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O si ha la Speranza cristiana, o si è storicisti

La filosofia storicista e, ancor più, la mentalità storicista, è talmente caratteristica del pensiero moderno e della società moderna, ha talmente permeato la visione del mondo e della vita da parte dell’uomo moderno, da esser penetrata, e da molto tempo, fin nel cuore della cultura cattolica e perfino della spiritualità cattolica, o in ciò che di questa ancora sopravvive, modificandone radicalmente i contenuti e stravolgendo il suo originario punto di vista. La verità è che non è possibile essere sia storicisti, sia cristiani; eppure molti cristiani moderni credono ancora di essere cristiani, mentre sono diventati modernisti, perché hanno introiettato in pieno la mentalità modernista, e ormai non riescono più a vedere neppure le questioni di fede così come i cristiani le hanno sempre viste, per quasi duemila anni, ma le vedono attraverso i prismi deformanti della modernità, e, in particolare, attraverso il prisma dello storicismo. La categoria fondamentale mediante la quale il cristiano si pone di fronte al reale è la Speranza; la categoria fondamentale di chi non è cristiano, bensì modernista, è la storia. Con la Speranza cristiana si supera l’angoscia dell’impotenza e si oltrepassa la tentazione dello scoraggiamento; con la lettura storicistica del resale, si finisce per adorare la forza, il presente, e poi, se il presente delude e le attese non si realizzano, si cade nella disperazione.

L’uomo moderno è disperato perché confida nella storia; ma la storia è un prodotto meramente umano: e quando mai ciò che imprigiona è anche via di liberazione? L’uomo moderno è prigioniero della storia, perché confida solamente in essa; salvo, poi, andare a sbattere contro il limite che è connaturato alla storia umana: non conduce al superamento del male e del dolore, non offre alcuna speranza nei confronti del nulla e della morte, non apre alcuna porta, ma conferma la condizione di prigioniero, di ostaggio, e rinserra i catenacci che sbarrano la soglia per uscire. Il cristiano non ha alcun complesso verso la storia: non l’adora, non la sopravvaluta, non s’inginocchia di fronte ad essa; e, per la stessa ragione, non si rattrista oltre misura, non si dispera, non desidera annullarsi quando vede che essa va in una direzione contraria ai suoi bisogni più profondi, in una direzione contraria al vero, al bene, al giusto. Nella storia, presto o tardi, è il male che trionfa; logico: la storia è il frutto dell’azione umana; e l’azione umana, se non è sorretta dalla grazia, non fa che aggiungere sempre nuovi tormenti alla condizione dell’uomo. La storia chiusa in se stessa è l’inferno: un inferno dal quale non c’è redenzione. La sola redenzione possibile è nel superamento della storia. Ma la storia non può superarsi da se stessa, così come l’uomo non può oltrepassare se stesso, con le sue sole forze. Se lo potesse, sarebbe anche possibile al Barone di Münchhausen tirarsi su dalla palude afferrandosi per i capelli. Per tirarsi fuori dalla palude della storia, l’uomo ha bisogno di una leva che si trovi al di fuori della palude: non può averla in se stesso, perché, se l’avesse in se stesso, essa non gli servirebbe a nulla. Da ciò si vede la differenza fra la visione del reale cristiana e quella storicista: solo nella visione cristiana c’è la possibilità del superamento, perché la Speranza cristiana poggia sulla roccia dell’Assoluto e confida unicamente in Dio. Dio sì, che si trova al disopra della palude; Lui sì, che può aiutare gli uomini a uscire dal fango e rimettere il piede sul terreno solido. Ma per far questo ci vuole molta, molta umiltà: bisogna riconoscersi creature; bisogna confessare di essere incapaci di redimersi da se stessi. L’uomo moderno non ha una simile umiltà, anzi, la civiltà moderna nasce proprio dal disconoscimento di questa pur evidente verità: e da ciò deriva la pazzia, che è il tratto più caratteristico della condizione antropologica della modernità. Si prendano le filosofie idealiste, nelle quali è il Pensiero che crea l’Essere, e non l’Essere che crea il Pensiero: è il barone di Münchhausen, ancora e sempre, che pretende di afferrarsi per i capelli e tirarsi fuori, al di sopra di se stesso. Oppure si prenda la filosofia di Nietzsche, con l’idea dell’oltrepassamento dell’uomo rispetto a se stesso: l’uomo è sospeso su una fune, deve andare oltre, deve diventare un oltre-uomo; altrimenti cadrà al di qua di se stesso, e sarà meno di una bestia. Benissimo: ma come potrebbe l’uomo oltrepassare se stesso, senza poggiare il piede su qualcosa di diverso da sé? Altrimenti, se poggia il piede su se stesso, l’uomo non solo non riuscirà mai a oltrepassarsi, ma non avrà neppure gli strumenti per capire se si è oltrepassato oppure no. Se l’uomo è totalmente centrato su se stesso, come potrebbe avere dei punti di riferimento per capire dove si trova? Il mondo non sarebbe che una parte del suo io, e tutte le cose non sarebbero che strumenti a sua disposizione; ma, in tal caso, chi potrà dirgli una parola di verità riguardo a se stesso? Se viene a mancare l’alterità; se vengono a mancare i riferimento di ciò che sta al di fuori di lui stesso, come farà a capire dove si trova, come farà a sapere chi è, cosa è diventato? Potrebbe essere un dio o una bestia, ma egli non lo saprà mai. Non troverà uno specchio in grado di dirglielo, perché tutti gli specchi gli rifletteranno sempre e solo l’immagine — deformata — che egli si è costruita di se stesso; mentre per sapere chi si è veramente, bisogna ammettere che esiste qualcosa che non è il proprio io, e che non può essere manipolato a proprio piacere.

