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Perché Dio si nasconde ai dotti e ai sapienti?

Amare la scienza, cercare il conoscere: cosa c’è di più bello, di più degno, di più nobile nella natura umana? Fatti non foste a viver come bruti, ammonisce Dante, per bocca di Ulisse, i suoi compagni/lettori, ma per seguir virtute e conoscenza. Appunto: virtù e conoscenza. Entrambe, non una soltanto; e la virtù prima ancora della conoscenza. La virtù è la giusta consapevolezza che l’essere umano deve avere di sé: una creatura, e sia pure una creatura posta a mezza strada fra la terra e il cielo; materiale quanto al corpo, spirituale, e perciò immortale, quanto all’anima. La vera scienza, pertanto, non può mai andare disgiunta dalla virtù, dal senso del limite e dal timor di Dio; diversamente, diverrebbe una scienza anti-umana. Il che è precisamente quanto è avvenuto e quanto continua a verificarsi, sotto i nostri occhi. L’annuncio, da parte di un genetista cinese, di aver "creato" in laboratorio due sorelle gemelle con il DNA modificato è il segno di questa aberrazione, di questo allontanamento da  Dio e di questa rivolta contro Dio. Illogica, e quindi stupida, oltre che sommamente arrogante: se Dio è l’alfa e l’omega di ogni cosa, se è il Creatore di tutto ciò che esiste, è anche, per definizione, la fonte del vero, perché è la Verità Lui stesso: e dunque, come è possibile cercare il vero senza Dio e lontano da Dio, perfino contro Dio?

La deviazione ha origini antiche, risale a Guglielmo di Ockham e al XIV secolo; in seguito, non fa che approfondirsi e, per così dire, perfezionarsi. La scienza moderna cerca il sapere non più per amore di Dio, cioè per conoscere Dio (la filosofia e la teologia) e le sue creature (le scienze matematiche e naturali), ma per spingersi sempre oltre, senza una finalità che non sia il dominio sulle cose e la glorificazione di se stesso. Vedete come sono grande?, dice lo scienziato moderno, posso manipolare la materia; posso costruire astronavi che si spingono nelle profondità dello spazio; non c’è nulla che resista alle mie conquiste, alla mia intelligenza. Non tutti gli scienziati moderni ragionano così; solo gli stupidi: cioè la maggioranza. Siamo, purtroppo, nelle mani di un pugno di scienziati stupidi e arroganti, bravi soltanto fare calcoli ed esperimenti, ma totalmente incapaci di riflettere sul significato complessivo di quel che stanno facendo. Vi è sempre stata e vi è tuttora, in piena modernità, una minoranza di scienziati che possiede sia il senso del limite umano, sia il senso del mistero divino. Infatti è solo la vera scienza, cioè il giusto approccio intellettuale e spirituale, che mette lo scienziato di fronte al mistero abissale della piccolezza umana e dell’onnipotenza divina. Non è un caso che un grande scienziato, Blaise Pascal, alle soglie della scienza moderna, abbia ammonito: l’uomo ha bisogno di esercitare l’esprit de géometrie, ma anche l’esprit de finesse, se vuole che la sua sete di conoscere non lo porti fuori strada. E un altro granissimo scienziato, Pavel Florenskij (1882-1937), matematico e fisico di prim’ordine, autore di uno dei più profondi e affascinanti sistemi di teologia: perché egli era anche un sacerdote ortodosso e sempre, in tutta la sua vita di uomo e di scienziato, ebbe presente che a nulla vale una scienza disgiunta dall’amore e dal timor di Dio. Prima di essere messo davanti al plotone d’esecuzione di un carcere sovietico, la spietata dittatura staliniana ne aveva sfruttato sino all’ultimo le doti geniali di scienziato, facendolo lavorare come ingegnere e come ricercatore scientifico; ma Florenskij non aveva mai capitolato e, come pensatore, non si era mai allontanato di un millimetro dalla sua profonda fede cristiana: il vero sapere è in Cristo, viene da Cristo, ritorna a Cristo: tutto il resto è chiacchiera e vanità. E questo era il punto d’arrivo di un grandissimo uomo di scienza, di una delle menti matematiche più acute del XX secolo: altro che lo scientismo a un tanto il chilo di gente come gli esponenti del C.I.C.A.P., Margherita Hack (pace all’anima sua), Piero Angela, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Polidoro, Roberto vacca, Umberto Eco (pace anche a lui). Sono i divulgatori banali di una visione piattamente materialista che screditano la vera scienza agli occhi del pubblico; i veri e grandi scienziati e matematici, come Pascal, come Florenskij, come Fantappié, come Medi, come Zichichi, hanno invece, vivissimo, il senso del limite e il senso del mistero; e ce l’hanno proprio perché sanno cos’è realmente la matematica, cos’è la fisica, cos’è la scienza.

