
Omaggio alle chiese natie: Assunzione B. V. Maria
12 Settembre 2018
Omaggio alle chiese natie: S. Anna, a Paparotti
12 Settembre 2018Oggi si fa un gran parlare di accoglienza, di inclusione, di integrazione, di solidarietà, e anche di società multietnica e multiculturale, come se una tale società fosse la cosa più naturale, più ovvia da realizzare: e che ci vuole?, basta un poco di buona volontà. Quelli che fanno tali discorsi appartengono, tutti, a due categorie di persone: gli imbecilli e i perfidi I primi non sanno quel che dicono, ma guai a contraddirli, perché loro sanno benissimo ogni cosa, hanno capito e meditato tutto, non c’è bisogno che imparino più niente. Gli altri sanno benissimo che accoglienza, inclusione, eccetera, sono solo parole-civetta, parole-truffa per carpire la fiducia, approfittandosi della credulità e dell’ingenuità del prossimo, per sfruttare la sua mitezza e la generosità; e sanno che una società multietnica e multiculturale è una contraddizione in termini, una cosa che non si è mai vista e mai si vedrà, perché, prima o dopo, la parte più forte si imporrà sulle altre, con le buone o con le cattive, e imporrà ad esse la sua supremazia, come del resto è sempre accaduto e sempre continuerà ad accadere; perciò stanno perseguendo dei loro fini, ben diversi da quelli dichiarati, che collidono in maniera stridente con l’interesse nazionale e con il bene comunque degli italiani, dei quali, del resto, se ne infischiano, essendo in tutt’altre cose affaccendati, e immersi in tutt’altri piani a lungo termine.
Ora, la marea di stranieri che da tre decenni sta sommergendo la nostra società è formata, in larga misura, da nordafricani, ma soprattutto da negri e da bengalesi e pakistani di religione islamica; e, stante il loro tasso d’incremento demografico, non occorre essere dei geni delle scienze statistiche per capire che entro meno di due generazioni prenderanno il sopravvento e formeranno il gruppo dominante nel nostro (ex) Paese. Ora, i soloni del politicamente corretto non parlano mai di questo, cioè dell’esito, a medio-breve periodo, del fenomeno migratorio; parlano sempre e solo della accoglienza, anzi, del dovere dell’accoglienza, come se ciò fosse l’unico aspetto del problema, ossia la concessione e la tutela di tutti i diritti possibili agli stranieri, compreso l’inverosimile diritto di cittadinanza alla nascita (ius soli), che, se approvato per legge, trasformerebbe l’Italia — e non è difficile capirlo e immaginarlo — nella sala parto di tutto il Terzo e Quarto Mondo, ma specialmente del continente africano, il quale, dicono gli esperti, raddoppierà la sua popolazione nei prossimi trent’anni, raggiungendo nel 2050 la cifra mostruosa di 2 miliardi e mezzo. E, a quel punto, visto che l’Italia è membro dell’Unione europea, quest’ultima diverrebbe una piccola appendice del grande mare africano. Tuttavia, se qualcuno pone loro davanti questa prospettiva — inevitabile, secondo le odierne linee di tendenza e le politiche di tutti i governi italiani dell’ultimo trentennio, ad eccezione di quello attuale – i suddetti soloni risponderanno che le migrazioni ci sono sempre state, che i flussi migratori sono naturali e inarrestabili (magari per analogia coi flussi mestruali: fateci caso, nessuno prima d’ora aveva mai parlato di "flussi" per indicare i movimenti migratori); che anche i rimescolamenti di popolazione ci sono sempre stati e che sono una cosa di per sé tutt’altro che negativa, poiché grazie ad essi nascono delle nuove civiltà, più ricche, più aperte, più tolleranti: tutte affermazioni che scaturiscono solo o da una colossale ignoranza, o da una deliberata perfidia, secondo i due casi dei quali si è già detto. Se, poi, si osserva che i principali e più convinti assertori dell’accoglienza, cioè, in pratica, della negrizzazione e della islamizzazione dell’Italia, sono gli esponenti della Chiesa cattolica, o di quella che dovremmo chiamare ex Chiesa cattolica, e vera contro-chiesa eretica e apostatica, non si può non restare fortemente colpiti e sconcertati della palese incongruenza: come mai il clero cattolico, con il papa, i cardinali e i vescovi in testa, favoriscono con ogni mezzo l’avanzare di una società africana ed islamica sui resti cadenti e in via di estinzione della società italiana e cattolica? Come mai il signore argentino e i suoi fedelissimi parlano lo stesso identico linguaggio di un notorio e disinteressato filantropo come George Soros, e degli squali della finanza d’assalto, suoi simili?
