
La neochiesa distrugge la fede col ridurla a psicologia
7 Settembre 2018
Omaggio alle chiese natie: S. Maria V. della Salute
8 Settembre 2018Non abbiamo alcun dubbio che l’evento decisivo ed esiziale che ha provocato la crisi della Chiesa contemporanea è stato il tanto decantato Concilio Vaticano II. Esso ha introdotto nella Chiesa le categorie di "progressista" e "conservatore", che appartenevano al mondo profano e in particolare alla politica, gettando i semi di uno scisma che, prima o poi, finirà per manifestarsi, e che, nei fatti, si è già manifestato. La responsabilità di aver creato le premesse per una spaccatura e per una guerra civile, in senso ideale, dentro la Chiesa cattolica, ricade interamente sulle spalle dei progressisti. Sono loro che hanno voluto distinguersi, che hanno voluto prendere l’iniziativa, che hanno ritenuto insopportabile continuare ad essere confusi, da chi è fuori della Chiesa, con i cattolici da essi tanto avversati e disprezzati, i "tradizionalisti". Sono essi che hanno deciso di imprimere una svolta alla Chiesa, di cambiare la liturgia, di rivoluzionare la pastorale, e di introdurre una serie di piccole variazioni (piccole, apparentemente) le quali, un po’ alla volta, sarebbero servite come cunei per incrinare la solidità della dottrina e iniziare a sgretolarla dall’interno, lentamente, metodicamente, senza fretta, sino alle vette eccelse che possiamo ammirare in questi ultimi anni, con un magistero (minuscolo) talmente confuso, che non si capisce nemmeno più se i divorziati risposati possano fare la Comunione e se le coppie omosessuali possano essere benedette davanti all’altare: cose entrambe che sarebbero parse semplicemente pazzesche fino a poco tempo fa, perché totalmente in contrasto col Magistero perenne, e tuttavia, incredibilmente, divenute ora vicine, possibili, e, secondo alcuni, auspicabili: segno di quanto abilmente hanno lavorato in silenzio, ma assai in profondità, i novatori, scalzando pian pianino i fondamenti della dottrina e riuscendo anche ad erodere la stessa percezione del bene e del male da parte dei cattolici.
Chi avrebbe detto, nel 1962, quando si aprì il Concilio, che, poco più di un decennio dopo, uomini consacrati avrebbero sfruttato la loro notorietà per fare propaganda alla ratifica popolare della legge sul divorzio, prima, e sull’aborto, poi? Eppure è accaduto: una cosa che, prima del 1962, sarebbe apparsa semplicemente fantascientifica, oltre che diabolica. Prendiamo il caso di padre David Maria Turoldo, scrittore, poeta, regista, biblista, eccetera, eccetera, uno degli uomini di Chiesa più vezzeggiati e coccolati dalla cultura laicista, progressista e di sinistra, quasi tutta sotto l’egida dell’allora Partito comunista italiano: quello che Pio XII aveva scomunicato e la cui ideologia il Concilio, in teoria, e secondo le aspettative di gran parte dei Padri conciliari, avrebbe dovuto solennemente condannare (molti di essi, anzi, pensavano che la condanna del comunismo sarebbe stata uno dei punti centrali del Concilio stesso, e la ragione principale della sua convocazione). Turoldo, in occasione delle due storiche "battaglie" radicali, prese posizione pubblicamente in favore dell’una e dell’altra legge; lo fece con gesuitici distinguo e con incredibili acrobazie concettuali, ma lo fece, eccome. E i suoi discepoli e ammiratori odierni, a più di quarant’anni di distanza, si guardano bene dall’avanzare anche solo un’ombra di ripensamento critico su quelle scelte; al contrario, le rivendicano con fierezza, pur dicendo che furono "sofferte", che furono "drammatiche", eccetera, eccetera. Abbiamo trovato questa ricostruzione storica, in rete, su davidmariaturoldo.blogspot.com, curato, se abbiamo capito bene, da una nipote acquista del sacerdote:
LOTTE POPOLARI: DIVORZIO-ABORTO
Padre Turoldo non concordava con la Chiesa schierata a favore di una certa area politica. Per lui la religione doveva stare fuori dalla politica, il cristiano doveva sentirsi libero di decidere secondo la sua coscienza.
Nel 1974 si votò il referendum per introdurre anche in Italia il divorzio.
Molti esponenti del clero, docenti universitari, giornalisti ecc. si schierarono a favore del divorzio, motivandone la scelta per una laica libertà della persona.
Padre David non poté mancare a questa "lotta cristiana" in difesa della libertà della coscienza cristiana.
Come P. Balducci e Franzoni, Padre David era convinto che la religione non può imporre a chi non crede. La fede è libertà tutti i campi.
