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Semplice, stupido: il metodo Kinsey vince sempre

Nel 1948 e nel 1953 vennero pubblicati i due libri del professor Alfred Kinsey che avrebbero contribuito potentemente a cambiar e capovolgere l’immagine e la pratica della sessualità negli Stai Uniti d’America e, di conseguenza, in gran parte del mondo: Sexual Behaviour in the Human Male e Sexual Behaviour in the Human Female, cioè Il comportamento sessuale nell’uomo e Il comportamento sessuale nella donna. Ma la tradizione giusta sarebbe Il comportamento sessuale nel maschio umano e Il comportamento sessuale nella femmina umana, a sottolineare la prospettiva zoologica, più che antropologica, della ricerca: Kinsey, infatti, era un biologo che lavorava presso l’Università dell’Indiana e il suo approccio ai problemi umani era prettamente zoologico, meccanico e descrittivo, senza la benché minima sfumatura spirituale. Il codice morale, in particolare, semplicemente non rientrava nella sua visuale; egli dava per scontato che gli esseri umani sono spinti da istinti ed impulsi e che, appena ne hanno l’occasione, cercando di soddisfarli. Un freudismo senza le remore del tabù; un naturalismo esasperato, in cui la veste scientifica e la finzione dell’oggettività servivano solo per veicolare un’ideologia ben precisa: quella del fa’ ciò che vuoi, del defunto e non compianto Aleister Crowley, mago, occultista e satanista morto nel 1947, idolo occulto della controcultura degli anni ’50, ’60 e ’70 e nume ispiratore, ad esempio, dei Beatles. Attraverso la somministrazione di una serie di questionari e di interviste riservate su un campione di 12.000 soggetti, e la spettacolaristica diffusione dei risultati, egli giocò un ruolo di primissimo piano nel modificare radicalmente l’idea che del sesso, e di se stessi, avevamo i suoi connazionali. Venivano assaliti frontalmente e demoliti tabù come la masturbazione e l’omosessualità; la sua ricerca tendeva a dimostrare che esisteva una enorme distanza fra la morale pubblica e i comportamenti privati. La castità prematrimoniale e la fedeltà coniugale erano dei miti ipocriti, e quanto all’omosessualità, dal Rapporto Kinsey, come da allora venne chiamato, risultava che il 10% della popolazione adulta era gay. Ma il risultato più succoso di tutta l’inchiesta non risiedeva tanto nei dati specifici, quanto nella filosofia che se ne poteva ricavare: e cioè che non esiste un comportamento sessuale chiaramente definito in conformità all’identità di genere, ma che la sessualità degli individui è fluida e mal definita, e che moltissime persone, forse addirittura tutte, messe in circostanze particolari, possono dare sfogo a comportamenti sessuali difformi da quelli previsti dalla morale. Inutile evidenziare quanto quei due libri siano stati fondamentali per la nascita dell’ideologia gender, che oggi sta arrivando al potere in molte nazioni dell’Occidente, e in alcune delle quali ha già vinto la partita: ad esempio in Francia, con l’abolizione, nelle scuole, delle parole padre e madre, coronamento dei matrimoni gay e delle adozioni di bambini da parte delle coppie gay, con tanto di ambasciatori gay spediti in tutto il mondo, a cominciare dal Vaticano, per reclamizzare una tale conquista di civiltà.

Cosa più importante ancora, negli Stati Uniti dapprima, poi nel resto del mondo, il Rapporto Kinsey segnò definitivamente, per quel che riguarda l’ambito sessuale, il primato della prassi sulla teoria, sui valori e sull’etica. Non conta se una cosa è giusta o sbagliata, se è buona o cattiva: conta quel che fa la gente, in effetti, sotto le lenzuola. E se la gente pratica abbondantemente la masturbazione, i rapporti sessuali prematrimoniali, l’adulterio, la bisessualità, l’omosessualità, allora quelle pratiche devono essere guardate con un altro occhio, con un occhio più indulgente: vedete quante persone si comportano così? Forse anche voi; e, se non lo fate, è solo perché non ne avete l’occasione, o perché ve ne manca il coraggio. E qui il Rapporto Kinsey veniva a versare altra benzina sul fuoco di un mito centrale dell’ideologia della contestazione: l’ipocrisia borghese. È tipico della società borghese, della famiglia borghese, della scuola borghese, predicare bene e razzolare male: ma sapete quanti padri di famiglia, quanti professori, quanti preti, predicano bene e poi razzolano male? Ai giovani desiderosi di libertà, o meglio di promiscuità sessuale, veniva indicata la strada per sfondare una porta già mal custodita: denunciare l’ipocrisia dei genitori e rivendicare per se stessi, anzi rivendicare di poter fare alla luce del sole, quel che loro, gli adulti, già facevano ma standosene acquattati nell’ombra. Al fondo, però, oltre alla brama di disordine sessuale, c’era l’odio allo stato puro: l’odio per la famiglia, per i genitori, per gli insegnanti; e, più in generale, l’odio per l’ordine, per la società ordinata, per le regole, per la disciplina, per il principio di responsabilità. E anche per il lavoro, beninteso. Lavorare è da schiavi o da fessi: quelli che lavorano sono gli sfruttati del capitalismo o, d’altra parte, i borghesi sempre a caccia di dividendi. E quale paradiso in terra più allettante di questo, per i minorenni: masturbarsi allegramente, avere rapporti precoci, praticare la sodomia e il lesbismo, il tutto fingendo di studiare e spassandosela coi soldi di papà, quel vecchio rimbambito che parla ancora di Dio, patria e famiglia?

