Si deve resistere alla tentazione dell’odio
24 Novembre 2018
Il segreto dei Santi è l’unione con Dio
26 Novembre 2018
Si deve resistere alla tentazione dell’odio
24 Novembre 2018
Il segreto dei Santi è l’unione con Dio
26 Novembre 2018
Mostra tutto

Che vuol dire essere sacerdoti o preti credibili?

Oggi va molto di moda una nuova espressione, coniata dai cattolici progressisti e specialmente dai teologi, o sedicenti teologi, che si fingono cattolici ma sono in realtà, in tutto e per tutto, dei modernisti, cioè degli eretici e dei pericolosissimi nemici della fede cattolica e della vera Chiesa (non lo diciamo noi, lo dice l’enciclica Pascendi di san Pio X): essere credibili. Hanno sempre questa espressione in bocca; fino a ieri nessuno si era mai sognato di adoperarla, oggi nessuno può permettersi di farne a meno. I preti nell’omelia domenicale, i catechisti nelle lezioni ai ragazzini, i vescovi "di strada" che hanno occhi e orecchi solo per il "dramma" dei migranti, nonché dei profughi, veri o finti non ha importanza; e non parliamo di quelli che, pur non essendo né preti, né cattolici, si sono improvvisati professori del clero e depositari della vera fede nel vero vangelo (non quello taroccato da duemila anni d’inganni e superstizioni clericali): tutti costoro, con la benedizione e l’incoraggiamento del signore argentino che pessimamente occupa, da cinque anni, il seggio di san Pietro, incessantemente ripetono che il credente deve essere credibile, che la chiesa deve essere credibile, e perfino — Dio ci perdoni la bestemmia — che Gesù Cristo deve essere credibile. Se non sono credibili, niente da fare. Ma che cosa intendono, costoro, per credibilità? Credibilità rispetto a che cosa, verso chi?

Facciamo un esempio molto semplice. Se voglio essere accettato nell’ambiente della malavita, devo ammazzare qualcuno senza batter ciglio: allora diventerò un interlocutore credibile per quei signori, allora e solo allora mi prenderanno in considerazione e si rivolgeranno a me con un certo grado di fiducia. Dunque, non basta essere credibili: bisogna essere credibili nella verità. Questo, se si vuol essere dei veri cattolici, fedeli al vero Vangelo di Gesù Cristo, e non dei cacciatori di credibilità, vale a dire dei cacciatori di consenso. Consenso e credibilità non sono la stessa cosa, ma finiscono per diventarlo nell’ottica di questo mondo. Nell’ottica dell’eterno, nell’ottica di Dio, non sono e mai saranno la stessa cosa: perché il vero cristiano vuol piacere a Dio e a Lui solo, a Gesù e a Lui solo, e se ne infischia allegramente della popolarità, anzi sa benissimo che il vero cristiano non è mai stato, né mai sarà, "popolare". Il vero cristiano non piace alle masse, non piace al potere, non piace a nessuno, tranne a chi ha il cuore puro e aperto al mistero di Dio, al mistero della grazia. Questa è una cosa che non diciamo noi, ma l’ha detta e ribadita Gesù Cristo, con le sue precise parole (e sempre col permesso di quegli illustri neopreti e neoteologi i quali mettono apertamente in dubbio che noi sappiamo cosa Gesù realmente disse, dal momento che ai suoi tempi non c’erano i registratori). Gesù ha detto: Se hanno ascoltato me, ascolteranno anche voi; ma se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Ha profetizzato ai suoi Apostoli incomprensioni, persecuzioni e martirio: Vi cacceranno dalle sinagoghe, vi accuseranno e diranno, mentendo, ogni sorta di calunnia contro di voi; anzi verrà il tempo, ha aggiunto, in cui chiunque vi mette a morte, crederà di rendere un culto a Dio.

