
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa…
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9 Marzo 2018Quel che dobbiamo imparare a fare, e dobbiamo impararlo presto, è nuotare come i salmoni, i quali sanno l’arte quasi incredibile di risalire la corrente dei fiumi. Non è certo cosa agevole nuotare controcorrente; e, infatti, il salmone è l’unico pesce d’acqua dolce che fa una cosa del genere; gli studiosi stanno ancora cercando di capire le ragioni di un tale comportamento. Quanto a noi, la ragione per cui dobbiamo imparare la sua tecnica è presto detta: noi siamo i pesci, e il mondo in cui viviamo è il fiume nel quale la sorte ci ha fatti nascere; il nostro tempo, è il tempo della modernità. Ora, la modernità corrisponde al tratto finale del corso del fiume: non sappiamo quanto manchi allo sbocco nel mare, ma la pendenza ormai è minima, e questo lo si deduce dalla estrema lentezza della corrente. Una società che non fa più figli, che si concentra sui matrimoni e le adozioni omosessuali e sull’eutanasia, e che importa milioni di stranieri per riempiere i vuoti delle mancate nascite, è una società che ha perso la spinta, che non crede in se stessa, che non ama la vita: che cerca la morte. Nello stesso tempo, questo è il punto d’arrivo, tutt’altro che casuale, di quella che con orgoglio davvero mal riposto, siamo soliti chiamare la "civiltà moderna", e che dovremmo chiamare, semmai, il primo e forse unico esempio, quasi perfettamente riuscito, di una radicale anti-civiltà: vale a dire di una "civiltà" all’incontrario, costruita dall’uomo, ma non per l’uomo, bensì per le basse passioni che lo muovono: lussuria, superbia, avidità.
Probabilmente per la prima volta nella storia, l’uomo si trova a vivere in un mondo che non è pensato, né fatto sulla sua misura; che non risponde ai suoi veri bisogni, alle sue autentiche necessità; che non tiene conto della sua reale natura: perché la natura dell’uomo reca impressa l’immagine di Dio e non è quella di vivere a imitazione delle bestie, cioè dedicandosi principalmente a soddisfare i suoi istinti animaleschi. Ne deriva che il tratto del fiume in cui ora ci troviamo è fortissimamente inquinato: l’acqua è densa, fangosa, quasi marrone, piena di sporcizie d’ogni sorta, e sempre più povera di ossigeno: molti pesci di altre specie sono già morti, e a noi resta una sola alternativa: o adattarci a vivere in condizioni sempre più degradate, sempre più innaturali, sempre più mostruose, oppure cambiare strada e risalire la corrente. Ecco perché si deve imparare a nuotare controcorrente: per uscire dall’acqua sudicia della modernità e ritrovare l’acqua pura del tratto iniziale del fiume. Quella in cui hanno vissuto i nostri antenati, i nostri nonni, i nostri padri: i quali, non a caso, erano più soddisfatti e più sereni di noi, anche se avevano tane comodità in meno e anche se la loro vita, a paragone della nostra, era molto dura, piena d’incognite e sacrifici. Non era, però, peggiore, al contrario: beninteso, a meno che noi consideriamo buona una vita allietata dalle cose esteriori, e cattiva una vita nella quale le cose esteriori contano relativamente poco. Si tratta di fare una scelta: si tratta di capire che cosa vogliamo dalla vita, a che cosa pensiamo che la vita sia destinata. Se è destinata ad accumulare beni, allora continuiamo pure così, avanziamo sempre di più nell’acqua scura e puzzolente della modernità. Se pensiamo che la vita ci sia stata data per realizzare noi stessi, ma in armonia con la nostra autentica natura, e quindi in armonia con Dio e con il prossimo, allora dobbiamo fare come i salmoni, e dobbiamo imparare a farlo in fretta, perché il tempo sta per scadere. Fra qualche anno, forse, l’acqua sarà talmente sporca che nessuna forma di vita sarà più possibile in essa, se non quella dei mostri e dei demoni: e almeno il pensiero che, in quel’ambiente infernale, dovranno vivere i nostri figli, dovrebbe indurci a un serio ripensamento delle nostre scelte e ad un radicale cambiamento di rotta, cosa che non sarà mai possibile senza un doveroso bagno di umiltà. Infatti, se siamo arrivati fino a questo punto, è stato essenzialmente per un peccato di superbia.