Naturalmente il Rapporto Kinsey andava benissimo per scardinare la morale borghese, si prestava ad essere brandito come una clava; però aveva ancora un piccolo difetto, agli occhi delle signore femministe: era stato concepito e scritto da uomini e si occupava della donna solo in seconda battuta. Ma a questa pecca provvide, una ventina d’anni dopo, il Rapporto Hite, della giornalista Shere Hite (pubblicato n Italia da Bompiani nel 1977, col titolo romantico Le donne e l’amore), poderosa e sofisticata analisi dei comportanti e anche delle fantasie sessuali delle donne che si confessano senza veli né remore di alcun tipo. Il quadro che emerge, più ricco e fantasioso, se si vuole, di quello del Rapporto Kinsey, ci presenta delle donne sessualmente instancabili, addirittura febbrili, dalla prima pubertà fino agli anni della vecchiaia: l’obiettivo è sempre lo stesso, l’orgasmo, da ottenere in qualsiasi modo: con se stesse, con uomini con donne, con uomini e donne allo stesso tempo e, se non basta, con fantasie voluttuose accompagnate dalla masturbazione. Leggendo il libro della Hite, quel che colpisce maggiormente, oltre alla immensa varietà di pratiche sessuali confessate, è il tono candido, sicuro, compiaciuto delle donne che si confidano: una sorta di fierezza, una rivendicazione di assoluta legittimità, che segnano un passo avanti rispetto alle prime timide, incerte confessioni del Rapporto Kinsey. Ora non si tratta più di "confessare", nel senso tradizionale del termine, qualcosa di proibito, ma di raccontare con compiacimento, che simula una sorta d’innocenza all’incontrario, tutte le deviazioni, tutte le dissolutezze e tutte le fantasie morbose, anche sadiche e masochiste, che accompagnano la ricerca del piacere. I collettivi femministi avevano ben preparato il terreno, predicando la bruttezza del maschio, così come, venti anni prima gli agitatori studenteschi avevano predicato la bruttezza del padre. Ne risultava che il lesbismo era una cosa eccellente, perché affrancava la donna dalla necessità del maschio; e che la bisessualità era ancora meglio, perché consentiva di giocare su due tavoli, a piacere; per non parlare delle meraviglie dell’orgasmo solitario. Inutile dire che il limite fra fantasia e realtà tende a rarefarsi, in questo tipo d’impostazione del fatto sessuale; e inutile precisare che, pur non parlandone, pratiche come la pedofilia o il bestialismo vengono automaticamente ad essere sdoganate, sempre all’insegna della liberazione e del perché no? Negli stessi anni venivano pubblicate, sempre in America, e prontamente scaraventate sul mercato editoriale europeo, una serie di memorie di ex suore felicemente approdate al lesbismo e uscite dal convento; mentre si stava facendo strada una nuovissima tendenza, quella delle suore cattoliche le quali, pur proclamando la loro omosessualità, rivendicavano con fierezza il diritto di restare in convento e di vivere apertamente il lesbismo, nella benedizione del Signore.

Vale la pena di rileggersi quel che scriveva, a proposito del Rapporto Kinsey, don Norberto Galli (Marano sul Panaro, 3 luglio 1926-Modena, 16 dicembre 2018) un valente pedagogista italiano recentemente scomparso, ma già pressoché dimenticato, forse perché era un sacerdote cattolico e magari anche perché la sua visione dell’uomo e dell’educazione non è assimilabile alle nuove tendenze della Chiesa post-conciliare e massimamente del clero bergogliano (da: N. Galli, Educazione familiare e società, Brescia, La Scuola Editrice, 1965, pp. 51-52):

Dobbiamo, in ogni caso, ribadire che le teorie a sostegno dl libero amore sono innegabilmente consequenziali allorché giustificano tutte quelle formulazioni teoriche e posizioni pratiche che èermettono il pieno soddisfacimento degli istinti umani.