Andiamoci piano, dunque, con la smania di essere credibili, e a maggior ragione di essere popolari. Il cristiano non vuol essere credibile secondo i parametri di questo mondo, vuol essere credibile davanti a Dio. E non si cura di esser popolare, anzi si preoccupa e si chiede dove sia sbagliando, se i signori di questo mondo lo applaudiscono e gli regalano elogi e sorrisi: tanto più che i signori del mondo non regalano mai nulla, e se fanno elogi e sorrisi a qualcuno, è perché quel qualcuno sta facendo quel che rientra nel loro interesse e vogliono incoraggiarlo a proseguire sempre più su quella linea. A dei ragazzi che gli chiedevano una benedizione (è successo a Palermo, il 15 settembre 2018), il signore argentino, che si trovava nel capoluogo siciliano non in gita di piacere o in visita privata, ma per svolgere un viaggio "apostolico", si è rifiutato di accontentarli, dicendo di non voler offendere i non cattolici. A questo punto siamo arrivati, nella smania di piacere al mondo, di essere popolari e di apparire "credibili" alla mentalità del mondo: che un papa si rifiuta di benedire i suoi fedeli perché non vuole dispiacere ai non credenti. E tutto il neoclero progressista e modernista si comporta alla stessa maniera: si inchina alla mentalità del mondo, si affanna per mostrarsi all’altezza delle aspettative del mondo. Che cosa pensa il mondo della preghiera, che cosa pensa del Sacrificio eucaristico? Che si tratta di perdite di tempo e di pie fantasticherie. E che cosa fanno i cattolici progressisti e i preti modernisti? Trasformano le chiese e le basiliche in mense e refettori per i "poveri". Al posto della Parola di Dio, piatti fumanti di pasta al ragù; al posto del Corpo e del Sangue di Cristo, le retorica ostentata e insopportabile della "chiesa dei poveri". Ma perché non si può allestire la mensa nei locali parrocchiali o nelle aule vescovili? Ce ne sono a centinaia, da quando le parrocchie son rimaste senza preti e da quando i seminari si sono svuotati. Ma no: bisogna farlo in chiesa, per diffondere il messaggio che i cattolici non sono gente che perde tempo a pregare, ma gente che aiuta concretamente i poveri. Del resto, non lo ha detto e scritto, nero su bianco, il signore argentino, a proposito della preghiera e della vocazione alla vita consacrata, che non è sano amare il silenzio e che i gli aspiranti monaci e monache dovrebbero essere sottoposti a una bella visita psichiatrica, per capire se è credibile il loro desiderio di entrare in convento? Ahimè: dati i presupposti, abbiamo la netta impressione che, da una tale visita (e il signore argentino ha dato l’esempio, dicendo di essere ricorso, lui stesso, alle "terapie" di una psicanalista ebrea), uscirebbero con l’autorizzazione a entrare in convento precisamente quelli che in qualsiasi posto starebbero bene, tranne che in un convento. E questo, senza dubbio, è l’obiettivo cui mira il signore argentino: spegnere, mortificare, uccidere le poche vocazioni che ancora fioriscono nel mondo moderno. Come ha fatto e continua a fare, imperterrito e indisturbato, da più di cinque anni, contro i francescani e le francescane dell’Immacolata. E col silenzio complice dei mass media asserviti alla sua dittatura, a cominciare dai giornali e dalle televisioni che millantano ancora di essere cattolici, ma non lo sono più.

