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Come si costruisce l’opinione delle masse

Oggi si parla molto, anche troppo, della teoria gender; si parla dell’autodeterminazione della propria identità sessuale; si parla della libertà di essere diversi, della bellezza dell’essere diversi, e si dice, zuccherosamente, che "l’amore è tutto". Dunque, una persona in buona fede, che non pretende di essere esperta di biologia, psicologia, sociologia, tuttologia, ma che possiede sufficiente umiltà per non partire all’assalto, lancia in resta, con il proprio paraocchi ideologico, ma desidera, semplicemente, capire un po’ meglio quel che si dice e quel che succede, ad esempio negli asili e nelle scuole elementari, dove ai bambini vengono somministrati corsi di "educazione sessuale" che sono, in realtà, cavalli di Troia per diffondere fra essi, del tutto ignari e inconsapevoli, appunto l’ideologia gender, questa persona, dicevamo, cerca di informarsi, di ascoltare chi ne sa di più. Può così accadere a questa ipotetica persona, desiderosa di formarsi una propria idea, senza lasciarsi fare il lavaggio del cervello preventivo, d’imbattersi, dopo una rapida ricerca in rete, in un paio di video, nei quali, per la par condicio, potrà ascoltare le due campane: per esempio, uno della professoressa Giorgia Brambilla e uno della professoressa Michela Marzano. E come, prima di leggere un libro, è buona norma sapere qualcosa circa l’autore, e leggersi qualche notizia a suo riguardo, per farsi un’idea di chi egli sia e di che cosa ci si possa aspettare dal suo libro (salvo, poi, verificare se effettivamente vi è concordanza fra ciò che quell’autore dice di essere, il mondo in cui si presenta, e le idee che troveremo espresse nelle sue pagine), così quella ipotetica persona andrà a vedere, su Google, chi siano queste due docenti.

Troverà subito un vasto materiale riguardante la Marzano, con tanto di voce su Wikipedia, diciamo di media lunghezza, nella quale, fra le altre cose, si viene informati che la detta professoressa, nata a Roma, vive a Parigi ed è presentata con ben quattro attribuzioni: filosofa, accademica, politica e saggista. Forse ne bastavano due, perché, oltre alla carriera politica, il fatto di essere "filosofa" (mi raccomando, al femminile) potrebbe comprendere il fatto di essere docente e anche il fatto di essere  saggista, anche se, tecnicamente, sono cose distinte. Si viene poi a sapere che era deputata in parlamento per il Partito Democratico, ma che ne è uscita per protesta, come del resto aveva annunciato, per il fatto che la legge sulle unioni civili è stata approvata senza la possibilità di adozione del figlio del partner di coppie omosessuali; e che per questo è passata nell’affollatissimo gruppo misto della Camera. Evidentemente, la residenza parigina non le impedisce di sentirsi necessaria alla vita politica italiana, e una analoga preoccupazione deve averla ispirata quando ha votato a favore del Rosatellum, la sciagurata legge elettorale, sulla quale gravano pesanti dubbi di incostituzionalità, che ha regalato all’Italia il risultato inconcludente del 4 marzo 2018. Dalla parigina università René Descartes la Nostra si adopera, per quanto può, a far passare nella arretrata e oscurantista società italiana le meravigliose novità laiciste e progressiste già molto avanzate nella società francese; nel frattempo, è ospite gradita nei migliori salotti televisivi, ad esempio quelli di Giovanni Floris e di Daria Bignardi, dove può propalare il suo verbo femminista e omosessualista a milioni di telespettatori.

Viceversa, la professoressa Brambilla non ha una sua voce su Wikipedia e per avere qualche notizia su di lei bisogna andare sul sito dell’Ateneo pontificio Regina apostolorum, dove è professoressa aggregata di bioetica. Perciò niente Quartiere Latino,  niente rive gauche, niente vita accademica internazionale, e neppure attività politica presso il parlamento della Repubblica. E niente inviti ai programmi televisivi di grande ascolto, con la possibilità di parlare, a un vasto pubblico, con tono oracolare: anche se qualche volta ci piacerebbe, perché, avendo letto una sua intervista a Elisabetta Frezza, ci è sembrato che ella abbia le idee chiare e una buona capacità di comunicare, il che farebbe da contraltare alle moltissime voci pro gender che si ascoltano, volenti o nolenti, in tv, con tanto di "uscite" in diretta, come quella della conduttrice Barbara D’Urso che polemizza fieramente con il nuovo ministro della Famiglia, Fontana, "reo" di aver detto che la famiglia, per lui, è formata da un uomo, una donna e dei bambini, tuonando che la vera è famiglia è quella in cui c’è l’amore. Invece, ascoltando il video di Giorgia Brambilla dedicato all’argomento omosessualità, postato dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli fin dall’ottobre 2016, scopriamo che le visualizzazioni sono stare finora 234.