Ma ammettiamo, per amore d’ipotesi, che l’incontro, se così vogliamo chiamarlo, fra la nostra civiltà, che è, piaccia o non piaccia, di matrice cristiana, e quella africana ed islamica, si ponga veramente nei termini idealizzati e quasi idilliaci che ci raccontano i fautori dell’auto-invasione e dell’auto-sostituzione. I quali, evidentemente, i giornali non li leggono, o li interpretano a modo loro, visto che non sono per nulla impressionati dal fatto che ogni giorno gli stranieri commettano settecento reati, per non parlare di tutti quei frequentissimi comportamenti che, pur non configurandosi come reati, sono tuttavia estremamente sgradevoli, incivili e anche minacciosi per i residenti italiani delle periferie e delle case popolari, e dei quali neppure i giornali parlano, ma che, se solo si possiedono un paio d’occhi e un paio d’orecchi, si vedono e si odono tutti i santi giorni, o se ne ode parlare da amici e parenti gravemente angustiati. Al punto che, specialmente la sera, dopo cena, possiamo ritenerci virtualmente prigionieri e in ostaggio di questi ospiti che nessuno ha invitato, ma che i nostri politici e uomini di Chiesa si sentono in dovere d’incoraggiare a venire, sempre più numerosi e sempre più consci dei loro diritti (un po’ meno dei doveri, a dire il vero; ma questo è solo un dettaglio scarsa importanza, a quanto pare). Ammettiamo, dunque, che non insorgano particolari problemi sociali, o che quelli attualmente esistenti, chi sa mai per quale miracolo, si andranno placando e risolvendo, e ciò nonostante il crescere della presenza africana ed islamica in Italia: ebbene, la vera domanda è: siamo sicuri che per loro, per gli islamici di provenienza africana ed asiatica, valga la stessa premessa mentale che domina, a quel che sembra, la mente dei nostri fautori dell’accoglienza, vale a dire che si possa benissimo coabitare nello stesso territorio professando fedi e culture diverse, nel perfetto rispetto reciproco, e senza alcuna animosità fra popolazioni che sono legate, ma anche divise, dal fatto che anche l’Islam è la religione del Libro, e che il Corano accoglie una parte del messaggio cristiano, ma lo nega e lo rifiuta con estrema energia in ciò che esso ha di centrale e di specifico: la divinità di Gesù Cristo e la sua opera redentrice nei confronti dell’umanità?
Per secoli e secoli, questo legame e questa differenza hanno spinto gli islamici e i cristiani a combattersi sanguinosamente; e, checché si creda, erano quasi sempre gli islamici ad attaccare, e i cristiani a difendersi. Basti dire che l’islam si è insediato su tutta la sponda est e la sponda sud del Mediterraneo (tranne qualche piccola "sacca" di resistenza come i copti in Egitto, o le minoranze cristiane in Siria e in Iraq, ora pressoché distrutte), cioè nei Paesi di più antica civiltà cristiana, dove il Vangelo era stato accolto dalle popolazioni molto prima che ciò accadesse per quelle dell’odierna Europa occidentale. Le stesse Crociate, di cui sempre parlano i nostri intellettuali progressisti per alimentare i sensi di colpa e l’auto-disprezzo dei popoli europei (tanto che la parola crociato è diventata un epiteto fortemente negativo), furono molto più guerre difensive che offensive, se è vero, come è vero, che in una guerra difensiva vi può essere la necessità di assicurarsi delle buone posizioni sulle quali attestarsi, proprio in vista del crescere della minaccia nemica. E la verità è che per almeno un millennio, dal VII al XVIII secolo, gli europei dovettero difendersi, lottando strenuamente, prima dagli assalti lanciati contro di loro, per mare e per terra, dai saraceni, indi dagli eserciti del sultano ottomano, dopo che questi aveva fissato la sua capitale in quella che era stata la capitale del tardo Impero romano, poi bizantino, e che, quando cadde in loro potere, nel 1453, era tuttora la più popolosa città dell’Europa e di tutto il mondo cristiano. Il fatto è che i giovani, oggi, sono ignorantissimi in fatto di storia; e per giovani intendiamo tutti quelli che hanno preso il diploma di scuola superiore, o la laura, dopo gli anni ’70: cioè i figli della scuola e dell’università finalizzate ad accrescere e tramandare l’ignoranza nazionale. I giovani in senso stretto, poi, quelli della "generazione Erasmus", non sanno nulla del millenario assalto islamico all’Europa cristiana; niente di strano, considerato che non sanno nulla neanche della storia italiana contemporanea, di come l’Italia è nata quale Stato indipendente, di come è nata la Repubblica, di chi ci governa oggi, non solo politicamente, ma soprattutto finanziariamente e culturalmente; così come non hanno mai sentito dire che la Repubblica democratica è nata dal sangue di una terribile guerra civile e dalle baionette del nemico vincitore, improvvisamente promosso al rango di amico e addirittura di liberatore. E sul terreno vergine di questa ignoranza, reso ancor più sdrucciolevole da una fitta rete di menzogne e verità di comodo, è facile dire qualsiasi cosa, e far sì che venga creduta.
