
Le tre cose che ci son venute meno
26 Novembre 2018
Disappetenza del mondo, ecco la nuova sindrome
27 Novembre 2018Ormai è storia quotidiana: i cattolici vanno a Messa e ne tornano rattristati, indignati, disgustati, perché il parroco di turno si è permesso di offendere senza ritegno le cose ad essi più sacre, predicando e officiando tutto il sacro rito in una maniera che non ha più nulla di cattolico. E non si tratta solo di omelie discutibili, infarcite di concetti modernisti e perciò eretici, ma anche di gravissimi abusi liturgici, di sostituzioni di parti della Messa con iniziative arbitrarie, con brani e citazioni tratti da autori non cattolici, da "preghiere" che non sono preghiere ma che riflettono un naturalismo pagano, spogliato di qualsiasi connotazione cristiana, e, soprattutto, di qualunque senso della trascendenza. Spesso i fedeli provano a parlarne con l’interessato, al termine della funzione, e il più delle volte si trovano davanti a una persona formalmente educata, almeno all’inizio, ma poi, quando si entra nel vivo del discorso, ed essi cerano di fargli comprendere l’illegittimità di quel che ha detto e fatto, ecco che costui si altera, s’inalbera, tira fuori tutta la sua supponenza e la sua aggressività, dichiara di esser padrone di officiare la Messa come meglio crede e afferma orgogliosamente di essere nel solco del vero Vangelo, sfrondato da aggiunte posteriori e da cattive abitudini contratte nel corso del tempo; inoltre, di non sentirsi affatto vincolato a un mandato, di non dover render conto ad alcuno, neanche ai suoi superiori, del suo modo di agire, e che appunto Gesù Cristo è vento a denunciare l’ipocrisia degli scribi e dei farisei, paragonando a questi ultimi, implicitamente o esplicitamente, quanti si permettono di criticarlo. Inutile dire che, in parecchi casi, codesti neopreti tirano fuori "Francesco", come se fosse loro cugino, per avvalorare e blindare le loro affermazioni e chiudere così la bocca all’interlocutore; ma non di rado dai loro discorsi si evince un senso d’insofferenza per la figura stessa del papa, come se anche il signore argentino di Casa Santa Marta, per loro, fosse un riformatore troppo timido e fossero perciò ben decisi ad andare avanti per la loro strada, con o senza l’autorità della Chiesa, nella precisa volontà di rinnovarla, com’essi dicono, o piuttosto di distruggerla completamente, come appare evidente a chi, trasecolato, ascolta siffatti spropositi e farneticazioni. Ed è logico che sia così: chi semina vento, raccoglie tempesta. Da cinque anni e mezzo il signore argentino non cessa un solo giorno di scandalizzare i fedeli con gesti e affermazioni bislacchi, irrituali, temerari, scandalosi e, in diversi casi, apertamente contrari alla fede cattolica, nonché fortemente lesivi del senso del sacro e del rispetto dovuto a Dio e alla Madonna, come quando dice che Gesù, durante la Passione, è brutto da fare schifo; o quando dice che Gesù, nell’episodio della donna adultera, fa un po’ lo scemo; o quando sostiene che le Persone della Santissima Trinità litigano incessantemente a porte chiuse. Inoltre ha protetto e promosso alcuni cardinali e vescovi, protagonisti di gesti e sparate ancor più sacrileghi, se possibile, dei suoi; e ha taciuto sistematicamente di fronte a chi, come il generale dei gesuiti, Sosa Abascal, dichiara l’inattendibilità dei Vangeli, nega che Gesù abbia sostenuto l’indissolubilità del matrimonio e, per soprammercato, dichiara che il diavolo non esiste; o chi, come il cardinale Braz de Aviz, afferma che lo Spirito Santo è, per i fedeli, un elemento d’instabilità; o chi, come l’arcivescovo Paglia, fa addirittura affrescare una cattedrale con un orrido dipinto inneggiante alla sodomia, che deturpa in maniera oscena anche l’immagine del divino Redentore e, non pago, si fa ritrarre in mezzo alla tuba dei peccatori impenitenti; per non dire dei suoi colpevoli silenzi circa gli abusi sessuali nell’alto clero e le sue manovre per depistare e insabbiare la ricerca della verità e la punizione, o almeno l’allontanamento, dei colpevoli.