All’interno dello storicismo, il concetto-chiave è quello di progresso. Esiste una visione storicista della storia che, se non vuol condurre alla disperazione e al suicidio, deve indicare la via del progresso. Di fatto, lo storicismo è sempre stato un pendolo che si muove fra l’esaltazione e l’euforia del progresso, da una parte, e la disperazione e l’angoscia della morte e del nulla, dall’altra. Nella sua accezione positiva e non nichilista, lo storicismo è la tipica concezione fondata sul progresso, dunque è una concezione tipicamente moderna: perché l’idea di progresso è moderna, almeno come la intendono gli uomini moderni, nella prospettiva non cristiana. Il progresso è quella mitologia, anzi, quella soteriologia, quella sorta di redenzione laica dal male e dalla morte che giustifica, o che cerca di rendere tollerabili, tutte le nefandezze della storia umana. Si dice: sì, la storia ha prodotto e continua a produrre molto male, molta ingiustizia, molti errori; però alla fine c’è il progresso, ed è in tale direzione che l’umanità sta marciando. Perciò, è la logica conclusione, pazienza e ancora pazienza: il paradiso in terra ancora non l’abbiamo visto, e di fatto lo stiamo aspettando da almeno cinque secoli, però non bisogna scoraggiarsi, prima o poi arriverà: tutte le ideologie immanentiste e storiciste ce l’hanno promesso, tutte le filosofie idealiste lo hanno assicurato, addirittura – con Hegel — facendo coincidere la storia con lo Spirito del Mondo, e quest’ultimo con la nozione di assoluto più vicina a quella tradizionale, metafisica, dell’Assoluto in senso teologico. Tanto più che il progresso nel pensiero moderno, il progresso illuminista, è, per definizione, il progresso illimitato; e se è illimitato, vuol dire che non ha mai finito di attuarsi, di svelarsi, di realizzarsi. Dunque, non bisogna essere toppo impazienti o troppo esigenti; se non ha portato la felicità oggi, la porterà domani: anche se domani ci verrà detto: Spiacenti, oggi ancora no, ma riprovate domani. Di fatto, come potrebbe essere illimitato un progresso di natura immanente, fatto esclusivamente dagli uomini? È un ossimoro, una contraddizione in termini. D’altra parte, perché preoccuparsi? L’uomo moderno è capace di mandar giù e digerire assurdità anche più grosse, pur di non dover fare i conti con il proprio limite ontologico, di non riconoscersi creatura: perché è questa la cosa che gli secca più di qualsiasi altra. E, per questo motivo, a un certo perfino la teologia si è messa a ragionare con le categorie dello storicismo: che altro è, infatti, la tanto sbandierata "svolta antropologica" di Karl Rahner, se non l’applicazione dello storicismo alla teologia?

Scriveva il cardinale Giuseppe Siri nel suo libro Getsemani. Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo (Roma, Fraternità della Santissima Vergine Maria, 1980, pp. 205-207):

Per capire la sottile ma profonda differenziazione che subiscono il pensiero e la speranza cristiana, sotto la spinta nascosta o visibile della mentalità storicista, basterebbe notare con quale leggerezza un uomo così laborioso e colto come Chevalier prenda, come punto di appoggio per il suo concetto di progresso, espressioni dalla "Lettera agli Ebrei" a proposito d Gesù Cristo; e dice espressamente ("Histoire de la pensée, tomo III, p. 463):

"La maggioranza dei pensatori cristiani, a partire da Sant’Agostino, l’avevano proclamato con forza, non facendo così che esplicitare il carattere profondo del cristianesimo, CHE NON È UN MITO atemporale sito nel ciclo di un grande anno a ricorsi periodici, ma un evento, un avvenimento e un progresso, "Jesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula" (Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre, Ebrei, XIII, 8)."

