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I mille volti della gnosi: la religione pagana di Jung

A forza di ripetere che la gnosi (e la Cabala) sono tuttora presenti, in svariate — e dissimulate – forme nel pensiero moderno e nei moderni sistemi di vita, qualcuno potrebbe pensare che siamo paragonabili a un disco rotto e che siamo ossessionati da qualcosa che "vediamo" ovunque, anche dove non c’è. Ebbene, fra i mille esempi che potremmo fare per rispondere a una simile obiezione, c’è la psicanalisi junghiana, che la maggioranza del pubblico crede sia soltanto una teoria e una pratica psichiatrica per curare le nevrosi e raggiungere un equilibrio interiore, fondata sui concetti chiave dell’inconscio collettivo e del principio d’individuazione, mentre si tratta di un vero e proprio sistema di pensiero, gnostico appunto, anzi quasi di una religione, sebbene non sia chiaro se il dio di essa sia il singolo individuo che scopre in sé il sole interiore o sia lo stesso maestro di salvezza, Carl Gustav Jung. Una sub-religione, quindi, o pseudo-religione, fondamentalmente pagana, sorta da un humus culturale apertamente neopagano quanto lo è oggi la cosiddetta New Age, e intenzionalmente anticristiana, poiché vede nel cristianesimo (come lo vedevano sia Nietzsche che l’ideologia nazista) un’espressione della mentalità semita e un’intrusione di essa nella sfera culturale ariana.

Siamo profondamente convinti che il fenomeno della diffusione di filosofie e atteggiamenti religiosi gnostici nella cultura europea, specialmente di quella moderna (più ancora che in quella antica e medievale, anche se si parla soprattutto delle eresie gnostiche medievali, come si fosse trattato solo di un fenomeno interno alla Chiesa) viene largamente sottostimato dalla maggioranza degli studiosi e, di conseguenza, pressoché ignorato dal grande pubblico. È stato lo astudioso argentino Julio Meinvielle (1905-73) a sollevare il coperchio del pentolone e a mostrare, beninteso a chi lo voglia vedere, fino a che punto la cultura moderna è intrisa di gnosticismo e cabalismo: tanto più insidiosi in quanto non vengono riconosciuti come tali, ma ci si limita a parlare, tutt’al più, di curiose coincidenze e di echi suggestivi dell’antico pensiero gnostico i quali paiono riaffiorare, come per caso, nel complesso panorama della modernità. Complessità più apparente che reale, in effetti: perché dietro la folla e la molteplicità di sistemi e d’indirizzi non si stenta a riconoscere due soli grandi filoni: quello cristiano, fondato sulla metafisica dell’essere e sulla Rivelazione, che dà senso e pienezza all’esistere delle creature; e quello gnostico-cabalistico, fondato sulla metafisica del divenire e sull’autoaffermazione dell’uomo che trova in sé le risorse per capire, per evolvere e per redimersi, giungendo alla piena consapevolezza della propria natura divina e operando la trasformazione alchemica o Grande Opera: la magia capace di trasformare il bene in male, il falso in vero, il non-essere in essere.

Si sarà notato che c’è un’affinità con l’idea di Nietzsche della trasvalutazione di tutti i valori, nonché dell’eterno ritorno dell’uguale, che conferisce alla sua visione una connotazione di radicale immanentismo; e infine del Superuomo, risultato finale dell’operazione che l’uomo (attuale) fa in se stesso e su se stesso, facendosi interamente padrone del proprio destino, perché non c’è più alcun Dio al quale rivolgersi per la propria salvezza. E infatti il pensiero di Nietzsche, non nei suoi aspetti e nei suoi spunti più geniali e propositivi, ma quello più torbidamente nichilista e prometeico o, se si preferisce, luciferino, quello cioè della sfida a Dio e della realizzazione di un uomo che pretende di farsi il dio di se stesso, permea moltissime correnti del pensiero contemporaneo e inquina anche gli ambiti apparentemente più lontani, come appunto la psicologia analitica di C. G. Jung, e come, del resto, moltissimi altre correnti gnostiche ed esoteriche del Novecento, comprese quelle che s’intrecciarono con l’esoterismo nazista e contribuirono ad alimentare le sue tendenze "magiche" e, naturalmente, neopagane, come la Thule Gesellschaft, a sua volta vagamente imparentata sia con la teosofia che con la Golden Dawn (e dunque, sempre indirettamente, con la magia nera di Aleister Crowley e certe forme di satanismo).