Ma non solo i cristiani, anche Dio deve essere credibile; anche Gesù Cristo. Chi è Gesù, per questi signori? Gesù è un profeta che narrava Dio agli uomini; parola di Enzo Bianchi. Gesù, per i teologi modernisti, era un uomo; e i neopreti lo presentano così ai fedeli, nelle loro omelie: come un uomo che ha detto, che ha fatto, che ha sofferto, eccetera. Non come Dio che si è fatto uomo; non come Dio che ha assunto anche la natura umana per riscattare i peccati degli uomini e per morire e risorgere per amore di essi. No, non sia mai: queste sono favole, queste sono allegorie, queste sono immagini figurate! Ma quando mai Dio può farsi uomo? Ma quando mai qualcuno può risorgere dal sepolcro? Questo è il sottinteso dei preti che hanno perso la fede e si sono convertiti al modernismo: non vogliono dispiacere al mondo, vogliono essere credibili e annunciare un Dio credibile. E siccome il Dio dei Vangeli è un Dio incredibile (che trasforma l’acqua in vino; che cammina sulle acque; che moltiplica i pani e i pesci; che libera dal demonio i posseduti: questa, poi: ma se il demonio non esiste!), bisogna fare in modo che diventi credibile, cioè appetibile, cioè popolare. Del resto, lo aveva detto e scritto, quattro secoli fa, uno dei padri della rivoluzione moderna, il signor Galilei (nella Lettera a don Benedetto Castelli): se troviamo nelle Scritture qualcosa che non ci sembra credibile alla luce della sola ragione naturale, deve trattarsi di un errore d’interpretazione. Galilei ha proposito di storicizzare i Vangeli; Karl Rahner lo ha imposto al Concilio: ora la cosa è divenuta uno dei pilastri della neochiesa, come si evince da tutto quel che dicono i vari Sosa, Galantino, Bassetti, Paglia, Bergoglio; non parliamo dei James Martin, dei Danneels, dei De Kesel, dei Kasper, dei Marx, dei Schönborn. Intanto, però, resta il fatto che le vocazioni religiose sono giunte al capolinea, gli aborti non diminuiscono, le richieste di eutanasia e unioni gay aumentano, e i cattolici sono perfettamente in linea con le tendenze del mondo moderno: invitano personaggi come Emma Bonino a tener lezione in Chiesa, costringono ad andarsene i parroci che disapprovano i matrimoni gay da parte degli animatori parrocchiali, scomunicano i preti che denunciano l’inganno modernista e spronano i fedeli a restare attaccati al vero cristianesimo (anche se fin dal discorso di apertura del Concilio, la neochiesa aveva detto di non voler più usare la severità, ma la dolcezza verso il mondo). Ora questa fuga dai seminari, questa fuga dai conventi, questa fuga dalle chiese, secondo noi ha una ragione fondamentale: più si sforzano di apparire credibili secondo la logica del mondo, più i ministri di Cristo tradiscono il Vangelo e allontanano le anime, invece di avvicinarle. Le anime si avvicinano a Cristo quando restano affascinate dall’esempio di vita dei suoi pastori. Ma i pastori non devono essere credibili, non devono preoccuparsi degli indici di gradimento: devono essere semplicemente degli autentici cristiani. Come lo era il santo Curato d’Ars.

Ci piace riportare, su di lui, questa pagina dello scrittore Bruce Marshall (da: Santi che amiamo, a cura di Clare Boothe Lucen (titolo originale: Saints for Now, 1956; Milano, Mondadori, 1956, pp. 260-261; 267-268):

Perché il nuovo curato era convinto che vi fossero soltanto due modi per convertire il villaggio: con l’esortazione e col fare lui stesso penitenza per i suoi parrocchiani. Cominciò con l’ultima. Dette il suo materasso a un mendicante, e dormì sul pavimento in una stanza umida, sotto le scale o nell’attico, con un ceppo per cuscino; si sferzava con una catenella di ferro, non mangiava quasi nulla: due o tre patate ammuffite a mezzogiorno, e qualche volta trascorreva intere giornate senza prendere cibo; si alzava poco dopo la mezzanotte e andava in chiesa, dove rimaneva inginocchiato, senza alcun sostegno, fino al momento di dire la messa.

All’avida età moderna, ansiosa di evitare a tutti i costi i disagi e le rinunce le mortificazioni dell’abate Vianney sembreranno senza significato, crudeli, stupide e, forse, anche perversamente masochistiche. Ma Aldous Huxley, nella sua "Filosofia perenne", mostra come soltanto agli austeri sia concessa la conoscenza mistica di Dio. Egli dice che non sappiamo perché debba essere così; sappiamo soltanto che questa è la legge. I teologi cattolici credono tuttavia di sapere che ogni sofferenza terrena, accettata in Cielo, è un seguiti e un compimento del’espiazione. Gli scettici respingeranno, senza dubbio, una tale teoria. Somerset Maugham sostiene che la sofferenza degrada chi la sopporta, anziché nobilitarlo. Graham Green si avvicina di più alla realtà quando, ne "Il poptere e la gloria", fa dire al suo prete ubriacone: "I Santi parlano della bellezza del soffrire. Ma non siamo santi, voi e io. Il soffrire per noi è semplicemente brutto. Il puzzo e l’affollamento, e la pena… Occorre studiare molto per vedere le cose con l’occhio di un Santo….".