L’uomo moderno, suggestionato dagli scienziati stupidi e dai divulgatori scientifici ancor più stupidi di loro, ha un atteggiamento schizofrenico di fronte alla scienza: da un lato la teme, perché vede, o intuisce, che, a causa di essa, l’umanità è esposta a dei gravissimi pericoli, e finanche alla distruzione totale; dall’altro la venera, come i selvaggi venerano il loro totem, e si inchina davanti agli uomini in camice bianco, come essi si inchinano davanti allo stregone, poiché da essi si aspettano la salvezza, in particolare quando sono colpiti da una malattia. Mal vera scienza non deve essere né temuta, né adorata: essa è solo uno strumento. Nessuno, che sia sano di mente, teme o adora uno strumento in se stesso: lo strumento serve a fare qualcosa, e dunque bisogna rivolgere l’attenzione verso lo scopo cui lo strumento è diretto. La vera scienza porta l’uomo verso la verità, e la Verità ultima è Dio; la falsa scienza lo allontana da Lui e lo fa smarrire nel labirinto delle cose finite, delle cose transitorie, che egli, nella sua ignoranza e nel suo accecamento, scambia per ciò che non sono: i fini ultimi della sua ricerca. Essendo uno strumento, la vera scienza non è, in se stessa, né buona né cattiva: non bisogna tenerla e non bisogna neppure sopravvalutarla. Quella che va temuta è la cattiva scienza, atea e materialista, suscettibile di provocare all’uomo le più grandi sofferenze, e, ultimamente, grazie alla scoperta della possibilità di manipolare il DNA, di arrecargli il supremo oltraggio: giocare con i suoi cromosomi come un bambino capriccioso gioca con i suoi balocchi. Florenskij, che è stato un grandissimo scienziato, sempre teneva a mente che l’oggetto finale di ogni conoscenza è, per definizione, Dio; che Dio si è rivelato agli uomini nella Persona di Gesù Cristo; che noi possiamo conoscere la verità nella misura e nelle modalità che Egli ci consente e non in quelle che stabiliamo noi. 

Florenskij è partito dal testo di Matteo, 11, 27-30:

27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. 28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.

Per sviluppare una riflessione, nella sua opera più importante, La colonna e il fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere (traduzione italiana a cura di Natalino Valentini, Torino, San Paolo, 2010, pp. 20-21):

Presso il corpo incorrotto del beato Sergio, che sempre placa l’anima inquieta, in ogni giorno e in ogni ora sentiamo la preghiera che promette pace anche alla ragione turbata. Tutto il brano evangelico (Mt 11, 27-30) che si legge nell’Ufficio (Moleben’) del santo ha un sogno focato soprattutto conoscitivo, oso dire teoretico-conoscitivo, gnoseologico. Questo significato appare tanto più chiaro se notiamo che l’oggetto di tutto il capitolo 11 del Vangelo di Matteo è il problema della conoscenza, dell’insufficienza di ogni conoscenza razionalistica e della necessità di una conoscenza spirituale. Sì, Dio ha "nascosto" tutto ciò che unicamente si può dire degno di essere conosciuto "ai dotti e ai sapienti" e lo ha rivelato ai piccoli" (Mt 11, 26). Sarebbe violenza ingiustificata alla parola di Dio interpretare "i dotti e i sapienti" come "pseudo dotti" e "pseudo sapienti" ma che poi in realtà tali non sono, come anche ravvisare nei "piccoli" dei sapienti virtuosi. Il Signore senza alcuna ironia ha detto proprio quello che voleva dire: la vera sapienza umana, la vera razionalità umana sono insufficienti proprio in quanto umane. Allo stesso tempo l’"infanzia" mentale, il difetto di quella ricchezza mentale, la quale impedisce di entrare nel Regno dei Cieli, può essere la condizione per acquisire la sapienza spirituale. La pienezza di tutto è in Gesù Cristo e perciò si può ottenere la sapienza solo per Lui e da Lui. Tutti gli sforzi umani tormentosamente compiuti dai poveri sapienti per attingere la conoscenza sono vani. Come goffi cammelli essi sono oberati dalle loro conoscenze, e come acqua salmastra la scienza può soltanto acuire la sete del sapere senza mai dissetare l’intelletto ardente. Invece il "giogo soave" del Signore e il suo "peso leggero" danno all’intelletto ciò che non dà (né può dare) il peso crudele, gravoso e molesto della scienza. Ecco perché presso la tomba che effonde grazia continuano a risuonare, come sorgente perenne di acqua viva, le parole divine: "Tutto è stato dato a me dal Padre mio: e nessuno conosce il Figlio se non il Padre; e nessuno conosce il Padre eccetto il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo. Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre; il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero (Mt 11, 27-30).

