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Omaggio alle chiese natie: S. Anna, a Paparotti

La chiesa di Sant’Anna, a Paparotti, all’estremità sud del quartiere di Cussignacco e della periferia udinese verso la bassa pianura friulana, è la più recente del circondario, insieme a quella di Gesù Buon Pastore, costruita negli stessi anni all’altro capo della periferia udinese, in via Riccardo di Giusto, una laterale di via Cividale. È stata inaugurata e benedetta, dedicandola alla madre di Maria Vergine il 25 giugno 1994, su progetto dell’architetto Gianpiero Mingotti, perché la chiesa di San Martino, in via Veneto, non era più sufficiente per le cresciute necessità della vasta parrocchia. E se della chiesa di Gesù Buon Pastore ci è stato impossibile parlar bene, in termini architettonici ma anche, più in generale, in termini teologici e culturali, per quella di S. Anna il discorso sarà, purtroppo, dello stesso tenore. Anche qui la solita smania di stupire (ma chi?, i fedeli o gli altri, i non cristiani, gli atei e i seguaci delle altre religioni?), di mostrarsi moderni, spregiudicati, liberi dalla tradizione; anche qui la velleità e il narcisismo di far vedere che il cristiano moderno è tutta un’altra cosa dal cristiano di sempre, non è mica un vecchio bacucco come i suoi genitori e i suoi nonni, macché, è un "cristiano" emancipato da preconcetti e pregiudizi, e, soprattutto, è un "cristiano" che se la passa benissimo a braccetto con le abitudini, le tendenze e i modi di fare e di pensare di questo mondo. L’effetto "a cannocchiale" della facciata, per esempio, con le tre falde successive, sempre più grandi, degli spioventi: sai che gran novità; basta così poco, per darsi le arie di essere moderni, evoluti e progressisti? Se sì, vuol dire che di idee ne hanno ben poche, questi cattolici progressisti. Ammesso che tutto ciò abbia a che fare col cattolicesimo; saremmo propensi a pensare che ciò che conta è l’effetto archistar; che poi si tratti di una chiesa, in fondo è secondario.

Questa è la descrizione di S. Anna reperibile sul sito www.chieseitaliane.chiesacattolica.it:

Edificio d’impianto centrale cruciforme con ripidi spioventi di falda in lastre di rame e i quattro prospetti a capanna con sedime rialzato da gradinate sul prospetto principale e su quello laterale a oriente; l’edificio è caratterizzato dal succedersi degradante degli aggetti, con effetto canocchiale, l’uno incluso nel precedente di due corpi più bassi a doppia falda, tra loro congiunti dall’asola finestrata lungo le falde; identico sviluppo hanno i due bracci di meridione e di oriente con il corpo esterno di volume maggiore; quello a meridione costituisce l’ingresso principale (indicato dalla croce sull’apice delle falde), quello a oriente l’ingresso secondario con un basso sporto laterale a due falde quale ulteriore ingresso; i volumi degli altri due bracci a occidente e a settentrione sono tra loro equivalenti, conclusi da ampie vetrate; di essi quello di fondo all’asse principale è il presbiterio, che si prolunga nel locale della retrostante sacrestia, quello a occidente. Rampa di accesso lungo il lato orientale destro del prospetto principale, adiacente all’ingresso pedonale coperto da tunnel vetrato che consente l’accesso all’ipogeo. Il prospetto principale ha l’ingresso a vetrata piena che segue l’andamento delle falde; uguale è l’ingresso secondario. Il interno di cromia bianca, luminoso per le vetrate delle tre facciate e delle asole lungo le falde della copertura, si caratterizza per l’impianto cruciforme costituito dall’incrocio delle poderose doppie travature arcuate, quali grandi vele che si originano dalle facciate dei bracci, incrociandosi al centro, entro le quali aggettano a livello più basso i quattro enormi unghioni aerei; i soffitti dei quattro spicchi delle falde laterali della copertura cruciforme in travi e doghe lignee contrastano cromaticamente con le bianche nervature crociate cementizie. L’ampia area dell’altare, rialzata di due gradini, è ubicata al fondo dell’asse principale, indicata unicamente dalla retrostante bassa paratia inclusa entro l’unghione, quale setto cementizio arcuato in cui è incluso il crocifisso. Il fonte battesimale e la riserva eucaristica sono collocati sul lato destro. La pavimentazione è costituita da lastre quadrate di marmo bianco disposte a losanga e da lastre quadrate di marmo nero con incluso un quadrato bianco.