Padre Turoldo era convinto che si deve cercare di far capire la verità di una fede, ma non la si può imporre attraverso una legge. Per Padre Turoldo il divorzio, come l’aborto, era e sarà sempre un grande male e come tale dev’essere vissuto a livello di fede e coscienza, nel rispetto degli altri, di chi non crede,. La sua convinzione era che il referendum fosse più di natura politica che religiosa.
Padre David sapeva benissimo che la sua era una scelta difficile, fatta di pro e contro, come la campagna sull’aborto. Altra "battaglia sbagliata".
Padre Turoldo dovette prendere coscienza del problema e con grande sofferenza, dopo numerosissimi colloqui e confronti, alla fine il suo pensiero fu di "sbagliare il meno possibile".
Sempre la sua coscienza!
L’uomo e la sua coscienza. Non obbligato da una legge fatta dalla politica, ma da una legge ben più importante: la sua coscienza.
Si prova imbarazzo, pena, incredulità, sdegno, nel leggere simili frasi, nel vedere espressi simili concetti e contrabbandati per cattolici, per cristiani, a celebrazione di un sacerdote che sbagliò tutto, ma proprio tutto, di fronte a grandi e delicatissime questioni etiche e che non ebbe l’umiltà di rimettersi alla Tradizione e alla Scrittura, ma che, con luciferina superbia, volle farsi lui giudice di ciò che è bene e di ciò che è male, e, peggio ancora, insegnare agli altri, ai fedeli, che il cristiano è colui che decide in coscienza cosa è bene e cosa è male, non rimettendosi all’insegnamento e all’esempio vivente di Gesù Cristo; e di fronte a "cattolici" i quali neppure a quasi mezzo secolo di distanza hanno il coraggio dire, con sincerità: Sì, fu un grandissimo sbaglio, fu un gravissimo errore, del quale siamo pentiti e chiediamo perdono a Dio e ai fratelli, ma che, al contrario, si ostinano a rivendicare di aver avuto ragione e che quello era il "male minore". Perfino adesso che i numeri li sbugiardano. Perfino adesso che assommano a sei milioni gli embrioni soppressi nel ventre materno, grazie alla legge che essi allora difesero e che ancora oggi rivendicano, in nome della libertà della persona e del rispetto degli altri, ma non dei più indifesi, cioè appunto i nascituri ai quali viene negata la possibilità di vedere la luce.
Cominciamo dal titolo: l’aborto e il divorzio come "lotte popolari". Non come atti morali intrinsecamente malvagi e contrari alla dottrina cattolica, ma come "lotte popolari", il che li pone automaticamente sotto una luce positiva, almeno da un punto di vista laico. Come si può non essere a favore delle "lotte popolari"? Solo i reazionari, solo i fascisti non lo erano, pardon, non lo sono (qui dovrebbe accendersi un neurone nel cervello di questi signori e ricordar loro che siamo nel 2018, e che si è visto dove è andata a finire la sinistra, con tutte le sue "lotte popolari": fra le braccia di Soros, della BCE e dei Benetton). Ma andiamo avanti. Padre Turoldo non concordava con la Chiesa schierata a favore di una certa area politica? Suvvia, questa è una parte della verità: padre Turoldo non concordava, se quella parte politica era la DC; ma se era la sinistra, allora sì che concordava. Per lui la religione doveva stare fuori dalla politica? Sì, se era una politica conservatrice; no, se era una politica progressista. E subito dopo, l’eresia: il cristiano doveva sentirsi libero di decidere secondo la sua coscienza. Ma quando mai? Il cristiano non è affatto colui che decide "secondo coscienza", perché la coscienza deve anzitutto essere ben formata, e poi deve esser illuminata dalla Verità: nel quale caso essa decide la sola cosa che è giusto decidere, cioè quanto insegnato da Gesù Cristo. Altrimenti è meglio che quel signore si risparmi di definirsi cristiano: non è un cristiano, ma un soggettivista. È ben vero che il signore argentino, oggi, dice le stesse identiche cose di quelle che diceva Turoldo; e non per nulla egli ne è un ammiratore. Ciò non toglie che sono idee non cattoliche, e quindi, insegnate dal pulpito, diventano eresie, perché toccano questioni di fede, e la fede non è negoziabile, non è soggettiva, non sta appesa al giudizio personale di Tizio o di Caio: la fede è una, è cattolica, cioè universale, vale sempre e per tutti, impegna tutti, vincola tutti, non esime alcuno. Non esiste un’esenzione da ciò che insegna la dottrina cattolica e che la fede cattolica accoglie incondizionatamente. Ma per i cattolici progressisti, questo discorso è troppo duro, suona inaccettabile ai loro delicati orecchi. Essi si ritengono cittadini della modernità; e l’uomo moderno si riserva sempre l’ultima parola, pensa di aver sempre diritto a esercitare la libertà della sua coscienza. Solo che questo non è cattolico: il cattolico vuole quello che vuole il Padre celeste, annulla il suo volere per volere solo ciò che piace a Dio, senza se e senza ma. E non perché il cattolico disprezzi l’umana intelligenza, della quale, anzi, ha una stima grandissima (è stato il cristianesimo a insegnare al mondo la libertà del pensiero), ma perché la retta libertà di pensare non può mai coincidere con la libertà di andare contro la Verità. Per il cattolico, è assiomatico che la libertà è volere quel che vuole Dio, e seguire la propria coscienza significa uniformarsi alla Sua volontà. Non ci sono zone franche, non ci sono terre di nessuno, né città aperte, nelle quali egli possa rifugiarsi per dire: la Chiesa dice così, ma io penso colà, e allora va bene. Nossignori: perché la Chiesa non dice a capriccio quello che dice, ma segue il Magistero perenne che si ispira alle due fonti incrollabili della Scrittura e della Tradizione; pertanto la vera intelligenza del cristiano consiste nel lasciarsi illuminare da ciò che dice Dio e nel volere quel che vuole Lui, non nell’andare avanti, solitario e orgoglioso, per la propria strada.