Nuotare controcorrente per risalire verso la sorgente del fiume equivale a ritornare verso il bene che abbiamo abbandonato, e lasciar cadere le colpevoli e funeste illusioni che ci hanno traviato. Dobbiamo lasciar cadere la zavorra della modernità, sbarazzarci dei suoi diabolici inganni, delle sue astute trappole, di tutto lo sterco che abbiamo scambiato per metallo prezioso. Dobbiamo purificarci: orribili incrostazioni di sporcizia si sono apprese alle nostre anime, e, non di rado, hanno contrassegnato i nostri corpi. La modernità è una malattia: se si vuol guarire da essa, bisogna sottoporsi a una cura radicale. Via la musica diabolica, la letteratura diabolica, l’arte diabolica; via l’abuso della tecnologia, sovente per le necessità più futili; via i passatempi che alimentano pigrizia, accidia e lussuria; via la ricerca esasperata del benessere materiale, della moda, della "tendenza"; via la schiavitù nei confronti delle cose, che ci toglie la nostra libertà intima e spirituale; via la costante preoccupazione del giudizio altrui, il ricatto del conformismo, sia nella vita di ogni giorno, sia nell’ambito culturale; via la pornografia, l’erotizzazione esasperata, la seduzione come stile di vita, la falsa teoria dell’uguaglianza fra i sessi, per non parlare delle perversioni erette a normalità; via il materialismo greve, l’utilitarismo sfrenato, il cinismo, lo scetticismo e il nichilismo che chiudono da ogni parte l’orizzonte e soffocano la nostra più vera essenza. Perché la nostra vera essenza è quella di creature fatte a immagine di Dio, che recano in se stesse la sua impronta luminosa, e che di Lui hanno bisogno, hanno nostalgia, come i salmoni hanno la nostalgia delle sorgenti. Questa è la vera natura dell’uomo, questo è il significato della sua vita: ritornare a Dio, completarsi in Dio, pacificarsi in Dio, realizzarsi in Dio, annullarsi in Dio, farsi tutto in Dio. Con Dio, l’uomo è tutto e la sua vita è pienamente riuscita; senza Dio, l’uomo è niente e la sua vita si risolve in un totale e doloroso fallimento.
Non si creda che spogliarsi dei vizi e delle sozzure della modernità sia una operazione puramente in negativo. Per ogni cattiva abitudine da cui ci si libera, si riscopre un tesoro prezioso che era stato dimenticato. Ci si sbarazza del pus, e tutto l’organismo comincia a rifiorire. Si riscopre ciò che è buono e bello per noi, per la nostra vera natura: la buona musica, la buona arte, la buona letteratura, il buon cinema, la buona filosofia, le buone e sane abitudini, compresa la buona tavola e il sano sport, e si abbandona ciò che è malsano, sporco, patologico. Ma, soprattutto, si riscoprono le cose più preziose: il silenzio, la contemplazione, la preghiera. È un percorso di purificazione, ma anche di gioia; di penitenza, ma anche di reintegrazione nella parte migliore di se stessi. È come riprender possesso delle stanze migliori del nostro palazzo, che avevamo disertato per ridurci a vivere nelle cantine buie e puzzolenti, in mezzo a un esercito di pantegane. In fondo, ci eravamo castigati da soli: mangiavamo pane andato a male e bevevamo acqua sporca, mentre avremmo avuto a disposizione cibi squisiti e bevande di eccellente qualità. La nostra intelligenza si era ottenebrata, eravamo caduti sotto l’effetto di un sortilegio: forze diaboliche ci avevano sedotto, ci avevano soggiogato, fino ad annullare la nostra volontà, a paralizzare la nostra facoltà di giudizio. Ma è tempo di rinsavire, per il nostro stesso bene e per la nostra sopravvivenza: abbiamo indugiato anche troppo nei nostri cupi e voluttuosi sogni di morte. Perché la civiltà moderna, dietro le apparenze scintillanti e seducenti, è una civiltà di morte. La soppressione dei nascituri e quella dei malati incurabili ne sono la prova provata. Una civiltà che ama la vita non si comporta così: ama e rispetta la vita, sempre; mentre gli ipocriti si scandalizzano perché un barcone strapieno di migranti si rovescia ed essi periscono in mare, ma non spende una lacrima, né ha una parola o un pensiero, per sei milioni di bambini italiani non nati, soppressi prima ancora di venire alla luce. E il signor Bergoglio, che corre a Lampedusa ed esclama: Vergogna!, mentre getta una corona di fiori sul mare della "strage" (quale strage, poi? se le parole hanno ancora un senso, non c’è stata alcuna strage), ma non parla mai degli aborti, è il principe dell’ipocrisia e della menzogna: è il principe di questo mondo di tenebra, che rifiuta l’amore di Dio, benché ardisca parlare nel suo nome.