E se il triplice ordine di spioventi non fosse già, di per se stesso, abbastanza brutto, come una sgraziatissima serie di matrioske o, meglio,come dei tetti di capannoni industriali moltiplicati per tre, il peggio non è fuori dell’edificio, ma al suo interno: chi varca il portale d’ingresso, non può fare a meno di chiedersi dove sia capitato, e la prima cosa che gli viene in mente sono, crediamo, le scenografie horror dei film di fantascienza della serie Alien, vale a dire delle astronavi in disarmo dall’aria incomprensibile e minacciosa, che ricordano la bocca di un mostro o il suo apparato digerente, pronto ad aspirare il malcapitato visitatore. Questa similitudine vi pare troppo forte e magari un po’ cattiva? Sinceramente, crediamo di no: è proprio quel che abbiamo pensato di fronte alle pareti e al mostruoso soffitto di due colori, simile a un gigantesco e velenoso fiore tropicale, scaturito dalla serra di uno scienziato folle, che si diverte ad incrociare piante dall’aspetto di smisurate orchidee, o forse dal laboratorio di un entomologo capace di creare insetti giganteschi, dalle anatomie che ricordano le loro uova o il loro sistema riproduttivo. Insomma una cosa orribile, e lo diciamo senza alcuna esagerazione, tanto meno con compiacimento. Come vorremmo poter dire tutt’altro, poter dire che in quella chiesa si sente il respiro del divino, e che l’anima si raccogliere serenamente per parlare col Signore! Tutto questo è non solamente triste, è anche inquietante, oltre che sommamente ingiusto. È inquietante perché non si può far a meno di chiedersi se all’origine di simili edifici "religiosi" c’è veramente una intenzione rivolta al nostro Dio, Gesù Cristo, o se non vi siano delle tenebrose allusioni a qualche altra entità, che non ha niente a che fare con il Vangelo, e che è anzi apertamene nemica del cristianesimo.

Sappiamo che simili cose accadono; per esempio, sappiamo che vi è una deliberata ispirazione massonica nella chiesa di San Giovanni Rotondo, progettata da Renzo Piano; una ispirazione che è una vera e propria sfida postuma al grande santo che per tutta la vita ha combattuto contro le trame della massoneria ecclesiastica, e ne ha patito le incessanti persecuzioni. Naturalmente, non si può pensare la stessa cosa ogni volta che si entra in una chiesa semplicemente brutta: sarebbe un sintomo di paranoia. Tuttavia, e questo ci porta a parlare del secondo aspetto della situazione attuale, il fatto che un’anima pia, entrata in una chiesa per pregare, e per pregare il Dio di Gesù Cristo, si trovi a disagio, sia costretta a farsi mille domande, a incubare paurosi sospetti, ha in se qualcosa di terribilmente ingiusto. Non è giusto che una tale anima sia indotta in confusione e in tentazione; e ancora più ingiusto è che finisca per sentirsi in colpa a causa di sospetti che sorgono in lei, ma che potrebbero essere ingiusti, immotivati e ingenerosi, cosa che aumenta il suo senso di smarrimento e di angoscia. Insomma, il danno che provocano alle anime i fautori della neochiesa, anche solo con la disinvolta costruzione di chiese che non hanno nulla della vera chiesa cattolica, e tralasciando cose ancor peggiori, come l’inserimento deliberato di elementi massonici o satanici, al preciso scopo di profanare i luoghi sacri e le funzioni che vi si svolgono, è immenso, incalcolabile. Il cattolico che, entrato in una chiesa modernista, non solo non vi trova Dio, ma si sente assalire da mille inquietanti interrogativi, e poi si sente sporco dentro, perché ha sospettato di persone che sono forse innocenti, è il vero credente dei nostri giorni, aggredito in maniera concentrica dalle forze oscure che vorrebbero spingerlo verso la disperazione: perché là dove gli uomini sono disperati, il diavolo celebra la sua vittoria e trionfa nel vederli separati da Dio. Perciò, non è poi così importante sapere se i vescovi, i teologi e gli architetti modernisti coltivano un disegno preciso di distruzione della fede, oppure no; quel che conta è che tale è l’effetto che la loro opera nefasta produce nell’anima dei credenti, o su una parte di essi; e anche di una sola di quelle anime sospinte lontano da Dio, verrà loro domandato a suo tempo di rendere conto. Allora saranno esse a restare confuse, a non saper che dire; e verranno gettate fuori, nel buio, dove vi è pianto e stridore di denti, perché la loro colpa è senza attenuanti.