Il resto dello scritto citato è un penoso cumulo di assurdità e di goffi tentativi di far passare per normale, e perfino per lodevole, l’inqualificabile tradimento compiuto da Turoldo nei confronti del Vangelo: perché un prete che dice "sì" alla legge sul divorzio e a quella sull’aborto, viene meno al suo dovere fondamentale, la fedeltà a Cristo e alla Chiesa, che è il tramite di cui Cristo si serve per tenere uniti i fedeli. Non esiste che la Chiesa dica una cosa e un singolo prete ne dica un’altra, totalmente opposta. Questo è anarchismo pastorale, e allora va bene tutto: va bene anche Enzo Bianchi, il quale, pur non essendo prete, si permette di pontificare su ciò che i preti devono fare e dire, e che riceve dall’alto, dalla chiesa stessa (dalla neochiesa o contro-chiesa, a questo punto, non dalla vera Sposa di Cristo) l’autorità per farlo. Quando poi si dice che Padre David non poté mancare a questa "lotta cristiana" in difesa della libertà della coscienza cristiana, si dice un’assurdità e una contraddizione in termini: come è possibile che schierarsi per il divorzio e per l’aborto sia una lotta cristiana, sia pure fra virgolette, e che la libertà della coscienza cristiana consista in una simile scelta? Chi ha scritto queste parole, non sa letteralmente quel che sta dicendo; oppure si prende la libertà di fare del cristianesimo una cosa nuova e diversa da quella che tutti conosciamo, una cosa tutta sua, privata, come se io dicessi che il tavolo è un cavallo, attribuendo a questa parola un significato totalmente diverso da quello che universalmente le è attribuito. Molti esponenti del clero, come padre Balducci, erano dello stesso avviso? Tanto peggio per loro: erano fuori della Chiesa e fuori del cristianesimo anch’essi. Non è il numero, cari cattolici neomodernisti, che stabilisce cosa è vero e cosa è falso secondo il Vangelo, perché la Chiesa non è un’assemblea democratica dove si decide, e casomai si modifica, la dottrina, a colpi di maggioranza. Certo, questa è stata la tecnica adottata durante i lavori del Concilio: ed è per questo che mettiamo in dubbio l’ortodossia del Vaticano II. Ed è pure per questo che voi citate sempre il Vaticano II, ma non citate quasi mai gli altri venti concili, gli altri duecentosessanta papi e gli altri innumerevoli documenti del Magistero anteriori al 1962. Siete voi, cari cattolici progressisti, che avete spaccato la Chiesa in due: proprio come Lutero, che a voi piace tanto, portate la responsabilità storica di uno scisma; ne renderete conto non a noi, ma Dio. Padre David era convinto che la religione non può imporre a chi non crede, e che la fede è libertà tutti i campi? Ma questa idea di libertà è totalmente sbagliata e non cristiana: pare quasi che l’uomo sia libero di andare contro Dio. Questa è un’eresia e una bestemmia. Imporre agli altri la fede? Niente affatto: difendere un principio. La cosa è lecita perfino in un’ottica strettamente laica; come mai diventa una odiosa imposizione se è un cristiano a esercitare il diritto di esprimere ciò che ritiene giusto? Ecco i due pesi e le due misure: proprio come fa oggi il signore argentino. Se è un laico a dire o fare delle cose assolutamente contrarie alla morale cattolica, ha il diritto di dirle e farle, perché Dio non costringe nessuno; se è un cattolico a dire ciò che è bene e ciò che è male secondo il Vangelo, la sua è un’arrogante invasione di campo…
Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione