenti cardinali a esprimere i loro rispettosi dubia al signor Bergoglio chiedendogli un chiarimento, o un qualsiasi cenno di risposta, che tuttavia non è mai arrivato (alla faccia della sua misericordia di marca prettamente francescana), poi una settantina di sacerdoti e teologi a stilare una Correctio filialis, sempre per tentar di porre una pezza sullo squarcio gigantesco che alcune proposizioni di quel documento aprono nel corpo vivo del Magistero stesso.
In questo caso, l’oggetto della falsificazione dottrinaria perpetrata dal signore argentino riguarda ben tre Sacramenti nel medesimo tempo: la Confessione, l’Eucarestia e il Matrimonio. Per la dottrina cattolica, il Matrimonio, non dovrebbe servire ricordarlo, è un Sacramento; e ricevere un Sacramento equivale a ricevere un dono della Grazia di Dio che rimane per tutta la vita; rompere quel Sacramento, equivale a rifiutare la Grazia di Dio e quindi a scegliere deliberatamente la strada del peccato mortale. Ora, per quanto la vita coniugale di alcune persone possa suscitare la nostra compassione, a causa della brutalità o dell’infedeltà sistematica di uno dei due coniugi, nessun cattolico è autorizzato a trarne la conclusione che il Matrimonio è una cosa che si possa rompere mediante il divorzio, per passare eventualmente ad un’altra relazione. Nessuno può rompere un matrimonio, perché è un Sacramento, e dunque è sacro: Dio stesso si è unito ai due sposi, affinché siano una carne sola e uno spirito solo; e Gesù ha solennemente ammonito affinché l’uomo non separi ciò che Dio ha unito. Al massimo, un matrimonio può essere annullato, cioè dichiarato invalido e insussistente, se, a giudizio, della Chiesa, non esistevano le condizioni perché fosse debitamente contratto (e qui stendiamo, per carità di patria, un velo pietoso sugli innumerevoli abusi, per giunta dettati da ragioni venali, cui si abbandonano i sacerdoti della Sacra Rota quando devono giudicare su questa materia). Dunque, un coniuge che rompe il proprio matrimonio separandosi e divorziando, e passando a una nuova unione, matrimoniale o non, compie un grave peccato, che equivale alla rottura di un Sacramento. In condizioni di peccato grave, la dottrina cattolica insegna che non ci si può comunicare e che non basta neppure la confessione, se essa non è accompagnata dal fermo proposito di non peccare più; vale a dire, nel caso specifico, di non persistere nella profanazione del Sacramento matrimoniale. Ma ecco che il signore argentino, sfoderando i suoi vocaboli preferiti, misericordia e discernimento, viene a dirci che non occorre confessarsi, né pentirsi e cambiar vita; che basta il giudizio della propria coscienza, perché anche i divorziati rispostati possano fare la Comunione (§ 303):
A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.
Sì, avete letto bene: c’è scritto proprio così; che un peccatore, il quale ha infranto il Sacramento matrimoniale, può autoassolversi e qualora, dopo essersi fatto l’esame di coscienza, trovasse, con sincerità e onestà, che il suo persistere nel peccato è la risposta generosa che egli può offrire a Dio, allora egli sarebbe a posto. Il peccato, il peccato stabile, abituale, assunto come stile di vita, diventa una offerta generosa che l’anima fa a Dio. Ma si può immaginare una dottrina più anticristiana, più blasfema, più rivoltante di questa? E come se non bastasse, dopo aver affermato (al § 304) che è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano; e che (§ 305) un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni "irregolari", come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone; dopo aver puntato l’indice, cioè, non contro il peccato, ma contro il confessore — il quale, ricordiamolo se per caso qualcuno se ne fosse scordato, è un alter Christus e non già, come dice demagogicamente il signor Bergoglio, un "cuore chiuso" alla misericordia — lo stesso documento rincara la dose (sempre al § 305):
A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato — che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno — si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.
Davvero, si stenta a credere che un (vero) papa abbia potuto scrivere queste righe, e che la grande maggioranza del clero e dei fedeli le abbia prese per buone. A parte la discutibile sviolinata sulle difficoltà oggettive, che sa tanto di Rousseau e assai poco di Gesù Cristo (per cui l’uomo sarebbe fondamentalmente buono, ma è la società che lo corrompe e lo fa diventare vizioso) e che ricorda le arringhe degli avvocati difensori, sempre propensi a scusare e ad attenuare le colpe dei loro assistiti invocando non si sa quali condizionamenti esterni, la proposizione è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato (…) si possa vivere in grazia di Dio è mostruosa, illogica, del tutto fuorviante sul piano teologico e morale. Essere peccatori e, al tempo stesso, essere in grazia di Dio? Ma quale studente al primo anno di teologia, in seminario, avrebbe potuto dire una simile corbelleria, una simile bestemmia, e passarla liscia? A quale studentello sarebbe stata perdonata una enormità di tale portata? Eppure, al signore argentino anche questo viene permesso: e gli viene permesso dal silenzio/assenso della gran massa dei fedeli. Dove sono, a questo punto, i Parolin, i Bassetti, i Paglia, i Galantino? No: ci sono solo i Marx, i Kasper, i Bianchi, gli Spadaro e tutta la schiera dei neomodernisti che esulta per la demolizione sistematica o, peggio ancora – se possibile – per il totale capovolgimento della vera dottrina cristiana. Qualcuno riesce a immaginarsi Gesù Cristo che esprime un concetto simile? No, assolutamente, e per un’ottima ragione: è un linguaggio perfido, untuoso, volutamente fuorviante; pretesco e gesuitico, nel significato peggiore dei termini…
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