Da un lato, quindi, cioè dall’alto, viene l’esempio di un papa che improvvisa continuamente, che parla a braccio, e che mescola gesti e parole cattolici con gesti e con parole che sono lontanissimi, o perfino contrari, al cattolicesimo; che si presenta alla santa Messa impugnando una ferula che imita vagamente, ma oscenamente, un Crocifisso; che non s’inginocchia (se non per la lavanda dei piedi ai poveri), che non benedice e non fa il segno della croce, neanche se richiesto, per non offendere — dice lui – i non cattolici; che fa degli interi viaggi "apostolici" senza neppure nominare Gesù Cristo; che parla senza posa dei migranti e del loro diritto all’accoglienza, nonché dell’ambiente, del cambiamento climatico, dell’ecologia, ma non parla mai del peccato e meno ancora della vita eterna, del giudizio, dell’inferno e del paradiso; che proclama la liceità della Comunione ai divorziati, della Comunione ai protestanti, e si permette di cambiare, motu proprio, sia il catechismo, sia le più antiche preghiere del rito cattolico. Dall’altro lato, ai sacerdoti dei nostri giorni viene lasciata carta bianca su come fare la loro pastorale, anzi, nei seminari vengono indottrinati con corsi di autori non cattolici, viene insegnato loro a deridere la Tradizione, a farsi beffe della messa di Pio V, a ignorare o disprezzare tutto ciò che la Chiesa è stata, per secoli, prima del Concilio Vaticano II, l’unico, secondo quel che viene detto loro, degno di esser tenuto in considerazione, il solo cui fare riferimento, anzi, quello che bisogna ancora "realizzare", perché il suo "spirito" profetico e apostolico non è stato ancor pienamente realizzato, i tradizionalisti vi si sono ferocemente opposti, e insomma c’è ancora molto da fare prima di attuare sino in fondo ciò che era nella mente di Giovanni XXIII e dei padri conciliari nel 1962-65. Abbiano parlato con dei sacerdoti di diversa età, i quali ci hanno raccontato come, nei seminari, si tenessero, fin dagli anni ’70 del secolo scorso, corsi sull’ateismo, ma neanche una lezione sul tomismo; su come venisse insegnato loro che la Chiesa deve andare incontro al mondo, farselo amico, confidare pienamente in esso, nella sua bontà, e abbandonare definitivamente ogni atteggiamento"clericale", vale a dire tutti i suoi presupposti e i suoi principi dottrinali e morali, per superare ogni divisione mediante "l’amore"; e come gli insegnanti dessero, e diano tuttora, il pessimo esempio dello sberleffo e della derisione nei confronti di ciò che la Chiesa è stata nei lunghi secoli della sua storia, quasi che l’epoca anteriore al 1962 sia stata un unico, lungo errore, una fase che è meglio dimenticare, per poter attuare, finalmente, il "vero" Vangelo.
E alle anime belle le quali puntano il dito esclusivamente contro il signore argentino di Casa Santa Marta e contro la Mafia di San Gallo e un circolo di cardinali e vescovi massoni e modernisti, vorremmo ricordare che il tanto rimpianto Benedetto XVI, sia da cardinale, sia da papa, sia da papa emerito, non ha mai cessato di mescolare errori modernisti e autentiche eresie ai veri insegnamenti del Magistero; per esempio, non ha mai smesso di sostenere, e sta seguitando a farlo anche ora (ma, come ex papa, non avrebbe dovuto osservare la regola del silenzio, e smettere di vestirsi da papa, e vivere in assoluto raccoglimento e solitudine?), che non si deve cercar di convertire gli ebrei, perché essi hanno l’Antica Alleanza, la quale è ancora valida: dottrina semplicemente eretica, perché la Nuova Alleanza sostituisce e perciò abolisce l’Antica; e la Nuova Alleanza è quella realizzata da Gesù sulla croce, con la sua Passione, Morte e Resurrezione: dunque, con quanto di più sacro vi è nella sua vita e nel suo insegnamento. Giova inoltre ricordare, a quelle anime belle, che tale deviazione dottrinale non è stata affatto introdotta da Benedetto XVI, ma da Giovanni Paolo II, il quale chiamava gli ebrei "i nostri fratelli maggiori", il che è uno sproposito e un’eresia; e, prima di lui, da Paolo VI e dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate, del 28 ottobre 1965. Vale a dire che tutto il vertice della Chiesa, a partire dal Concilio, ha imboccato una strada divergente dal vero Magistero e dalla retta dottrinale, ha rinnegato gli aspetti fondamentali della fede cattolica e, con la scusa e il pretesto del "rinnovamento pastorale", si è messo sempre più decisamente sulla strada dell’aperta apostasia. Bergoglio non ha fatto che affrettare i tempi e metterci, di suo, una buona dose di rozzezza, ignoranza e tirannica brutalità, come quando ha fatto commissariare i francescani e le francescane dell’Immacolata, senza mai formalizzare alcuna accusa precisa contro di loro e proibendo ad essi, in maniera illegittima, di celebrare la santa Messa secondo il Vetus Ordo, contravvenendo a un preciso documento del suo predecessore, la lettera Summorum Pontificum, il quale peraltro, a sua volta, non restituiva legittimità alla Messa tridentina, per il semplice fatto che tale legittimità non è mai venuta meno e nessun pontefice avrebbe mai avuto il potere di dichiararla decaduta e abolita.