E invece bisogna sapere, bisogna ricordare. Chi sa, o ricorda, i martiri di Otranto del 1480, passati a fil di spada dagli islamici perché rifiutarono l’apostasia? E quanti sanno della distruzione islamica del monastero di Montecassino, simbolo e culla della civiltà cristiana italiana ed europea? E invece bisogna sapere; sapere e ricordare.
Parliamo di Montecassino, dunque, visto che senza Montecassino l’Europa non sarebbe divenuta quella che è divenuta, e la civiltà cristiana non avrebbe conosciuto secoli e secoli di splendida fioritura, non solo spirituale, ma anche civile, artistica, culturale. Nell’875, vicino a Brescia, veniva a morte l’imperatore Lodovico II il Giovane, che aveva tenuto a bada i saraceni e li aveva sconfitti due anni prima, presso Capua. Si creò un vuoto di potere, coi grandi feudatari liberi di scorrazzare senza freno, e i saraceni di nuovo aggressivi nell’Italia meridionale. L’assalto alla celebre abbazia di Montecassino, cuore della spiritualità cristiana medievale, maturò in tali circostanze e culminò nella distruzione della città ai piedi di Montecassino il 4 settembre 883, e del grandioso complesso monacale, il successivo 22 ottobre, al tempo del santo abate Bertario, diciannovesimo della serie dopo san Benedetto, venerato come martire dalla Chiesa cattolica.
Così rievoca quella drammatica pagina di storia don Tommaso Leccisotti nella sua monografia Montecassino, Badia di Montecassino, 1983, pp. 41-42):
Una banda di Saraceni, annidati nell’Appennino sannitico, distrusse nell’881 S. Vincenzo al Volturno. Quegli altri Saraceni, che erano stati respinti dal Golfo di Napoli, avevano cercato un rifugio ad Agropoli sulle coste salernitane. Di lì l’ira e la vendetta di Docibile [l’ipato bizantino di Gaeta] li chiamarono sulla riva destra del Garigliano, onde per quaranta anni sparsero il terrore e la desolazione. Uno dei primi loro obbiettivi fu l’abbazia di Montecassino; non solo ve li attirava la fama della ricchezza e l’importanza della posizione, ma ve li spingeva pure l’odio per la decisa personalità di Bertario. Probabilmente secondo un piano prestabilito, il primo impeto fu rivolto contro il monastero superiore, che con le sue forti opere di difesa avrebbe potuto costituire una fortezza e un rifugio , in sostegno della città e del grande cenobio sottoposti. Invaso, incendiato e distrutto Montecassino il 4 settembre 883, era preclusa verso il monte ogni via di scampo a quanti si trovavano in pianura. Il monastero di S. Salvatore rigurgitava ora di gente poiché agli ordinari abitatori, che di per sé formavano già la maggioranza della comunità cassinese, si erano aggiunti i fuggiaschi dalle prepositure e dipendenze più vicine ai pericoli; Betario, per non esporre tutta la comunità alla rovina, ne avviò una buona parte a Teano, ove i Cassinesi avevano una casa, sotto la guida del preposito Angelario. L’abate, con un forte manipolo di coraggiosi, rimase sul luogo della lotta, attendendo con l’animo fisso in Dio lo svolgersi degli eventi. Non passò molto tempo e il 22 ottobre dello stesso anni 883 i Saraceni si abbatterono su S. Salvatore, devastandolo ed incendiandolo. Bertario, appena ebbe sentore che i nemici irrompevano nel monastero, prese il suo posto in chiesa e ve li attese in preghiera. Raggiunto dai barbari presso l’altare di S. Martino, fu trucidato con quanti lo circondavano. I Saraceni, dopo di aver tentato di appiccare il fuoco anche alla splendida basilica, si ritirarono oltre il Garigliano, lieti e trionfanti, carichi di preda. Fu allora possibile dare degna sepoltura a quei cadaveri che anche le fiamme avevano risparmiato, e la salma dell’abate, trasportata sul monte, venne deposta nel capitolo, vicino a quella del suo maestro e predecessore Bassacio.
Immaginiamo l’obiezione di una certa parte ideologica: a che scopo ricordare queste cose? Riaprire vecchissime piaghe, ormai rimarginate? Agitare davanti ai giovani lo spauracchio di conflitti che, oggi, sono solo un lontano ricordo? Rispondiamo, e ci rivolgiamo alle persone n buona fede, non ai perfidi registi dell’auto-invasione e dell’auto-sottomissione: sì, sono storie lontane nel tempo: ma gli islamici lo sanno? Siamo sicuri che la maggioranza di essi consideri quelle lotte come una storia passata, un capitolo chiuso? Che abbiano voltato pagina e deciso di coabitare pacificamente coi cristiani? Stando alle cronache, non si direbbe proprio. Una guerra finisce quando si è in due a deporre le armi, anche idealmente. L’Europa, certo, le ha deposte; lo ha fatto anche l’islam? Perché, se le abbiamo deposte solo noi, allora stiamo offrendo il collo indifeso alla mannaia del carnefice…
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