Ecco, queste cifre, nella loro nudità, ci dicono tutto. Milioni di telespettatori per sentirsi dire che non conta essere uomo o donna, ma conta solo l’amore; e un paio di centinaia di persone che scelgono di ascoltare una persona, una esperta di bioetica, la quale dice che omosessuali non si nasce, e nemmeno si diventa. La sproporzione è ancora maggiore che fra Davide e Golia: non c’è partita, non c’è gioco. Milioni contro centinaia, a che serve discutere? E non si venga a dire che ciascuno riceve l’attenzione che merita, o, per essere più precisi, l’attenzione che meritano le sue idee. Certo, in teoria è così: ma è evidente che il clima culturale in cui siamo immersi, da un lato (e che non è un’entità metafisica: qualcuno lo ha creato, lo coltiva, lo incentiva, anche in senso finanziario e materiale) e, dall’altro, la disponibilità di mezzi di comunicazione, dall’altro, disponibilità che dipende da precisi dati di fatto di ordine politico, rendono il confronto insostenibile. In altre parole, non è vero che chi merita di essere ascoltato da milioni di persone ha delle idee migliori da diffondere, rispetto a chi viene ascoltato da duecento persone. Esiste una tecnica di condizionamento psicologico mediante la quale si può far sì che milioni di persone stiano ad ascoltare anche chi non ha nulla da dire, e che chi avrebbe molte cose da dire, non sia ascoltato da nessuno. Per essere ascoltati, bisogna essere conosciuti; e per essere conosciuti, bisogna possedere le conoscenze giuste, avere le entrature giuste, e, cosa più importante di tutte, dire ciò che piace alle masse, e non dire, assolutamente, ciò che riuscirebbe loro sgradito, anche se fosse la verità sacrosanta o anche se fosse, puramente e semplicemente, ciò che l’evidenza, il buon senso, i fatti, lasciano emergere in tutta chiarezza. Per esempio, la natura non ha dubbi: esistono due sessi, il maschile e il femminile; e quindi esiste una differenza sessuale, che non è affatto sinonimo di diseguaglianza, e tanto meno d’ingiustizia, ma, semplicemente, di diversità, diversità che è preziosa, perché basata sulla complementarietà fra il maschile e il femminile. È così che nascono i bambini, si diceva una volta (cioè prima dell’avvento di una scienza diabolica che riesce a far nascere i bambini senza un padre e, volendo, anche senza una madre).

Dunque, per asserire che per fare un bambino ci vogliono un padre e una madre, non c’è bisogno di chissà quali sottigliezze filosofiche: basta l’evidenza; e così, infatti, hanno sempre pensato e affermato gli esseri umani, dalla notte dei tempi fino a d oggi. Anzi, fino a ieri. Perché ieri sono arrivati i signori dell’ideologia gender, e hanno cominciato a dire che la differenza di genere è una disuguaglianza; che la disuguaglianza è una ingiustizia; e che bisogna rimediare ad essa, dando alle persone la possibilità di scegliere e decidere loro quel che vogliono essere, al di là del dato trascurabile di esser nati come membri del genere maschile o di quello femminile. Ora, la professoressa Brambilla dice queste cose, che non sono gradite alla cultura dominante, che non piacciono nei salotti televisivi e che hanno un suono orribile per tutto l’establishment politically correct: di conseguenza, attorno a lei c’è il vuoto, o peggio, perché immaginiamo che ogni volta che si azzarda a parlare, fuori del suo ateneo, dovrà vedersela con tante Babara D’Urso inferocite contro di lei, in nome dei sacri diritti delle famiglie arcobaleno. Risultato: le idee della professoressa Marzano fanno tendenza, quelle della professoressa Brambilla passano inosservate, o vengono sonoramente fischiate come retrogradi e oscurantiste. Se passerà la legge Scalfarotto, le costeranno anche qualche denuncia per il reato di omofobia. Qualcuno diceva, una volta, che il segreto della differenza fra il padrone e l’operaio è che il primo conosce 1.000 parole, il secondo ne conosce 100; oggi si potrebbe dire che il segreto della differenza fra chi partecipa al sistema di potere (con relativi emolumenti e privilegi) e chi ne è escluso, è che il primo può raggiungere sei milioni di telespettatori, il secondo arriva a raggiungere qualche centinaio di navigatori in rete. Berlusconi, che l’aveva capito per tempo, ha spadroneggiato per parecchi anni grazie al suo impero mediatico (che, sia detto fra parentesi ai molti italiani dalla memoria corta e dalla distrazione ancor più facile, è ancora tutto nelle sue mani, intatto e potenziato: sentiti ringraziamenti a Renzi e al Pd).

