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I paladini di Cesare Battisti

Cesare Battisti è tornato in Italia, dopo quarant’anni di latitanza, e il tipo di polemiche che hanno accompagnato l’evento testimonia in maniera eloquente che gli italiani non sanno fare i conti con la loro storia, non sanno guardare obiettivamente il loro passato, non sono capaci né di memoria condivisa, né di valori condivisi (i valori fondamentali, quelli sui quali si regge una società) e quindi sono chiusi nel circuito vizioso di un passato che non passa e di una conflittualità permanente, tanto sterile quanto implacabile. Portiamo ad esempio un vergognoso commento di un servizio del TG 2 delle 20,30 del 14 gennaio (quanti commenti e quanti pochi fatti, nei nostri tiggì e sulla nostra stampa, da sempre!), nel quale si diceva che sì, la cattura del latitante era una buona cosa, ma non era carino esprimere troppa soddisfazione, e fingendo di assumere una salomonica posizione super partes schizzava bel po’ di veleno contro quelli che avevano avuto il cattivo gusto di felicitarsi per l’evento: e cioè il ministro dell’Interno, Salvini, che pur non veniva nominato (perché questi signori sono specializzati nell’arte di tirare il sasso e nasconder la mano). Le ragioni di questo avvitamento permanente del dibattito sulla storia italiana sono molteplici e cercarle richiederebbe un lungo discorso; qui ci limitiamo a indicare una delle maggiori (che è, a sua volta, effetto di una mentalità preesistente): lo strapotere dei partiti. I partiti italiani sono stati da sempre delle fazioni chiuse, intolleranti, fanatiche, totalmente incapaci di dialogare e collaborare, con poche eccezione nella fase della Costituente (ma più per ragioni di Realpolitik che di buona volontà), e lo sono tuttora, più che mai. Lo è, in particolare, l’ultimo dei partiti "storici", il Pd, che oltretutto è intossicato dalla bile per il potere perduto e per la segreta consapevolezza di essersi giocato per sempre ogni credibilità nei confronti di quelle fasce sociali alle quali tradizionalmente si rivolgeva. La faziosità dei partiti e del modo di porsi dei loro militanti tocca vette che in qualsiasi altro Paese d’Europa susciterebbe non solo incredulità, ma anche sdegno. Ogni volta che il governo attuale – formato da due partiti ‘antisistema’ e quindi storicamente e antropologicamente diversi dai "vecchi" partiti – fa qualcosa, anche solo uno starnuto, bisogna assistere alle piazzate penose, grottesche, cariche di fiele del solito Renzi, del solito Martina, del solito Fiano, del solito Delrio, i quali accusano il governo di aver ferito la democrazia, di aver fatto toccare all’Italia il fondo dell’abiezione, di aver provocato danni apocalittici che produrranno conseguenze catastrofiche. Quando il governo presentava la sua legge di bilancio disobbedendo al diktat della Bce, lo accusavano di irresponsabilità e avventurismo, e dicevano ripetevano che aveva ragione l’UE a rimproverarci e trattarci da ragazzacci; quando poi il governo ha acconsentito a rivedere le cifre tenendo conto delle richieste della BCE, il Pd si è affrettato a dire che il governo aveva asservito l’Italia all’UE, che si era fatto dettare la manovra da Juncker: proprio lui, che lo ha sempre fatto, e non per modo di dire, ma alla lettera! Oppure prendiamo un altro esempio: i sindaci "ribelli". Orlando, De Magisteris, e altri come loro si proclamano, di fatto, i reggitori delle repubbliche indipendenti di Palermo, Napoli ecc: Migranti, venite da noi: vi faremo sbarcare, non date retta al ministro del’Interno! Questa cultura politica, tipica della sinistra – perché la sinistra è sempre stata anti-Stato: prima in nome della lotta di classe, ora in nome della UE — all’estero non sarebbe tollerata neppure in un bidello, figuriamoci nel sindaco di una grande città. Ve li immaginate i sindaci di Berna o Losanna che smentiscono il ministro dell’Interno svizzero e dicono ai migranti: Venite da noi, passate da noi, perché vi faremo entrare? La cosa diventa ancor più strabiliante se si pensa a come vive la gente di Napoli e di Palermo: con le montagne di rifiuti per strada, con la mafia e la camorra che dominano ancora certi quartieri, i commercianti che pagano il pizzo e non le tasse, e con le forze dell’ordine che neanche si fanno vedere in certi rioni, altro che presidiare Kabul e le valli dell’Afghanistan, come stiamo facendo da anni, per compiacere i nostri padroni della NATO, beninteso con l’entusiastica approvazione del Pd. Tutto questo è più che fazioso: è surreale.