Con tristezza si deve ammettere che è inspiegabile come ci si possa servire di un’affermazione sulla perennità e sull’immutabilità di Cristo per illustrare una dottrina del progresso secondo la nozione di Chevalier-Teilhard de Chardin. Come spiegare questo, visto che perfino il contesto di questa affermazione, è un’esortazione rivolta dall’autore sacro ai fedeli affinché siano coraggiosi e fedeli alla dottrina ricevuta dalla parola e dall’esempio di vita dei loro maestri? "Perché — continua il testo sacro — non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura" (Ebrei, XIII, 14).

C’è una concezione realmente cristiana del progresso? Certo ce n’è una. Infatti esiste, per ogni cosa e per ogni termine positivo e negativo, una concezione giusta, precisa e al contempo sfumata, secondo l’azione e il messaggio di Cristo al mondo. Di fronte, però, a tutte queste considerazioni a proposito del Progresso storico, il nostro giovane certo si chiederà: Quale luce da tutto questo?

Dove si situa questa città di Dio? E dove si trova la città nella quale lo Spirito di Dio deve, per necessità storica positiva lasciare il posto allo Spirito della Terra? Quali sono i cittadini di questa Città di Dio? Sono tutti i morti salvati, al di là del corso degli eventi nel tempo, o forse sono tutti gli uomini di un lontano Eldorado, di un "escaton" del movimento storico?

Quale la sorte di tutti gli uomini che sono vissuti, che saranno vissuti e saranno morti fino al tempo dell’Eldorado? Qual è il senso della Resurrezione di Cristo, senza la quale, come dice San Paolo, vana è la nostra fede (1 Cor, 15, 17)? Come armonizzare i tanti numerosi testi della "Città di Dio" di Sant’Agostino, che presentano i cittadini di questa Città come perforando nel loro tempo "il tetto della Storia", con la nozione di una Perfezione che sarà realizzata al termine del movimento storico?

Qual è il senso della salvezza in seno al progresso indefinito? Quando passa l’uomo dalla Storia nel Regno? Dove "l’intera storia" passa dal tempo all’eternità? Dove ha luogo questa differenziazione del cittadino della città terrena, affinché divenga cittadino della Città celeste?

C’è una reale risposta, risposta di luce a tutto questo, a tutte queste domande e ad una moltitudine di altre che il nostro giovane si pone senza dubbio o potrebbe porsi? Sì, ce n’è una. Ma perché si abbia risposta senza ambiguità, e senza grettezza, né aridità, né ardori e freddi infernali ma con freschezza e ardore termini risposta dall’incognito benefico e di santa certezza, risposta veramente teologia di verità e di speranza, occorre capovolgere in se stessi tutta l’eredità storicista.

Ed è proprio così. Lo storicismo è penetrato talmente a fondo nel modo di pensare dell’uomo moderno, che anche i cristiani ne sono stati profondamente segnati; molti di essi non riescono più a pensare da cristiani, ma solo da storicisti. Il Concilio Vaticano II, con l’affermazione del principio della libertà religiosa, ossia dell’indifferentismo religioso; il filo-giudaismo teologico e la richiesta di perdono per le "colpe" della Chiesa; l’accettazione acritica dell’evoluzionismo darwiniano; la resa dei teologi ai filologi, e dei filologi agli storici delle religioni, ossia la storicizzazione delle Scritture e della stessa Rivelazione; la cosiddetta riforma liturgica e la Nuova Messa di Paolo VI, che pone al centro non più Dio e la trascendenza, ma l’uomo e l’immanenza; e ora l’attacco di Bergoglio alla spiritualità e al monachesimo contemplativo: sono tutte cose che vanno in quella direzione e che illustrano tale tendenza. Oggi abbiamo un sedicente papa storicista; dei sedicenti vescovi storicisti; moltissimi preti e religiosi storicisti; i quali tutti, in quanto storicisti, sono anche materialisti, modernisti, relativisti; peraltro, dietro la maschera dello storicismo, ciò che realmente perseguono, o ciò di cui sono gl’inconsapevoli strumenti, è la distruzione del cristianesimo e la radicale falsificazione del Vangelo. E lo stanno già facendo, eccome. Quando si ode il generale dei gesuiti (sempre loro!), Sosa Abascal, negare che Gesù abbia sostenuto che il matrimonio è indissolubile, e osservare che le parole di Gesù devono essere ricondotte ad un contesto preciso, ad un uditorio circoscritto, di che altro si tratta, se non di un attacco al Vangelo, nella sua attualità perenne, servendosi di sofismi da quattro soldi, per assolutizzare la storia e colpire al cuore la fede?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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