Ora, se questi sono i papi del post concilio; se questi sono i professori dei semiari, ai nostri giorni; se questi sono la liturgia, la pastorale e il magistero, non c’è da meravigliarsi che i fedeli, sempre più spesso, siano scandalizzati da preti che officiano la Messa in maniera arbitraria, scimmiottando il rito protestante, invitando gli islamici in chiesa, proclamando che gli ebrei sono già nella verità e perciò salvi, dichiarando che chiunque si oppone all’invasione islamica dell’Europa è un razzista, indegno di essere chiamato cristiano; non c’è da stupirsi se costoro aboliscono il Credo di loro iniziativa, per sostituirlo con canzoncine sdolcinate e vagamente francescane, o se trasformano le chiese in ostelli, refettori e bivacchi per i "poveri migranti" e per i "profughi bisognosi". Certo, potrebbero allestire mense e dormitori negli ormai vuoti saloni parrocchiali; ma vuoi mettere l’effetto che fa, vedere le antiche chiese, come la bellissima basilica di Santa Maria in Trastevere, trasformate in un ristoranti al servizio dei poveri, e i preti che, invece di pregare e parlare dell’eternità, finalmente fanno qualcosa di utile: versano la minestra e scodellano la pastasciutta? Infine, questo neoclero sta dando ragione non solo a Lutero, secondo il quale non vi è alcuna distinzione fra clero e fedeli, ma anche a Napoleone e alla sua legislazione anticlericale, secondo la quale la maggioranza dei preti e delle suore sono bocche inutili da nutrire, parassiti sociali che devono mettersi materialmente al servizio del prossimo, o sparire. Ai preti, oggi, è stata lasciata la briglia libera di fare e improvvisare tutto quel che passa loro per la mente, purché vada nella linea di "abbattere muri" e "gettare ponti", cioè nella linea del dialogo, dell’inclusione, della solidarietà e dell’accoglienza. Ma guai se si permettono di richiamare con fermezza la dottrina perenne: allora fioccano le scomuniche, come per don Minutella, a Palermo; oppure i commissariamenti, come per i francescani dell’Immacolata. Negli Stai Uniti, i preti che dubitano della perfetta liceità e cattolicità dei comportamenti omosessuali sono obbligati a sottoporsi a delle visite psichiatriche.
Sta nascendo così, anzi, è nato da un pezzo, e ormai si sta ampiamente diffondendo, un nuovo tipo antropologico: il prete postconciliare. Vogliamo precisare che non stiamo parlando di tutti i preti consacrati dopo il Concilio Vaticano II (ci mancherebbe!), ma di quelli che hanno sostituito al credo cattolico il credo conciliarista, e che ora brillano nel fare a gara a chi le spara più grosse, a chi riesce a turbare e confondere in maggiore misura l’assemblea dei fedeli. Osserviamo da vicino questo nuovo tipo, frutto di una vera mutazione. Inutile dire che non si veste mai da prete, e che, fuori della chiesa, ha orrore di essere riconosciuto come tale; per cui non si mette neppure un piccolo crocifisso sul risvolto della giacca o sul maglione, non sia mai che voglia offendere in maniera così becera gli islamici o gli ebrei che dovesse incontrare per la strada. Gli piace stare con i giovani, un po’ meno con gli anziani; anzi diciamo pure che ha poco tempo per i vecchi, e poi i vecchi, e specialmente le vecchie, sono così terribilmente legati ai vecchi modi di pensare, hanno cose tanto stupide per la testa, come abbellire con i fiori l’altare della Madonna e perfino, pensate un po’, recitare il Rosario più volte al giorno, che, con loro, proprio non se la intendono. In compenso, provano un vero senso di ebbrezza nel salire all’ambone e sorprendere, stupire, sconcertare l’uditorio con le loro prediche audaci, aperte, progressiste, nelle quali danno la stura a tutto il sapere di riporto del modernismo vecchio e nuovo, del luteranesimo e di una congerie confusa di ambientalismo, ecologismo, neo-marxismo e radicalismo: al punto che parlano in maniera assai più simile a Emma Bonino o al defunto Marco Pannella, che a un san Pio da Pietrelcina, o un san Giovanni Bosco, per non parlare di un Santo curato d’Ars. No, non hanno tempo da perdere con il cattolicesimo del passato, chiuso e ripiegato su se stesso: loro vogliono gettare ponti verso il mondo intero, e trovare uomini di buona volontà anche là dove si affilano le armi per distruggere la chiesa. Guai a parlar loro del terrorismo islamico, neppure se i terroristi islamici entrano nelle chiese a sgozzare i preti nel bel mezzo della Messa. Fisicamente, il prete conciliarista è dinamico, asciutto, scattante, anticonformista, i capelli lunghi, la barba, l’abbigliamento un po’ casual, le scarpe da ginnastica; parla con aria ispirata, affetta apertura, beninteso fino a che non lo si contraddice, o meglio, finché qualche cattolico non lo contraddice. Non amano parlare dell’aborto, che è una faccenda sociologica, né dell’eutanasia, e se parla della sodomia, è per dichiarare che ogni cristiano ha il diritto di realizzarsi secondo la propria natura, e chiama Iddio a garante e testimone di una tale bestemmia. Parlano male dell’autorità, dei razzisti, dei tradizionalisti, della patria e dei confini; in breve, sono la brutta copia dei professorini del ’68 che hanno fatto del loro meglio, o del loro peggio, per rovinare una generazione di giovani. Si credono all’avanguardia e non si avvedono d’essere in ritardo di cent’anni. Sarebbero soltanto patetici, e ridicoli, se non fossero sommamente dannosi. Perché, bene o male, sono stati consacrati…
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