E a proposito di surrealismo, vale la pena di rinfrescarsi la memoria e vedere come la pensavano, sul caso di Cesare Battisti, i nostri blasonati intellettuali di sinistra. Vi sarebbe molto da dire anche sui governi di centro-sinistra che l’Italia ha avuto in questi quarant’anni di felice latitanza del pluriassassino, che in Francia firmava libri gialli e in Brasile spernacchiava la giustizia italiana; ma limitiamoci, per adesso, a parlare degli intellettuali. È quasi superfluo precisare di sinistra, come abbiamo fatto per scrupolo, perché in Italia l’intellighenzia è TUTTA di sinistra, lo è PER DEFINIZIONE e l’intellettuale o è di sinistra, o non è un vero intellettuale, è solo un cialtroncello, un fascistoide, un botolo ignorante e meritevole d’essere zittito, d’esser gettato nel cestino dei rifiuti della storia. In Italia si fanno ancora programmi televisivi di rievocazione del ’68 e del "glorioso" femminismo di quegli anni, con i soldi degli abbonati televisivi, perché quattro vecchi e vecchie che non hanno capito né imparato niente dalla storia, possano seguitare ad autocelebrarsi e a versare qualche lacrima di nostalgia per la loro meravigliosa giovinezza, spesa con tanta generosità fra una lotta e l’altra: tanto per dire il livello della riflessione e della capacitò di autocritica dei nostri decantati intellettuali (ma decantati da chi, se non da se stessi, visto che in Rai specialmente si sono sempre mossi in regime di monopolio?). Del resto, l’Italia di oggi è il Paese dove la signora Bonino, colei che si vanta di aver praticati diecimila aborti con la pompa della bicicletta, quando l’aborto era ancora un reato, diventa ministro della Repubblica, le offrono una lista già pronta perché possa candidarsi alle elezioni pur non avendo le firme necessarie e dove, ciliegina sulla torta, il papa la tratta con la massima deferenza e i preti la invitano a sermoneggiare dentro le chiese sulle questioni sociali del Paese. In Russia, dove hanno avuto settant’anni di dittatura comunista, e in Germania, dove hanno vissuto il dramma della divisione in due Stati contrapposti, quei popoli hanno saputo trovare il modo di ritrovarsi sulla base di una serie di valori condivisi; in Italia, dove ci sono stati, sì, gli anni di piombo, ma insomma niente di così tragico come in Germania e in Unione Sovietica, non è ancora possibile parlare della storia di quarant’anni fa in maniera equilibrata e obiettiva; come, appunto, a proposito di Cesare Battisti.

Ci piace riportare qualche passaggio dal libro di Massimiliano Griner La zona grigia (Milano, Chiarelettere, 214, pp. 42-47); un libro la cui lettura dovrebbe far riflettere, così come dovrebbe far riflettere il fatto che, se fosse stato scritto, ma ovviamente con un’impostazione ideologica opposta, dal solito intellettuale di sinistra, sarebbe stato in cima alla classifica dei best seller e il suo autore sarebbe stato promosso nell’Olimpo di quelli-che-hanno-capito, e che, come premio della loro scienza, vengono regolarmente invitati nei salotti di Augias, Gruber, Mieli, Fazio & Co, a sputare sentenze su ogni virgola dell’universo mondo; mentre essendo un libro scomodo per la sinistra, e scritto da uno che evidentemente non appartiene alla gloriosa confraternita, è stato fatto passare sotto silenzio, l’arma più efficace da chi detiene il monopolio dell’informazione:

… il retaggio della lotta armata continua a dividere il mondo intellettuale, mettendo in luce alleanze e schieramenti. Ne è un esempio l’appello lanciato nel 2004 dalla rivista online ‘Carmilla’ subito dopo l’arresto di Cesare Battisti, ex malavitoso e militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) con svariati omicidi sulle spalle. (…) Non si sa chi lo abbia materialmente redatto, ma il primo a firmare l’appello fu il noto scrittore Valerio Evangelisti, autore di romanzi di successo come la saga dell’inquisitore Eymerich. Tra i 2200 che lo seguirono c’era anche il poeta Nanni Balestrini, che nel 1971 aveva messo il suo nome sotto l’appello contro Calabresi.(…)