Lo ripetiamo: non bisogna pensare a simili cose ogni volta che si entra in una chiesa brutta, ideata e realizzata, magari inconsciamente, per celebrare l’uomo più che per adorare Dio; perciò siamo ben lungi dal pensare una cosa simile di una chiesa come quella di Sant’Anna, alla periferia udinese. E tuttavia, siamo sinceri: avremmo preferito che quella chiesa non fosse mai stata costruita. Un tempo la gente non aveva paura di fare un po’ di strada in più per recarsi alla santa Messa; e sì che si spostava sempre a piedi, mentre oggi quasi tutti hanno l’automobile. Così pure, i fedeli non temevano di accalcarsi un poco, anzi, specie per le festività solenni, o per la catechesi delle Quarant’ore, quando giungeva da lontano qualche famoso predicatore, e bisognava venire due, tre ore prima per trovare un posto a sedere, e potersi abbeverare alla parola di quel santo e dotto uomo di Dio. Ora costruiscono sempre nuove chiese per risparmiare ai parrocchiani la "fatica" di dover fare qualche centinaio di metri in più, alla domenica, e per risparmiare loro il "disagio" di trovarsi un poco stretti durante le sacre funzioni; ma il problema, evidentemente, non è la distanza e neppure l’affollamento. Del resto, la gente non prova alcun disagio ad affollarsi per assistere a un concerto di musica leggera, o per fare shopping in qualche grande centro commerciale, magari proprio alla domenica: e allora perché mai dovrebbe trovare increscioso condividere uno spazio ristretto con i propri fratelli nelle fede? Se ci fosse la fede, la gente non avrebbe paura di fare anche qualche chilometro a piedi, né di stiparsi in chiesa per udire le parole di vita eterna del Vangelo, esposte e commentate da qualche sacerdote pieno di zelo, di carità e anche di umana saggezza. A che serve avere delle nuove chiese, modernissime e quasi avveniristiche, se la fede langue e si sta spegnendo? Se le famiglie non sentono la gioia, oltre che il dovere, di santificar le feste, e molte coppie non sentono più il bisogno di unirsi in matrimonio con la benedizione di Dio? Né di far battezzare i propri bambini? Né di ricevere, dopo morte, delle vere esequie cristiane, secondo il rito cattolico? A che giova poter vantare sul territorio chiese ultramoderne, costruite con tecniche progredite e secondo schemi assai moderni, quando la parola del sacerdote è fiacca, perché troppo umana, mio Dio, troppo umana; e quando l’anima non vede favorito il suo incontro con il Signore, perché né l’ambiente, né la liturgia, né la musica, nulla, insomma, di tutto il luogo sacro e della sacra cerimonia, reca il riflesso di Dio Onnipotente, del Dio annunciato da Gesù Cristo, e che era Lui stesso, la seconda Persona della Santissima Trinità?

Ecco: è questa la mentalità che sta corrodendo come un cancro la vita della Chiesa: la mentalità del mondo, secondo la quale bisogna offrire "servizi" sempre migliori, cioè sempre più comodi, per conservare, e magari ampliare, il mercato dei propri clienti. Ma questo, appunto, è un pensare secondo il modo, e non secondo Dio. Ciò di cui hanno bisogno i fedeli cattolici, oggi, disperatamente bisogno, è una Chiesa che sia fedele al Vangelo di Gesù, che tramandi intatto il Deposito della fede, e che sappia mostrare agli uomini, con l’esempio di santità dei suoi sacerdoti, la via del Cielo. Che se ne fa, il fedele cattolico, di cardinali come Danneeles, come De Kesel, come Schönborn, come Kasper? Che se ne fa di preti che sopprimono il Credo durate la Messa, perché dicono di non crederci, o che sopprimono la santa Messa di Natale, per "rispetto", dicono, verso i migranti; che fornicano con donne, con uomini e con ragazzini, che si uniscono in sconce unioni sodomitiche e celebrano "messe" arcobaleno, nelle quali il Corpo e il Sangue di Gesù non ci sono, non possono esserci, perché sono solo delle profanazioni, e che quindi si riducono a delle indecenti parodie, a dei sacrilegi inauditi? Che se ne fa di falsi preti e falsi teologi come Enzo Bianchi, di falsi pastori che sanno parlare sempre e solo di cose umane, di diritti, di uguaglianza, di cittadinanza, di accoglienza, d’inclusione, e non parlano mai della vita eterna, della grazia e del peccato, del mistero del male e del dono della fede, porta di accesso alla salvezza dell’anima? Che se ne fa di un arcivescovo che magnifica le virtù del defunto Marco Pannella, e di un papa che dà ragione a Lutero, che contraddice il Magistero, che smentisce il catechismo, che giustifica il peccato e che assicura il perdono di Dio anche ai peccatori impenitenti? Di un papa che loda la signora Bonino e la chiama "una grande italiana", colei che si è personalmente macchiata di 11.000 aborti, secondo le sue stesse affermazioni? No: non se ne fa nulla di pastori di tal fatta, di discorsi e gesti che provengono da una simile "chiesa". Non ode in loro la voce del Buon Pastore; non sente d’essere al sicuro, nel gregge di Cristo, ma intuisce che qualcuno si è approfittato della sua buona fede, lo sta ingannando, lo sta manipolando, lo sta derubando del suo bene più prezioso e lo sta spingendo lontano da Dio, verso una religione che solo a parole è ancora la religione cattolica romana, mentre, di fatto, è una religione gnostica e sincretista, impregnata di modernismo e di ideali massonici. E infatti è una chiesa che non fa più sentire la sua voce contro l’aborto e contro l’eutanasia, ma scende continuamente a compromessi, e in compenso parla molto, anche troppo, di ambiente, ecologia, animali da salvare. Ma cos’ha a che vedere una simile "chiesa" con la diletta Sposa di Gesù Cristo?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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