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Ma in che senso il cristiano non deve giudicare?

Da quel famoso, e malaugurato, Chi sono io per giudicare?, del signor Bergoglio, rilasciato per la gioia dei giornalisti sull’aero ad alta quota, come sua abitudine, la Chiesa cattolica è squassata da un vero e proprio tormentone: il cristiano non deve mai giudicare? Aveva ragione Caterina Caselli, che nessuno mi può giudicare, nemmeno tu? E, in tal caso, quel che ci hanno insegnato al catechismo, per secoli, generazione dopo generazione, era sbagliato? Perché ci hanno insegnato a giudicare, questo è certo: non fingiamo che le cose stiano altrimenti, non giriamoci attorno. Non ci hanno insegnato a giudicare il peccatore, nella sua persona fisica; ma il suo peccato, quello sì. E se le due cose sono inseparabili, e inevitabilmente lo sono, giudicare il peccato facendo finta che non ci sia nessuno a commetterlo, non è possibile, specialmente quando si tratta di un comportamento pubblico, che si svolge all’interno di una parrocchia e che è di scandalo a tutta la comunità. Questo, beninteso, se si è cristiani e si è cattolici; se invece si è relativisti, o scettici, o agnostici, o atei, non c’è nessun problema: si fa quel che si vuole. Ma se si è cristiani e cattolici, no; non si può fare quel che si vuole, per coerenza e per decenza. E il sacerdote non può far finta di nulla, non può dare la santa Comunione come se niente fosse: sarebbe la stessa cosa che gettare nell’immondizia il Corpo e il Sangue di Cristo. La Comunione non è solo per i santi, non è solo per i puri, ma certamente è per i riconciliati; per i peccatori pentiti che si sono riconciliati con Dio e che, almeno in quel momento, sono ritornati puri, perché hanno lasciato la macchia dei loro peccati dentro il confessionale. Niente pentimento, né proponimento di non più peccare, né riconciliazione: in tal caso, niente Comunione. In tali situazioni, voler separare arbitrariamente la persona del peccatore dal peccato che commette pubblicamente e senza vergogna, sarebbe una follia, oltre che una grande ipocrisia. Quando un cristiano della chiesa di Corinto ebbe la bella pensata di prendersi la moglie di suo padre more uxorio, san Paolo non rimase in silenzio, non finse di non vedere e non girò la testa dall’altra parte davanti all’enorme scandalo (1 Cor. 5, 1-13; 6-1-10):

Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore. Non è una bella cosa il vostro vanto. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.

Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolàtri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi!

V’è tra voi chi, avendo una questione con un altro, osa farsi giudicare dagli ingiusti anziché dai santi? O non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se è da voi che verrà giudicato il mondo, siete dunque indegni di giudizi di minima importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita! Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che possa far da arbitro tra fratello e fratello? No, anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli! E dire che è già per voi una sconfitta avere liti vicendevoli! Perché non subire piuttosto l’ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? Siete voi invece che commettete ingiustizia e rubate, e ciò ai fratelli! O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. 

I nuovissimi paladini del "non giudicare" si rifanno direttamente a una raccomandazione di Gesù Cristo, riportata in Mt, 7, 1-5: Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? ^4^O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Ma è lecito prenderla come una proibizione di giudicare, in presenza di un peccato conclamato? Non è forse vero che Gesù esorta a non giudicare le persone, come se ci si ritenesse migliori del proprio fratello? Tutta la sua vita pubblica reca testimonianza a una simile interpretazione. Agli uomini di Gerusalemme che volevano lapidare l’adultera, egli non disse: Non avete il diritto di giudicarla; ma disse: Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra! Sono due cose ben diverse: Gesù non ha mai detto che è sbagliato giudicare il peccato, tutto al contrario; ha perfino detto di strapparsi l’occhio che dà scandalo, e di tagliarsi la mano o il piede che danno scandalo; ma ha ricordato che non è cosa giusta riprendere il proprio fratello per la pagliuzza che ha nel suo occhio, quando si ha una trave nel proprio. E all’adultera, che le sue parole avevano sottratto alla lapidazione, perché nessuno ebbe il coraggio di scagliare la pietra per primo, non disse: Vai e fai quello che vuoi, segui la tua strada, va’ dove ti porta il cuore; ma disse: Vai in pace, e d’ora in avanti non peccare più. Anche queste, sono due cose completamente diverse. E i neoteologi e i neopreti che scusano e giustificano ormai quasi qualunque peccato, o si spingono perfino a sostenere che il peccati non è peccato, con la scusa del non giudicare, stanno falsificando deliberatamente la lettera e lo spirito del Vangelo; hanno la pretesa blasfema di arruolare Gesù nelle loro file, cioè nell’esercito dei pornoteologi e dei preti di strada i quali, essendo a contatto con gli ultimi, per mostrare quanto sono misericordiosi, autorizzano gli ultimi a far ciò che vogliono (da neomarxisti, quali in realtà sono, ce l’hanno solo coi ricchi, come se solo i ricchi siano peccatori).