A questo proposito è opportuno citare alcuni passaggi dello studio di Richard Noll: Jung, profeta ariano (ma il titolo originale è meno impegnativo: The Jung Cult, Princeton University Press, 1994; traduzione di M. Parizzi, Milano, Mondadori, 1999, pp. 128; 224-227):

Il metodo e le teorie psicologiche iniziali di Jung possono forse essere interpretati come niente di più che un ritorno anticristiano alla mitologia solare e al culto del sole basato sulle concezioni romantiche relative alla religione naturale degli antichi popoli ariani. Quello che lo psichiatra offriva intorno al 1916 agli adepti "völkisch" del culto solare era, in definitiva, un metodo pratico, l’immaginazione attiva, per entrare in contatto con gli antenati e, inoltre, fare diretta esperienza di Dio quale stella o sole dentro di sé. La meta di Jung, in una forma o nell’altra, è sempre stata la religione. Nel 1921, dopo aver istituito il suo culto e pubblicato le sue teorie sull’inconscio collettivo e gli archetipi, avrebbe benissimo potuto includere anche se stesso nella tradizione del "genio tedesco" scrivendo: «La soluzione del problema quale si trova nel "Faust", nel "Parsifal" di Wagner, in Schopenhauer e anche nello "Zarathustra" di Nietzsche è una soluzione RELIGIOSA» [Jung, "Tipi psicologici"]. Religiosa era anche la sua soluzione del problema, e quella preferita da tanti altri gruppi neopagani dell’Europa centrale dell’epoca, che non cercavano risposte politiche ai problemi dell’esistenza. Lo psichiatra conosceva i capi di molti dei movimenti neopagani appartenenti all’establishment, come il Movimento della fede germanica di Hauer, insieme al quale Jung diresse dei seminari negli anni Trenta. Era in tali seminari religiosi del mondo "wölkisch" che egli trovava anime gemelle. (…)

Divenuto ormai il profeta di una nuova era, Jung promette un’esperienza diretta di Dio. Già nel 1911, com’è documentato, lo psichiatra credeva, e forse ne aveva già fatto esperienza, in un dio interiore nella forma di un sole o una stella fiammeggiante. Di questa immagine primordiale proveniente dall’inconscio filogenetico si parla a lungo in "Wandlungen und Symbole der Libido".

Era un concetto "völkisch" rappresentante il dio degli antichi ariani e nel 1916 un’idea certamente familiare alla borghesia colta dell’Europa centrale germanica. I culti mistici "völkisch" insegnavano ai loro iniziati a entrare in contatto con questo dio solare interiore. E Jung faceva lo stesso con i suoi discepoli. La prima testimonianza, a tale riguardo, è il disegno a colori di un mandala, firmato e datato, eseguito dallo psichiatra nel 1916. La parola "mandala", che in sanscrito significa "circolo", viene dalle antiche terre degli ariani in India. Nella forma di icone religiose, i mandala vengono usati per una varietà di scopi, ma si ritiene che in origine rappresentassero il sole. Il primo disegnato da Jung è riprodotto a colori in: "C. G: Jung: Word and Image" di Jaffé. All’interno della sua serie di cerchi concentrici sempre più piccoli, il nucleo, come lo descrive lo psichiatra, è «una sfera più grande caratterizzata da linee o raggi a zigzag» e «rappresenta un sole interno». (…) Una seconda convincente testimonianza viene dai "Septem Sermones ad Mortuos", o "Sette sermoni ai morti", scritti dallo psichiatra nello stesso 1916 in pretese circostanze paranormali che coinvolsero la sua famiglia. (…) I "Septem Sermones ad Mortuos" sono un’opera spiritualistica nello stile degli gnostici., in cui Jung, sotto il suo pseudonimo [Basilide di Alessandria], offre ai morti consigli su come giungere a una definitiva redenzione. (…) Jung (per il tramite della sua discepola Jaffé) riconosce in "Ricordi, sogni, riflessioni"di avere scritto quest’opera sotto l’influenza del suo guru spirituale Filemone, che era diventato allora parte integrante della sua vita. In questo senso Filemone era per lui l’equivalente della confraternita degli Armanen di List o dei mahatma e della confraternita spirituale di Blavatskij. In "Sogni, ricordi, riflessioni" lo psichiatra afferma: «Ero come sollecitato dall’intimo a formulare ed esprimere ciò che in certo qual modo avrebbe potuto esser detto da Filemone. Nacquero così i "Septem Sermones ad Mortuos", con il loro peculiare linguaggio».

I "Sette Sermoni" possono esser così riassunti: i morti arrivano a casa di Jung affermando di essere andati a Gerusalemme, «dove non avevano trovato ciò che cercavano». Quella della "Nuova Gerusalemme" è, com’è noto, un’antica metafora cristiana dell’utopica terra promessa e, in quanto tale, ha una lunga storia nella cultura giudaico-cristiana europea. Questi morti sono crociati cristiani che, anche dopo la morte, non hanno trovato la redenzione che in vita s’erano aspettati e il cristianesimo aveva loro promesso. In altre parole, si sono sentiti defraudati dell’immortalità, vittime di un inganno perpetrato dai rappresentanti di Cristo. Dopo aver delineato per i morti cristiani delusi, nei primi sei sermoni, una nuova cosmologia gnostica, e aver parlato anche di Abraxas, nel settimo sermone Jung-Basilide rivela la chiave segreta del mistero della redenzione. Essi non devono cercare la salvezza al di fuori di loro (per esempio, andando a Gerusalemme): il segreto della rinascita va cercato piuttosto «nell’infinità più piccola o più intima». Guardando verso l’interno, è possibile vedere «a incommensurabile distanza» allo zenith di questo mondo interiore, «una singola stella», un platonico sole ipercosmico: «Questa stella è Dio e la meta dell’uomo», «il suo Dio singolo che lo guida», e verso di essa «procede il lungo viaggio dell’anima dopo la morte». Avvicinarsi alla stella, allo zenith del proprio mondo interiore, permette di comprendere che essa è un sole. La stella e Dio, insomma, sono sole, e sono tutt’uno. Ricevuta tale conoscenza della strada pagana alla redenzione, i morti, pieni di gratitudine, si fanno silenziosi e svaniscono nel cielo notturno mettendosi alla ricerca delle proprie stelle interiori.