Caratteristici in siffatta direzione sono i noti "Rapporti KIbnsey" nei quali l’Autore, professore di zoologia all’Università dell’Indiana, fondandosi su oltre dodicimila biografie raccolte secondo una metodologia generale, indubbiamente rigorosa, non si è accontentato di mettere in luce l’estrema variabilità dei comportamenti sessuali maschili e femminili, ma, seguendo indirizzi particolari alquanto discutibili, ha sostenuto la perfetta NATURALITÀ di molte prassi, come la masturbazione, l’omosessualità, l’appagamento sessuale extraconiugale, ecc., sino ad oggi reputate CONTRO NATURA, per il fatto che la maggioranza delle persone non ne sono aliene. Se tali manifestazioni biologiche sono del tutto NATURALI, ne consegue che l’arginarle e il disciplinarle diventa INNATURALE; in altri termini la variabilità comportamentale osservata deve essere anche moralmente permessa. Il BIOLOGICAMENTE NATURALE diventa in tal modo MORALMENTE NATURALE, il CRITERIO STATISTICO si converte automaticamente in CRITERIO NRMNATIVO: il "numero" costituisce la legge e determina il valore. H. Sklesy, commentando la morale dei rapporti Kinsey, non esista ad affermare: "In questo modo, scossi i principi religiosi-metafisici o tradizionali con cui la società misurava il comportamento sessuale, al loro posto subentra ora, nuova norma sociale-morale, il dogmatismo e l’assolutismo del "naturale", nel senso in cui questo termine è inteso dalla biologia. Così, nelle argomentazioni e negli intenti riformatori di Kinsey, biologia e statistica divengono scienze nominative" (Sklesy, "Soziologie der Sexualität, tr. it. "Il sesso e la società", Milano, Garzanti 1960, p. 65, cfr. pp. 6-74).

La morale del libero amore adduce in tal modo alla distruzione completa della famiglia. Questa non conserva più alcun contenuto o significato, assumendo l’istinto sessuale una funzione autonoma e personale al di fuori di una qualsiasi prospettiva sociale e familiare.

Dunque: da un lato si fa perno sulla prassi per rovesciare la norma; dall’altro si rivendica la libertà del singolo per distruggere la società, a cominciare dalla famiglia. Con la prima strategia, si trasforma l’etica in una variante, sempre mutevole, della biologia e della sociologia; con la seconda, si introduce il cavallo di Troia della difesa e della dignità delle minoranze (sessuali e non) per aggredire e far saltare le istituzioni sociali solide e durevoli, fondate su un progetto di lunga durata. La famiglia è fatta per durare, le libere unioni son fatte per dare il piacere e si reggono finché il piacere dura. A una società ordinata si vuol sostituire una società disordinata, schiava della soddisfazione di tutti gli istinti. E come stabilire il punto i cui anche gli istinti si devono fermare, devono essere disciplinati e sottoposti a una norma? Una volta decretati lecito l’aborto, l’omosessualità, i rapporti extraconiugali, come stabilire che la pedofilia, per esempio, non va bene? In nome degli istinti, al contrario, bisognerà sostenerne la piena liceità, beninteso a patto che non ci sia violenza. E che la violenza ci sia, sempre e comunque, trattandosi di un rapporto impari, fra un adulto e un bambino, ciò non suscita alcun problema nella mente degli araldi della liberazione sessuale: non è giusto quel che è giusto, ma è giusto quel che è naturale; e se sia l’adulto che il bambino desiderano consumare un rapporto sessuale, perché no? Vista la strada su cui ci siamo messi, sarà impossibile stabilire un limite, delle frontiere invalicabili. Chi avrebbe immaginato, dieci ani fa, che sarebbero state riconosciute per legge le unioni omosessuali e pratiche come l’utero in affitto, nonché l’adozione di bambini da parte delle coppie omofile? Così, fra dieci anni, molti sorrideranno all’idea che, oggi, la società non avesse ancora compreso la bellezza e la perfetta liceità della pedofilia e della pederastia, e si rattristerà e si commuoverò pesando a quante belle storie d’amore sono state impedite, o rovinate, da una sessuofobia tanto irragionevole, quanto ipocrita. Ci saranno film e romanzi che parleranno di quando gli uomini e i bambini erano inibiti ad amarsi in maniera sessuale e metteranno in caricatura giudici, genitori ed insegnanti che tentavano di opporsi a simili pratiche. Ci saranno gli eroi e le eroine della situazione, uomini adulti e bambini i quali, sfidando i pregiudizi, si amavano lo stesso. Mary Kay Letourneau verrà rivalutata, diverrà un’icona della liberazione sessuale e della lotta contro dell’ultimo tabù (cfr. il nostro articolo: Perché una madre trentaseienne perde la testa per un dodicenne? Il caso di Mary Kay Letoruneau, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 09/09/2008 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 04/01/18). È il trionfo del metodo Kinsey: semplice e stupido, però molto efficace, vince sempre…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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