Florenskij, dunque, ha le idee estremamente chiare, lui, il grande fisico e matematico, la cui mente scientifica vale almeno venti volte, con rispetto parlando, quella di Hack, Odifreddi, Polidoro, ecc. messi tutti insieme. La vera scienza ha uno scopo preciso: conoscere, amare e servire Dio, autore di tutte le meraviglie dell’universo; e la sua conoscenza ha un effetto benefico, prezioso, insostituibile: la pace dell’anima. La pace di Cristo, non la pace degli uomini; la pace che viene data in premio ai semplici, a quelli che sanno farsi umili davanti a Lui. Chi sei tu, uomo, che vuoi sapere e giudicare come funziona la mente di Dio? E tornano alla mente le folli, sciagurate parole di Galilei, il quale, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, alla fine della Giornata prima, fa asserire tranquillamente a Salviati che l’uomo, riguardo alle verità razionali e specialmente a quelle della matematica, può giungere a una grado di verità e di certezza pari a quello di Dio stesso:

Molto acutamente opponete; e per rispondere all’obiezione, convien ricorrere a una distinzione filosofica, dicendo che l’intendere si può pigliare in due modi, cioè "intensive", o vero extensive: e che extensive, cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, l’intender umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perché mille rispetto all’infinità è come uno zero. Ma pigliando l’intendere intensive, in quanto cotal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, di che l’intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quanto se n’abbia l’istessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica, delle quali l’intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall’intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore.

Da Galilei, cattivo scienziato, che insegue la conoscenza ma senza la virtù, deriva tutta la cosiddetta scienza moderna, che è solo una orribile contraffazione della vera scienza. Gonfio di orgoglio com’era, egli non poteva arrivare a capire che il giogo dell’umiltà è dolce, e il carico della semplicità è leggero, mentre la superbia intellettuale schiaccia gli uomini sotto un peso insopportabile. Non c’è vera grandezza in Galilei, perché non c’è ombra di umiltà: non solo davanti agli uomini (con quanto sarcasmo deride e demolisce i suoi avversari, sul terreno della rozza polemica spacciata per trattatistica scientifica!), ma neppure dinanzi a Dio. E la vera grandezza consiste nel sapersi fare piccoli, almeno di fronte a chi è realmente più grande di noi. Ma questo, in Galilei, è assente: non fa parte della sua natura, né ha una ruolo nella sua impostazione scientifica. Egli non cerca di armonizzare ragione  fede, come san Tommaso d’Aquino, ma pretende di porre la ragione al di sopra della fede: se vi è contrasto fra quel che dice la scienza e quel che dicono le Sacre Scritture, argomenta nella lettera a Benedetto Castelli del 21 dicembre 1613, l’errore si trova certamente nel modo erroneo in cui si leggono le Scritture. Vale a dire: modifichiamo la Parola di Dio, per non dover dare mai torto a quel che gli scienziati hanno affermato come vero. E noi siamo tutti, o quasi tutti, nipotini di Galilei, non di Florenskij: perché abbiamo perduto la capacità di farci piccoli, cioè abbiamo perduto la capacità d’intendere il Vangelo, anche e soprattutto se ci dichiariamo cristiani "moderni". Nel Vangelo, infatti, sta scritto: Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. Eppure è chiaro, no? Ma lo è, appunto, solo alle anime semplici…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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