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Al cuore dell’apostasia c’è l’ottimismo antropologico

Il neoclero e tutta la neochiesa hanno sempre in bocca i poveri, i diritti civili, la giustizia sociale, l’ambiente, il clima, i cosiddetti migranti; al punto che non parlano più, o parlano poco e male, di Dio Creatore e Redentore, del peccato e della grazia, dell’umana fragilità e dell’umana superbia, del giudizio individuale e di quello finale, nonché dell’inferno e del paradiso. Il neoclero e tutta la neochiesa hanno perso di vista la trascendenza di Dio, l’onnipotenza di Dio, la redenzione che viene da Dio e da Dio solo; essi parlano e  agiscono come se l’uomo potesse risolvere da sé i suoi problemi e correggere, in qualche modo, le "imperfezioni" della natura, per non parlare, pi, degli "errori" della storia. Non è un caso che i neoteologi cattolici amino molto il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer e, in genere, tutta la teologia protestante cosiddetta negativa, secondo la quale il fedele deve fare etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse, perché il cristiano "adulto" non ha bisogno di un "Dio tappabuchi".

E invece il problema è proprio qui, in questa mancanza di umiltà, in questa pretesa di far da soli, che sta la radice ultima del problema. Il problema dell’uomo moderno è l’allontanamento da Dio e la sua folle hybris, che lo trascina alla dismisura, all’arroganza, e quindi ad una impostazione di vita inumana, perché non disposta ad accettare il limite ontologico della creatura. Per la vera dottrina cattolica, la natura è stata ferita dal Peccato originale e l’umanità, a causa di esso, ha perso quella pienezza super-naturale che lo rendeva perfetto, beninteso come creatura; e insegna che essa non potrà mai uscire dallo stato di grave imperfezione in cui versa, non potrà mai reintegrarsi pienamente nella sua natura originaria, senza l’aiuto di Dio. Questo dice, questo insegna e ha sempre insegnato, la vera dottrina cattolica; ma quel che dicono, o quel che suggeriscono con perfida astuzia, i neopreti e i neoteologi, è ben diverso: ossia che l’uomo può ricostituire la sua pienezza qui in terra, da solo; che da solo può creare un regno di giustizia e di pace: da solo, o, al massimo, vagamente ispirandosi a quel disse e fece un "profeta", come lo chiama Enzo Bianchi, di nome Gesù. Niente affatto: questa è una menzogna, ed è il travisamento totale, blasfemo, demoniaco, della vera dottrina, cioè un oltraggio alla Rivelazione. È come se, per costoro, Gesù Cristo si fosse incarnato per niente, avesse sofferto per niente, fosse morto per niente e fosse risorto per niente. Che bisogno c’era, visto che gli uomini hanno sufficienti capacità per stabilire la giustizia e la pace sulla terra? Senza contare che, nel caso degli ebrei, la neochiesa afferma chiaro e tondo che non bisogna permettersi di convertirli: lo ha recentemente ribadito anche il papa emerito, Benedetto XVI, precisando, fra lo scandalizzato e l’infastidito, che egli non ha mai inteso dire una cosa simile. Loro, i membri del popolo eletto, sono già salvi, perché hanno tuttora l’Antica Alleanza. E dunque, a che scopo Gesù Cristo è venuto nel mondo? A che scopo la sua Passione? Avrebbe potuto risparmiarsi tutto ciò.

Tali sono le aberranti conseguenza di una teologia, e di una pastorale, che, fin dal Concilio Vaticano II, hanno insinuato questi pensieri, dapprima in forma cauta e quasi dubitativa, comunque senza mai assalire frontalmente la vera dottrina e il magistero dei precedenti pontefici; poi, un poco alla volta, in maniera sempre più esplicita e vistosa, perfino sfacciata, sino a raggiungere l’apice con questo papato scandaloso, con questo signore argentino che non lascia passare ormai un giorno senza fornire ai buoni cattolici un nuovo motivo di tristezza, di confusione, di scandalo, e senza avere incrinato un altro poco la fede di molti che, sotto la raffica delle eresie spacciate per autentica dottrina, comincia a vacillare e, in parecchi casi, cede di schianto. Ma il male è incominciato con la cosiddetta riforma liturgica, condotta sotto la direzione di un arcivescovo massone, Annibale Bugnini: perché la liturgia non è la veste, ma è il cuore della fede; e, una volta incentrata la liturgia sull’uomo anziché su Dio, era inevitabile che si giungesse alla presente deriva. Quale messaggio più chiaro della secolarizzazione, per esempio, che aver "girato" la mensa eucaristia verso i fedeli?