E tuttavia sarebbe semplicistico attribuire solo a questo il fatto che la cultura e l’informazione sono sempre più controllate e telecomandante; in parte ciò è dovuto al fatto che la cultura dominante, in questa fase storica, è espressione di chi mira alla distruzione di tutti i valori e di tutte le certezze, cioè all’impero del relativismo e dell’egoismo istituzionalizzato e questo riesce gradito alle masse, perché si è fatto in modo di convincerle che corrisponde a un loro diritto, il diritto alla libertà. Le masse sono nate in funzione di questo: non sono un soggetto sociale a sé stante, originario; sono una creazione della modernità e in particolare della cultura democratica. Il brodo di cultura delle masse sono state le gazzette inglesi e i cahiers francesi di protesta dei riformatori illuministi del XVIII secolo: anche in ciò siamo debitori a Londra, cioè alla massoneria inglese, e a Parigi, cioè ai philosophes, massoni essi pure, cantori delle meraviglie della modernità (e guarda caso, ancora oggi gli intellettuali engagées se ne vanno a insegnare alla Sorbona e intanto tengono un pied-a-terre nei loro miseri Paesi d’origine, alla periferia dell’Impero mondialista e finanziario, allo scopo di affrettarne il felice ingresso nella piena e soddisfatta modernità). Prima, non c’erano le masse; e quegli storici, in genere di tendenza marxista, i quali parlano delle "masse" dell’antica Roma, non fanno altro che prestare al mondo antico una categoria sociologica che appartiene esclusivamente alla modernità. A Roma non c’erano le "masse", c’erano gli schiavi e c’erano, un gradino più in su (ma, spesso, solo giuridicamente) i proletari che vivevano a spese dello Stato, a panem et circenses; ma né gli uni né gli altri erano "masse". La massa è l’insieme dei cittadini che hanno, o credono di avere, una opinione, e che cercano il modo di esprimerla, facendo valere dei diritti: senza sapere, poveretti, che è quanto il potere di aspetta da loro, ed è per questo che li sobilla e li fomenta, mandandoli poi all’assalto in prima fila, a beccarsi in faccia le eventuali fucilate delle Guardie Svizzere. In pratica, sono gli asini ammaestrati della propaganda che subiscono incessantemente, e che opera in loro un totale lavaggio del cervello. Le masse erano quelle che, a Parigi, si compiacevano di ammirare le teste mozzate dei nobili e delle gentildonne portate in giro sulla punta delle picche, nel 1789 e dintorni; sono masse anche quelle che, ai nostri giorni, si affollano ai Gay Pride (magari accompagnate dalle generose preghiere di qualche prete loro amico, preghiere non certo perché i sodomiti di convertano e cambino stile di vita, ma per debellare l’orrenda piaga dell’omofobia), formate non solo di omosessuali militanti, ma anche di "simpatizzanti" ideologici, accomunati dalla felice idea che la sodomia è una cosa magnifica, che le famiglie sodomitiche "non fanno del male a nessuno", e che volerne contrastare il radioso futuro equivale a un intollerabile atto di sopraffazione e discriminazione sociale e culturale. In breve: le masse sono la massa critica (ci si perdoni il bisticcio) con la quale chi esercita il potere — che è, sempre, quello finanziario – e che non necessariamente è al potere (in senso politico) vuol dare la spallata decisiva affinché abbia luogo un cambio di paradigma, ovviamente funzionale ai suoi interessi.

Ora, non è nell’interesse della élite finanziaria mondiale che la famiglia, la patria e la religione conservino la benché minima influenza nell’animo delle persone; al contrario, è desiderabile che esse vengano definitivamente estirpate. Il mezzo per distruggere il senso della famiglia è il riconoscimento ufficiale delle unioni sodomitiche, quelle che, secondo i giornalisti politicamente corretti, "non fanno male a nessuno"; il mezzo per distruggere il senso della patria, è l’internazionalismo edonista ed egoista: ciascuno va a vivere dove gli pare, e nessuno ha il diritto d’impedirglielo; il mezzo per distruggere il senso religioso non è l’ateismo imposto dall’alto (ci hanno già provato, e hanno sempre fallito), ma l’indifferentismo religioso, cioè l’idea che tutte le religioni sono "uguali", che tutte meritano la stessa libertà e la stessa tolleranza da parte dello Stato, perché in fondo si equivalgono. Ora, non c’è mezzo più sicuro per distruggere la vera religione, che equipararla a quelle false; già il fatto di parlare di religioni, al plurale, è una contraddizione logica, che nasce da questa volontà di appiattimento ideologico: sarebbe come affermare che, al mondo, esistono parecchie Sfingi d’Egitto, parecchie cascate del Niagara e parecchi monte Everest. Sarebbe come equiparare la religione a una moneta: ci sono il dollaro, l’euro, lo yen, il rublo, e così ci sono il cristianesimo, il giudaismo, l’islamismo, il buddismo. Una volta gettato questo seme, il passo successivo è pressoché certo: in una cultura relativista, le masse deducono che nessuna religione è vera, ma che tutte sono creazioni puramente umane: proprio come vuole l’élite finanziaria mondiale.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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