C’è da restare allibiti, e naturalmente questo è un aspetto del quale al grande pubblico non si parla mai: Jung era convinto di aver fatto l’esperienza di un "contatto" astrale con dei crociati delusi per la mancata promessa del Paradiso cristiano; e, ispirato a sua volta (o posseduto?) da una misteriosa entità, da lui chiamata Filemone, di aver insegnato loro la via per giungere alla vera redenzione, cioè al Dio che brilla entro l’uomo. In altre parole, Jung si sentiva capace di redimere gli uomini, e perfino i defunti, tanto quanto lo può fare Dio.

Un’altra cosa poi bisogna tener presente. Oltre ad aver esercitato un’influenza culturale diretta attraverso la sua scuola psichiatrica e psicologica, Jung ne ha esercitata un’altra, ancora più vasta, ma indiretta: nel senso che una quantità d’indirizzi psichiatrici e psicoanalitici hanno ricevuto da lui importanti stimoli e orientamenti a livello mediato e indiretto, per esempio l’analisi esistenziale e la logoterapia di Viktor Frankl, al cui centro cui è l’idea di condurre il paziente a scoprire in se stesso, e precisamente nel livello inconscio, quello che, in un altro contesto, s. Agostino avrebbe chiamato il maestro interiore ma che qui, sia per il distacco dall’orbita del cristianesimo, sia per la natura stessa dell’inconscio (che questi sedicenti scienziati della psiche pretendono di conoscere quanto basta per farne il perno delle loro teorie), non può che configurarsi come la divinità nell‘inconscio. Da qui al passaggio successivo, quello della concezione di Dio come l’inconscio, la distanza è relativamente breve e viene facilmente percorsa; e la cosa è agevolata dal gran parlare che questi psichiatri fanno della religione come di una "attività" terapeutica; resta solo da vedere che tipo di religione e di religiosità abbiano in mente, sicuramente però qualcosa che non ha niente a che fare con la tradizione cristiana, ma è piuttosto una forma di "religione" personalizzata. Si veda ciò che dice lo stesso Viktor Frankl in Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione (titolo originale: Der Unberwußte Gott. Psychoterapie und Religion, München, 1973; traduzione italiana Morcelliana, 1990, pp. 95-96):

Certo, questo nostro modo di vedere la religione ha ben poco in comune con la piccineria e ristrettezza confessionale, e con la conseguente miopia religiosa che vede in Dio esclusivamente un essere che in fondo tende a un’unica cosa: e cioè che il maggior numero possibile di gente creda in lui, non solo, ma nel modo come viene prescritto da una ben determinata confessione. Mi riesce del tutto impossibile immaginare un Dio che sia così piccino Così come non riesco a vedere come abbia senso la RICHIESTA di una Chiesa perché io creda.

Che dire di fronte alla superficialità e alla pochezza di simili considerazioni, quali si odono con fastidio, se appena si possieda un minimo di profondità intellettuale (non diciamo di fede) anche in un’osteria? E così, poiché loro non riescono ad immaginare un Dio così meschino da pretendere che gli uomini credano in lui, tutti costoro — siano degli Jung o dei Frankl, o naturalmente dei Freud, il quale però, tutto sommato, a ben guardare è il più intellettualmente onesto — invitano i loro pazienti, e gli uomini tutti — poiché essi s’improvvisano anche teologi, filosofi della religione e, a loro modo, sacerdoti – a farsi la propria religione personalizzata e a scoprire il Dio che è racchiuso in ciascuno come l’ostrica nel guscio, cioè a scoprire, senza dover andare a cercare chissà dove, di essere già Dio.

Né bisogna stupirsi troppo se la gnosi, sotto innumerevoli forme, è così presente in ogni aspetto della cultura moderna: dalla psicologia alla psichiatria e dalla letteratura al cinema, oltre che nella filosofia in senso stretto, nonché nella pedagogia (si veda la vocazione educativa dell’antroposofia di Rudolf Steiner: l’ennesima forma di gnosi, neanche tanto camuffata). Sarebbe anzi strano il contrario, cioè che tale presenza fosse assai più modesta e discreta. La cultura moderna è, nella sua essenza, profondamente gnostica: si fonda sull’idea che l’uomo da sé; con le proprie forze, può accedere alla conoscenza suprema, e per mezzo di essa potrà fare a meno di Dio, perché si renderà conto di essere Dio egli stesso…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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