Ci piace riportare una pagina del sacerdote e teologo Peter Lippert, ispirata alla sana e vera dottrina cattolica (da: P. Lippert, Visione cattolica del mondo; titolo originale: Die Weltanschauung des Katholizismus; traduzione dal tedesco di Ernesto Peternolli, Brescia, Morcelliana, 1931, pp. 63-65):

Il peccato originale è un dogma pel cattolico. Cosicché il pessimismo con cui la concezione cattolica del mondo considera l’attuale stato della realtà spirituale e del bene nel mondo, è non solo fondato sull’esperienza, – tutti gli uomini profondi ed esperti nella vita le hanno dato ragione in questo -, ma assurge a principio teologico. Questa condizione è la conseguenza colpevole d’una caduta da un’altezza a cui solo l’immeritata grazia aveva elevato l’uomo, a cui l’uomo non avrebbe potuto drizzare il suo sguardo, nemmeno come essere senza colpa, e che tanto più doveva riuscirgli inaccessibile, ora che era divenuto colpevole. Gli è semplicemente impossibile di riguadagnare con le proprie forze l’altezza a cui è veramente destinato e chiamato. Neppure il più sublime eroismo morale gli può concedere ciò che in sé ed essenzialmente costituisce una grazia immeritata, della quale anzi è addirittura divenuto indegno perla colpa che lo ha macchiato per la sua appartenenza alla stirpe di Sdamo. Perciò anche le sue più splendide azioni morali restano contaminate dalla macchia dell’angelo precipitato nell’inferno. Ma anche queste stesse azioni morali sublimi rimangono in complesso un sogno inadempiuto, perché alla naturale debolezza della sua difesa s’aggiunge la completa assurdità delle sue aspirazioni morali, che, prive del loro originario scopo voluto da Dio, ora si dileguano nel vuoto.

La Chiesa cattolica non crede perciò possibile un’umanità perfetta che per propria forza morale possa essere da noi creata e sviluppata. È piena di diffidenza verso gli ideali di pura umanità, anzi già nei riguardi dello stesso uomo singolo! Compassionevole e mesta essa guarda il bambino appena nato; e nota come un tale bambino entri nell’esistenza già gravato d’una colpa originale e porti così seco tutte le imperfezioni della sua natura e tutta la inanità della sua vita e delle sue aspirazioni terrene. Perciò alla Chiesa sembra una deplorevole utopia il voler confidare nel libero sviluppo di un essere umano e il volerlo trovare sempre buono e pieno di senso.

Però, in mezzo a questa oscurità, rimane una considerazione luminosa:la creazione di Dio peer sé non è distrutta. Certo l’uomo è caduto molto in basso, ma per lo meno non è caduto al di sotto del livello umano. La sua natura genuinamente umana, le meravigliose forze del suo spirito, il conoscere e il volere, si sono conservate nella loro sostanza, anche se sono state private di parecchi sussidi necessari e assoggettate a molteplici ostacoli. L’uomo non è divenuto essenzialmente perverso. Perciò, "non si può dire che tutto quanto fa un miscredente o un peccatore sia a sua volta peccato, che le virtù dei filosofi non siano che vizi, e che la libera volontà, senza l’aiuto della grazia divina sia buona solo a peccare!" (Pio V contro Michele du Bay). La creatura di Dio non è caduta nell’abisso e vi sono ancora possibilità di un rinnovamento, di un completo risanamento. Dovunque la buona volontà elevi al Dio della misericordia il suo grido "de profundis", dalle "profondità" della necessità morale e religiosa, ivi scende la sua grazia, la grazia della "copiosa redenzione" (Salmo 129).