In altre parole, tutto dipende dall’animo di chi soffre. La tesi dei teologi che la sofferenza, giustamente accettata, trova la sua ricompensa anche in questa vita, è suffragata dai fatti. L’abate Vianney doveva averne la prova. Anni dopo, quando aveva già convertito la sua parrocchia e "Ars non era più Ars", ebbe a dire a un altro sacerdote angosciato per la scarsa devozione dei suoi fedeli:"Avete predicato? Avete pregato? Avete digiunato? Vi siete sferzato? Avete dormito sulle nude tavole? Finché non avrete fatto questo non avete diritti di lamentarvi". […]

Tutto il giorno, fin dalle prime ore del mattino, la chiesa era già affollata. La gente faceva la coda per i sacramenti come più tardi, grazie al progresso, doveva farla per il sapone, le calze di naioln e il pane. Le persone s’inginocchiavano nelle cappelle laterali che il reverendo Vianney aveva aggiunto, e dietro l’altare, o rimanevano fuori sui gradini della chiesa. I penitenti pagavano dei sostituti per tenere loro il posto mentre andavano a pranzo. I vescovi aspettavano il turno come chiunque altro. Soltanto gli ammalati e gli inabili avevano diritto di passare avanti: l’abate Vianney sembrava intuire la loro presenza; apriva la porta del confessionale e li chiamava fuori dalla folla. Nuovi alberghi dovettero essere aperti per alloggiar ei pellegrini di notte, per quanto in estate molti di loro dormissero nei campi.

Il curato dedicava la maggior parte della giornata ai pellegrini. Cominciava a confessare all’una del mattino e qualche volta, a mezzanotte. E seguitava fino alle sei o alle sette, fino al momento cioè di celebrare la messa. Non appena aveva finito il ringraziamento entrava di nuovo (fino al 1834 senza rompere il digiuno) nel confessionale e vi rimaneva sino alle dieci e mezzo; poi recitava la prima, terza, sesta e nona in ginocchio, di fronte all’altare. Alle undici teneva un breve sermone catechistico, dopo di che ascoltava nuove confessioni. A mezzogiorno, all’istituto della Provvidenza, consumava in piedi il pasto, costituito da una tazza di brodo o di latte e da pochi grammi di pane secco. Dopo aver vistato gli ammalati, tornava in chiesa, recitava il vespro e la compieta, confessava ancora fino alle sette o alle otto, e recitava poi il rosario dal pulpito. Cinque ore più tardi era di nuovo in chiesa per intraprendere un’altra giornata di lavoro. E questo continuò, giorno dopo giorno, per oltre trent’anni,

Da questo stile pastorale si ricava che per Giovanni Maria Vianney la cosa più importante era la confessione: passava in confessionale gran parte della sua giornata, e le folle da confessare erano immense. Come per san Pio da Pietrelcina, come per san Leopoldo Mandic. Dubitiamo assai che, oggi, egli considererebbe la cosa più importante accompagnare i poveri migranti in piscina, per combattere il caldo dell’estate, o allestire pranzi e cene nella basilica di Santa Maria in Trastevere; dubitiamo assai che lo stile di un di don Biancalani o della comunità di Sant’Egidio gli piacerebbe. I risultati, comunque, parlano da soli. Ars, che era un paese caduto nella totale indifferenza religiosa, divenne un centro vivissimo di fede, che attirava devoti pellegrini da ogni angolo del Paese. Quanti pellegrini attirano le case di accoglienza dei preti che espongono il cartello: Vietato l’ingresso ai razzisti: quante conversioni si devono al professor Riccardi? E l’ottimo Enzo Bianchi, quante anime ha avvicinato a Dio, nel solco dell’autentico Vangelo? E quanto digiunano, quanto pregano, quanto si mortificano, quanto soffrono gli esponenti della neochiesa, gli araldi della "svolta antropologica", per offrire a Dio le loro sofferenza, in cambio delle conversioni a Gesù Cristo? Ma forse sono domande ingenue. Forse lo scopo della neochiesa non è affatto quello di ricondurre le anime a Dio. Forse è solamente quello di instaurare una nuova religione, la Religione dell’Uomo, votata alla glorificazione di tutto ciò che è umano, immanente, di tutto ciò che tiene lo sguardo rivolto verso la terra.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.