Valerio Evangelisti considera il fuggiasco prima di tutto un collega di belle lettere, condannato non secondo giustizia, ma "dalla nuova sintonia repressiva dei governi italiano e francese, vittima di una sentenza vergognosa" (dettata dall’Italia), che ha calpestato ogni parvenza di dirotto. Così, quando Battisti scappa da una Francia ormai insicura alla volta del più accogliente Brasile, dimostrando che i francesi vogliono soltanto liberarsi di una patata bollente, Evangelisti si dichiara felice che l’amico sia "scivolato via dalle mani dei suoi eterni aguzzini" e si augura di poterlo raggiungere per bere con lui una tequila alla faccia del Sistema. Nel gruppo della rivista che ha lanciato l’appello figura un altro difensore della prima ora, lo scrittore milanese Giuseppe Genna, classe 1969, che già nel 2003 aveva definito Battisti "un adrenalinico zingaro dello spirito e delle geografie". Benché non dimostri una solida conoscenza delle carte processuali, anche Genna sostiene, al pari del suo sodale Evangelisti, che la volontà di arrestare l’ex membro dei Pac è l’ennesimo tentativo di criminalizzare una grande stagione di lotte sociali. (…) Tra i firmatari dell’appello compare anche un giovanissimo Roberto Saviano non ancora baciato dal successo internazionale di ‘Gomorra’. Solo nel 2009, quando la causa di Battisti è ormai in una fase declinante, Saviano chiede di ritirare la sua adesione.(…) Tra i sostenitori di Battisti che non hanno mai cambiato idea c’è il celebre scrittore "noir" Massimo Carlotto, ex militante di Lotta Continua, che per diciassette anni è stato al centro di un caso giudiziario: il brutale omicidio, nel tardo pomeriggio della studentessa ventiquattrenne Margherita Magello. Il corpo della giovane donna, denudato e trafitto da una cinquantina di coltellate, era stato trovato dalla madre in un minuscolo sgabuzzino all’interno della sua villetta di Padova. Un caso che oggi definiremmo di femminicidio. Poco prima della mezzanotte Carlotto, la cui sorella abitava nello stesso stabile della vittima, si era presentato ai carabinieri. Raccontò che mentre passava un strada in bicicletta era stato attirato dalle urla della ragazza. Era entrato nella villetta, aveva trovato la giovane donna agonizzante e ne aveva ascoltato le ultime fievoli parole. Non aveva dato immediatamente l’allarme perché si era spaventato. Nell’arco di poche ore però da tardivo testimone era diventato un imputato. Intanto perché il fidanzato della vittima disse di averlo sorpreso più volte nelle vicinanze della villetta, con aria losca, come se attendesse l’occasione di incontrare Margherita a tu per tu. E poi perché dall’autopsia era emerso che Margherita, trafitta al cuore, era morta immediatamente, senza poter dire alcunché. Cu fu un lunghissimo iter processuale, che terminò con una condanna definitiva a sedici anni per omicidio, seguita, nel 1993, da una salomonica grazia presidenziale. Carlotto nel frattempo aveva vissuto a lungo all’estero, entrando nello stesso club di fuggiaschi internazionali frequentato da Battisti. (…) Nel 2006 Carlotto ha affermato che il processo in cui è stato condannato Battisti "veniva fuori in un’epoca in cui la giustizia si faceva un tanto al chilo", anche se, quantomeno, ha ammesso che la sua generazione appassionata non fu sempre in grado di distinguer ei criminali dai veri ribelli. (…) Il più noto dei difensori di Battisti però lo scrittore napoletano Erri De Luca, amatissimo da Giuseppe Genna. In un appunto redatto pochi giorni dopo il sequestro di Aldo Moro e destinato al comando generale dei carabinieri, De Luca è definito un "acceso sostenitore dell’ala violenta del gruppo. Dopo lo sfaldamento di Lotta continua avrebbe aderito alle Brigate rosse, costituendo una cellula irregolare, cioè un elemento di carattere strategico, inserito in una clandestinità non personale ma organizzata". Il condizionale è d’obbligo, anche perché De Luca ha sempre negato il passaggio alla clandestinità e alla lotta armata. Non però di aver praticato l’illegalità: "Lotta continua era tutta illegale, l’illegalità era la pratica diffusa (…) Proteggere dei latitanti era illegale, scontrarsi con le forze dell’ordine era illegale, fabbricare delle bottiglie incendiarie era illegale" dichiara in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti che gli chiede: "Giravate armati?" "Tutta la nostra attività era una attività armata". "Tipo pistole?" "Noi le avevamo, sì; facevano parte della necessità della presenza in piazza contro i fascisti e nei cortei". Dopo il ’75 è diventata pratica comune". Tutte armi che il movimento si era procurato attraverso furti e rapine. E che, dopo lo scioglimento di Lotta continua, vennero consegnate, per stessa ammissione di De Luca, ai gruppi combattenti.

Questi, dunque, i paladini di Cesare Battisti in Italia; questi i loro trascorsi politici e giudiziari. Resta solo da osservare che per Massimo Carlotto, condannato a sedici anni per l’assassinio di una ragazza – poi graziato dal presidente Scalfaro e infine riabilitato, nel 2004 – si mobilitarono fior di scrittori, a cominciare da Jorge Amado, la cui petizione internazionale raccolse la bellezza di 15.000 firme. Su De Luca, nel 2015, è stato aperto un procedimento per istigazione a delinquere a causa di alcune sue affermazioni circa la TAV: anche qui, pronto appello di personalità del cinema in sua difesa e per la libertà di parola. Encomiabile preoccupazione, questa. Peccato che quei signori se ne ricordino solo quando la presunta minaccia si profila contro di loro. Per intanto, tengono cattedra su tutto, dai migranti all’aborto, alle unioni gay. Meno male che abbiamo questi vigili custodi della libertà, con un passato immacolato e coerente, che li rende quanto mai credibili e degni di fiducia…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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