In che cosa sbagliano, dunque, i neopreti e i neoteologi, allorché parlano sempre e solo di cose terrene, sia pure in se stesse lecite, e talvolta (ma non sempre) anche buone? Nel sopravvalutare la capacità umana di fare il bene anche senza l’aiuto della grazia. Una cosa, infatti, è difendere il concetto che non tutto quel che fa l’uomo, senza la grazia, è per se stesso male, come giustamente si preoccupa di precisare Pio V contro il radicale pessimismo di matrice luterana; e un’altra cosa, e ben diversa, è cadere nell’eccesso opposto a quello dei pessimisti, e trasformare il cristianesimo in una filosofia ottimistica basata sulla piena fiducia nelle capacità umane di creare un mondo migliore, cioè, in ultima analisi, di sostituire la propria azione a quella della grazia. La stessa sopravvalutazione dell’azione e il farla passare davanti alla preghiera, alla meditazione, alla spiritualità, è, di per se stessa, una falsificazione della vera dottrina cattolica, la quale ha sempre tenuto fermo sul punto della superiorità morale dell’atteggiamento di Maria rispetto a quello di Marta, in piena fedeltà all’insegnamento del nostro Signore Gesù Cristo.

Il Sacrificio eucaristico orientato verso l’assemblea dei fedeli anziché verso il tabernacolo dell’Altissimo, posto in alto, al di sopra di tutti, è il simbolo, e l’anticipazione, di questa disordinata e laicizzata pastorale del fare, dell’anteporre alla fede le opere, del trasformare le basiliche in refettori, del disprezzare la spiritualità e sminuire la contemplazione, del denigrare il silenzio del chiostro e ridicolizzare la verginità consacrata (perché che altro è affermare, come fa il cardinale Braz de Aviz, che non c’è bisogno d’essere vergini per far parte dell’Ordo Virginum?): è tutto presente, in nuce, nella sciagurata riforma liturgica che Paolo VI ha la tremenda responsabilità storica di avere approvato e promosso. E allora, diciamolo forte e chiaro: al cuore della deriva e dell’apostasia strisciante nella chiesa cattolica, c’è la rivalutazione dell’ottimismo antropologico, cioè dell’antica eresia pelagiana. Pelagio non era convinto che il Peccato originale abbia guastato in profondità la natura umana; era persuaso, ottimisticamente, cioè ereticamente, che gli uomini, con la sola ragione naturale, possono tendere al bene, e anche farlo. Ma se così fosse, ripetiamo la domanda: che cosa è venuto a fare, sulla terra, un certo Gesù Cristo? È venuto a fare il maestro, ad insegnare, a far miracoli? No; Egli è stato anche il Maestro, ha anche insegnato e fatto dei miracoli, ma è venuto essenzialmente come Salvatore e Redentore. È venuto per morire fra noi, come uno di noi, per assumere su di Sé il peso dei nostri peccati, e così riscattarci col suo Sangue, perché, da soli non avremmo mai potuto farlo, né mai lo potremmo in ogni caso. Se lo potessimo, non avremmo bisogno di Lui; ci basterebbe un manuale di catechismo, ci basterebbe la messa luterana, una semplice commemorazione dell’Ultima Cena del Signore. Ma la Messa cattolica, la vera Messa, è molto, ma molto di più: è il continuo rinnovarsi del Sacrificio di Cristo sulla croce. Ora, chi crede a questo è cattolico; chi non ci crede, e parla e agisce come se non ci credesse, non lo è. E quando il signore argentino, prendendosela – poco caritatevolmente — con i suoi critici, li insulta chiamandoli, fra i molti altri epiteti, pelagiani, non sa letteralmente quel che sta dicendo: perché il pelagiano è lui, che antepone il fare all’adorare; che s’inginocchia davanti ai poveri, ma non davanti a Dio; che parla sempre e solo di questioni sociali, ambientali, perfino climatiche, e poco o niente, e inoltre male, delle cose spirituali.