Sarà difficile, sarà faticoso imparare a nuotare contro la corrente del fiume? Sì e no. All’inizio, senza dubbio, sì, perché la modernità è una malattia, ma è pur sempre una malattia piacevole, e non ci si libera tanto facilmente dalle cattive abitudini, quand’esse si ammantano di un’apparenza piacevole. La modernità fa leva proprio sul nostro io inferiore, sui nostri appetiti più bassi e meschini: in particolare, sull’egoismo insaziabile, sul narcisismo sfrenato, sulla incolmabile avidità di sempre nuove gratificazioni, materiali e affettive. L’io dell’uomo moderno è come un bambino viziato e capriccioso che non sopporta alcun limite e rifiuta qualunque proibizione, che vuol sentirsi dire sempre e solo di sì, che considera buono e bello solo ciò che asseconda i suoi desideri, anche i più disordinati, e come brutto e cattivo tutto ciò che vi si oppone. Se la crescita dell’uomo e la formazione della sua personalità morale sono rappresentate dall’educazione della volontà, intesa come capacità di fare delle scelte consapevoli fra ciò che è bene e ciò che è male, allora la civiltà moderna è realmente l’anticiviltà per antonomasia: essa benedice tutto quel che piace, santifica tutto quel che va a genio, proclama lecito, buono e naturale tutto ciò di cui l’io è ghiotto, senza alcun senso morale, senza alcuna percezione del limite, senza alcun riconoscimento della giustizia che deve reggere, di necessità, tutte le relazioni umane. In breve, la modernità è l’edificazione di un enorme, mostruoso feticcio, quello dell’io, al quale ogni altra cosa merita di essere sacrificata, come se fosse insignificante o addirittura nociva. Il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, la coscienza del peccato: tutte queste cose sono sue nemiche mortali, ed essa le tratta come tali, le combatte senza quartiere, ed è quasi riuscita a farle sparire dall’orizzonte esistenziale degli uomini d’oggi. Un esempio fra tutti: l’aborto volontario. La cultura moderna è riuscita a far passare l’idea che l’interruzione volontaria della gravidanza sia esclusivamente una questione di libertà e di autodeterminazione della donna, e che chiunque non sia d’accordo con una siffatta impostazione non può essere che un nemico della donna, quindi — il femminismo essendo parte integrante della modernità – un nemico in generale, un Nemico della società e della civiltà, meritevole di essere spazzato via, sepolto sotto una montagna di disprezzo e, alla fine, cancellato nell’oblio.
Ma quello che indichiamo è un cammino per tutti, un percorso accessibile a chiunque? La mentalità democratica, tipico frutto della civiltà moderna, ha creato molte false aspettative e una sostanziale falsificazione della giusta prospettiva, in questo ambito come in molti altri. In teoria, sì, è un cammino accessibile a chiunque abbia la sincera volontà d’intraprenderlo; in pratica, non diremo che è per pochi, ma che non è per alcuno, umanamente parlando. Chi lo vuole intraprendere da solo, finisce come lo Zarathustra di Nietzsche: perde la giusta misura di se stesso e del mondo e va fuori di senno. Pertanto, se non avessimo a disposizione altre risorse che quelle puramente umane, dovremmo rassegnarci: sarebbe come voler scalare una parete di sesto grado senza disporre né di scarponi adatti, né di corde, chiodi e moschettoni, e neppure della preparazione atletica minima per andare in montagna, per non parlare di quella tecnica. Sarebbe una follia, una pretesa assurdamente velleitaria — il che è tipico della mentalità democratica, secondo la quale, siccome tutti hanno diritto a tutto, non si vede perché tutti non potrebbero imparare a risalire la corrente del fiume, posto (beninteso) che mai lo volessero, il che è altamente improbabile. Ma le risorse umane sono limitate, le forze di cui l’uomo dispone naturalmente sono quelle che sono: fragili e imperfette. Alla fine nessuno riuscirà mai a liberarsi dalla pestilenza della modernità e a ritornare ad un sistema di vita purificato, senza l’aiuto divino. Solo chiedendo il soccorso di Dio possiamo sperare di risalire la corrente, di imparare a nuotare verso la sorgente dalla quale ci eravamo allontanati. Non è cosa che potremmo fare da soli: né l’intelligenza, né la volontà proprie dell’uomo sono sufficienti per compiere una impresa di tali proporzioni. Questa è la prima cosa da mettere in chiaro; e del resto è cosa evidente, o almeno dovrebbe esserlo, se la pazzia razionale non fosse ormai divenuta la forma mentis universale della modernità. Come potrebbe l’uomo ritornare a Dio, senza l’assistenza di Dio? Se mai volesse far da solo, l’uomo non troverebbe Dio, ma una sua controfigura: troverebbe qualche idolo da adorare, e la sua schiavitù sarebbe ancor peggiore di prima.
La seconda cosa da mettere in chiaro è che risalire la corrente della modernità è solo la prima parte del programma. È una fase necessaria, perché, senza di essa, l’uomo finirà per morire nell’acqua sempre più stagnante e velenosa di questa corrente torbida, limacciosa, funerea. Ma non basta: bisogna andare ancora oltre. Bisogna spogliarsi interamente della vecchia natura e delle vecchie abitudini, rinascere a qualcosa d’altro, all’uomo nuovo di cui parla san Paolo. Sempre con l’aiuto dello Spirito Santo, mai contando solo sulle forze umane. A quel punto, e solo a quel punto, sarà anche possibile ritornare indietro, verso valle: dopotutto, il destino dei fiumi è quello di riversarsi nella pace del mare. A quel punto, e solo a quel punto, noi potremo nuotare nella corrente della modernità senza restarne intossicati: e potremo persino fare uso, un uso saggio e moderato, delle poche cose buone che la civiltà moderna ha creato, ignorando il resto. Saremo sempre, comunque, qui e oltre: perché tale è il destino dell’uomo: vivere nel mondo, ma proteso verso la patria celeste…
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