Ma ecco che il teologo benedettino Salvatire A. Panimolle, più di trent’anni fa, apriva la strada agli odierni "cattolici non giudicanti", affermando, nel suo libro su Il discorso della montagna (Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1986, pp. 171-173):

La sesta sezione del Discorso della Montagna è aperta da un’esortazione di Gesù a non giudicare il proprio fratello, per non subire il giudizio divino (Mt 7, 1s) In realtà, continua il Maestro, chi è tutto proteso a rilevare le manchevolezze del prossimo, cade in uno stato di ipocrisia, perché diventa insensibile e cieco dinanzi ai suoi grossi difetti e gravi peccati (7,3-5).Però, conclude il profeta di Nazaret con una massima sapienziale alquanto enigmatica, in tale atteggiamento di carità non bisogna comportarsi da stupidi, ma bisogna essere oculati (7,6). Quest’ultimo loghion quindi sembra servire da correttivi per non interpretare in modo falso il pensiero di Gesù. Perciò il brano iniziale di questa sezione è formato da tre passi incentrati nella valutazione evangelicamente corretta, del prossimo.

a) Il divieto di giudicare

Il profeta di Nazaret s’introduce alla sesta sezione del Discorso della Montagna ammonendo severamente di non giudicare. (…) Paolo di Tarsi riecheggia questo insegnamento di Gesù, quando polemizza con il "cristiano "forte" che giudica e disprezza il fratello debole (Rm 14,3s); in verità, non bisogna giudicare prima della venuta del Signore, il giudice supremo (1 Cor, 4, 4s).Giacomo su tale argomento concorda con Paolo, perché ricorda che uno solo è il legislatore e il giudice, Dio; perciò il cristiano non deve giudicare il fratello (Gc 4,11 s).

In merito al problema della valutazione del prossimo bisogna rilevare che altrove Gesù esorta alla correzione fraterna, quindi ammette un giudizio sul peccato del prossimo (Mt 18,15ss). Evidentemente quet0ultim passo non può essere in contraddizione con il divieto del Discorso della Montagna (7, 1s) perché l’ammonimento riportato nel sermone ecclesiale ha per scopo la salvezza del fratello. In questo contesto infatti il profeta di Nazaret esorta la comunità a prendersi cura della pecora smarrita cioè del membro che pecca e si allontana dalla chiesa (18,12 ss). In tale luce, la correzione fraterna non deve essere considerata come una forma di giudizio, ma deve essere vista come un’espressione delle premure per il peccatore con il fine di guadagnarlo ossia di indurlo alla confessione, perché si salvi. La motivazione addotta da Gesù in Mt 7,1, nel proibire di giudicare il prossimo, possiamo chiamarla "ragione di convenienza": per non essere giudicato. Quindi chi si astiene dal giudicare il fratello, non subirà la condanna divina. (…)

b) La motivazione del divieto

In verità l’uomo nel’ultimo giorno sarà giudicato come egli ha trattato il suo fratello: "con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi" (7,2). (…)

c) La minaccia del giudizio finale

Perché il discepolo di Gesù non deve giudicare? Per evitare la condanna da parte di Dio, nel giorno del giudizio…

Dobbiamo francamente confessare di non aver compreso cosa voglia dire l’Autore con questo e altri simili discorsi. A parte il fastidio che si prova nell’udire un monaco benedettino che chiama Gesù Cristo, sistematicamente, il profeta di Nazaret, perché tale è l’appellativo che potrebbe dargli un non cristiano, per esempio un islamico, ma non è certo la maniera idonea per un cristiano di chiamare il Signore, ci pare che sarebbe stato assai più semplice mettere in chiaro, semplicemente, che il non giudicare si riferisce alle persone e non alle azioni, perché il cristiano, come egli del resto ammette, deve giudicare, e deve farlo su preciso comando di Gesù. Come potrebbe vivere da ristiano, se non sottoponesse a giudizio il male ed il bene, naturalmente in se stesso innanzitutto, ma poi anche negli altri? E a nulla giova ricordare che Gesù raccomanda di evitare il giudizio ipocrita; perché il fatto che esistano, e siano sempre esistiti, gli ipocriti, non è un argomento sufficiente per mettere in forse la legittimità del giudizio. L’Autore, del resto, non pretende di metterla in forse; però insiste così tanto sulla raccomandazione di Gesù a non giudicare, che dà, francamente, questa impressione. Anche sottolineare che la correzione fraterna deve avere di mira la salvezza della pecorella smarrita, è giusto: ma cosa si intende per correzione fraterna? Chi corregge, giudica; lo fa fraternamente: benissimo; ma dove è scritto che si devono prendere le cose con tale cautela e diplomazia da aver l’aria di scusarsi per ciò che si deve dire? Al contrario: se lo scopo è la salvezza del fratello, è necessario scuoterlo, anche con forza: tale è la vera correzione fraterna. Essa non vuol piacere agli uomini, ma a Dio; e non si salvano le anime se si evita di correggerle, anche energicamente, se necessario. Come dice san Paolo: questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore. È una pessima pedagogia quella che consiste nel chiedere agli uomini il minimo di cui sono capaci, perché essi tenderanno a fare meno del minimo; al contrario, bisogna chiedere loro il massimo, se si vuole che tirino fuori la loro parte migliore. Qualunque maestra elementare lo sa; e la Chiesa, nella sua millenaria saggezza, lo sapeva perfettamente. Poi è arrivata la pedagogia della misericordia, e la Chiesa s’è scordata questa semplice verità. Ma gli uomini, se non vengono severamente ammoniti, tendono ad adagiarsi nei loro peccati: ecco perché è necessario giudicare. Certo, non è una cosa che renda popolari; ma quando mai la Chiesa se n’è preoccupata? Essa non deve piacere al mondo, ma a Dio. Padre James Martin, per esempio, dice alle persone omosessuali: seguite la vostra strada, Dio vi ama così come siete. È un travisamento gravissimo del Vangelo. Dio ama tutti gli uomini, ma proprio per questo li vuole salvi; e dunque non li asseconda nel peccato, ma li esorta ad uscirne…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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