Cosa stiamo dunque affermando: che la visione antropologica del cattolicesimo è sostanzialmente pessimista? Ma certo che sì: e tale è la vera dottrina cattolica, non l’altra, quella dei neoteologi e dei neopreti, intrisa di stolto ottimismo. L’antropologia cattolica è pessimista perché sa che l’uomo, per se stesso, è incapace di fare il bene in maniera costruttiva, continuata ed efficace; riesce a farlo, talvolta, ma non a perseverare in esso, e inoltre quasi sempre per un secondo fine, non per il bene in sé e per sé. Questo pessimismo non è radicale, come quello di Lutero e di Calvino: l’umanità non è una massa dannata, dalla quale Dio, in maniera incomprensibile e, forse, capricciosa, estrae a sorte alcune anime da salvare; però è indubbiamente un pessimismo. E siamo ben certi che non un rigo, non una parola, della pagina sopra riportata di Peter Lippert, sarebbero considerarti tollerabili da parte dei neopreti della neochiesa del signore argentino. Frasi come questa: La Chiesa cattolica è piena di diffidenza verso gli ideali di pura umanità, anzi già nei riguardi dello stesso uomo singolo, manderebbero in furore i Kasper e i Bianchi, i Bergoglio e i Bassetti, i Paglia e i Galantino. Ma come! La Chiesa diffidente verso l’umanismo? Non sia mai! E invece è proprio così: il cattolicesimo non è un umanismo, perché conosce molto bene la fondamentale debolezza della natura umana; un umanismo cristiano è una contraddizione in termini. Costoro hanno voglia di predicare l’umanismo? Benissimo: dovrebbero avere anche l’onestà di uscire dalla Chiesa cattolica e farsi la loro chiesa umanistica. Invece no: la loro perfidia consiste proprio in ciò: vogliono restare nella Chiesa, ma impadronirsene, snaturarla e cacciare fuori tutti quei cattolici che non si rassegnano alla loro apostasia non dichiarata, ma reale.

Scrive Patrick Archbold sul blog cattolico americano Creative Minority Report (traduzione dal sito Opportune Importune di Cesare Baronio):

… coloro che non seguono più gli insegnamenti della Chiesa si sono rifiutati di andarsene. Ora, loro non sono solo all’interno della Chiesa, ma vi ricoprono ruoli importanti. Non vogliono fondare una loro chiesa alternativa né una gerarchia parallela: al contrario, hanno agito sul lungo termine per appropriarsi del nome Cattolico e della sua struttura gerarchica. Non volevano una loro chiesa: volevano la nostra. Adesso hanno il potere e lo usano. Questa è dunque la domanda che si pongono: Come facciamo a sbarazzarci di quei cattolici che stanno combattendo contro il nostro potere? Come liberarsi dei fedeli cattolici che, per definizione, si aggrappano tenacemente all’unica vera Chiesa? Come allontanare i veri cattolici dalla Chiesa? Come trasformare uno scisma de facto in uno scisma reale? Risulta evidente che queste persone hanno uno schema di gioco: sanno cosa ha funzionato in passato e useranno quello schema. E lo stanno già facendo. Pezzo dopo pezzo, hanno messo in atto meccanismi che non lasceranno nessuno spazio ai fedeli cattolici.

Non si sarebbe potuto fotografare meglio il dramma della Chiesa odierna. È in atto uno scisma: e a provocarlo, scientemente, diabolicamente, non sono i veri cattolici, ma quelli falsi, i quali non dichiarano la loro apostasia, ma, impadronendosi del marchio di fabbrica, si accingono a buttar fuori i credenti, in particolare con lo strumento dei sinodi manipolati ad arte per stravolgere la dottrina. In nome del loro ottimismo antropologico, che si chiama umanismo. E poi? E poi, non ci saranno che gelo e tenebre: perché non c’è verità, né salvezza, fuori della Chiesa fondata da Gesù Cristo. Ma quella che stanno creando loro, mutando pezzo a pezzo la vera Chiesa, è tutta un’altra cosa. Noi crediamo sinceramente, e lo diciamo con timore e tremore, senza la benché minima enfasi, anzi, profondamente angosciati, che sia la sinagoga di Satana…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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