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La Chiesa deve tornare a parlare della purezza

Perché la Chiesa ha praticamente smesso di parlare della purezza? Perché i vescovi e i sacerdoti, perché i teologi parlano sempre e solo dei migranti, dell’accoglienza, della solidarietà, dell’inclusione, della misericordia, e mai della purezza? La purezza non è più una priorità nella dottrina morale cattolica, non è più all’ordine del giorno? Evidentemente, no. E per quale ragione? Facile rispondere: perché in una società sprofondata nella lussuria, un simile argomento susciterebbe fastidio, irritazione, farebbe perdere consensi; e la neochiesa vuol piacere agli uomini, mentre non si preoccupa affatto di piacere a Dio. Il suo motto è: parlare di tutto ciò che piace al mondo, di tutto ciò che vellica gli appetiti del mondo, di tutto ciò che incontra l’approvazione del mondo, e tacere rigorosamente su tutto ciò che potrebbe dispiacere. Ufficialmente, la motivazione è un’altra, si capisce: quella di unire, di integrare, di includere, di non creare divisioni. Stranissimo modo di ragionare: le divisioni che si devono assolutamente evitare, sono quelle nei confronti di chi non è cattolico, di chi non crede nella dottrina cattolica, di chi, nei fatti, rifiuta il Vangelo (vedi Famiglia Cristiana che mette in copertina Laura Bodrini e la proclama donna dell’anno, e vedi i neopreti che invitano Emma Bonino a parlare nelle chiese d’Italia); ma se un tal modo di agire provoca divisioni all’interno dei cattolici, se provoca una frattura nella Chiesa stessa, perché vi sono anche i cattolici che non accettano un simile ribaltamento del Vangelo, allora pazienza, questo non è certo un motivo di preoccupazione. Non se ne preoccupa Bergoglio. Non se ne dà pensiero Enzo Bianchi; Sosa Abscal se ne infischia allegramente; Paglia e Galantino, poi, pare che ci prendano gusto a offendere, scandalizzare, deridere e far indignare i cattolici veri, quelli che non tollerano lo snaturamento in atto, il semaforo verde alla licenza morale, alla fornicazione in tutte le sue forme, perfino alle unioni omosessuali contrabbandate per qualcosa che rientra nei diritti dell’uomo, nella libertà dell’uomo, e quindi in qualcosa che la Chiesa deve accettare, altrimenti sarebbe crudele, sarebbe insensibile, sarebbe poco misericordiosa verso quei fratelli e quelle sorelle i quali hanno un diverso "orientamento sessuale", come oggi si dice, seguendo pedissequamente perfino il vocabolario insegnato dalle agenzie dell’ideologia gender: perché chi controlla ed impone le parole, controlla ed impone, presto o tardi, anche le idee. Una volta si diceva "invertiti", oppure si diceva "sodomiti", ed era chiaro il concetto che si trattava di quanti inclinano ad un vizio contro natura, condannato dalla Chiesa; ma se si parla di "orientamento sessuale", anzi, di "orientamenti", al plurale, allora diventa chiaro che è qualcosa di perfettamente naturale e di assolutamente lecito, del resto chi sono io per giudicare?, dice il falso papa Bergoglio in persona, e allora figuriamoci chi siano noi, semplici cattolici laici.

Del resto, c’è un altro motivo, indicibile perché turpe ed ignobile, che ci aiuta a comprendere questo improvviso lassismo, questo improvviso permissivismo, questo improvviso spostarsi su posizioni di larghe vedute in fatto di sesso e di lussuria, da parte di una Chiesa che, fino a non molti anni fa, pareva addirittura ossessionata dal sesso (quello naturale, cioè fra uomo e donna), al punto da avere inculcato in alcune generazioni di cattolici l’idea che le relazioni sessuali sono qualcosa, se non di sporco, di molto, molto pericoloso e potenzialmente peccaminoso. Non volevamo arrenderci davanti a una così elementare deduzione, ma abbiamo finito per arrenderci all’evidenza: la neochiesa oggi predica non solo la tolleranza, ma anche la piena accettazione della lussuria e degli appetiti più disordinati, come nel caso di James Martin e di suor Teresa Forcades, che si è detta favorevole anche alle adozioni di bambini da parte di coppie gay (e si noti l’uso, ormai comune, del termine "gay", che, alla lettera, significa "allegro", da parte del neoclero), per la semplicissima ragione che, a un certo punto, si è resa conta di essere un vero e proprio ricettacolo di invertiti e depravati sessuali. Da don Andrea Contin, che faceva il parroco portandosi a letto, in spericolate relazioni sadomaso, con tanto di filmini porno e amici voyeuristi, preti pure loro, decine di donne del suo gregge, al segretario del cardiale Coccopalmerio, monsignor Luigi Capozzi, che si fa beccare con le mani nel sacco nel bel mezzo di orge gay con uso abbondante di cocaina, la triste, squallidissima realtà è proprio questa: che una chiesa siffatta è praticamente obbligata a sdoganare la lussuria e l’omosessualità, perché, altrimenti, dovrebbe condannare se stessa ed imporsi un’operazione di pulizia generale che essa, a quanto pare, non ha alcuna intenzione di compiere. Molto più semplice dire, come fa monsignor Galantino, che Dio non ha distrutto Sodoma, ma l’ha risparmiata, falsificando la Bibbia; e molto più carino, come ha fatto monsignor Paglia, far celebrare la sodomia e altri vizi sessuali in un enorme affresco, con Cristo "redentore" (ma di cosa?) al centro, nel duomo della sua diocesi; e molto più semplice, dire come il gesuita James Martin, che molto santi erano gay, o, come padre Gregory Greiten, che si può benissimo essere preti e omosessuali felici e contenti.

Una simile chiesa-immondezzaio non potrebbe certo mettersi a parlare della purezza o farne l’elogio: si esporrebbe troppo palesemente alla critica d’incoerenza e d’ipocrisia. Meglio dichiarare che il vizio non è vizio; che il peccato non è più peccato; che la perversione è cosa buona e naturale, e che gli stessi Sacramenti possono essere profanati (vedi l’esortazione Amoris laetitia, capitolo ottavo) da persone che si trovano in stato di peccato mortale e che non hanno la benché minima intenzione di mettersi a posto di fronte al buon Dio. Del resto, perché dovrebbero mettersi a posto, se sono già a posto? Se la loro coscienza morale dice loro che sono nel giusto, e che Dio non si aspetta affatto un cambiamento di vita da parte loro, al contrario, che Dio si aspetta da loro proprio quello che stanno facendo: continuare a peccare, a vivere in stato di adulterio, e intanto comunicarsi col Santissimo Sacramento, come se fosse la cosa più logica e normale di questo mondo? Suvvia, siamo cattolici moderni, adulti ed emancipati, sì o no? E dunque, che cosa sono queste fisime del passato, questo senso del peccato anche di fronte a situazioni che, nella loro complessità, come dice sempre Bergoglio, devono essere capite, rispettate, e, tutt’al più, "accompagnate" dai sacerdoti? Sono passati i tempi in cui l’arcigno confessore negava l’assoluzione al peccatore che rifiutava di emendarsi dal suo peccato; ora è arrivata la misericordia di Francesco, ora c’è la chiesa di Francesco, ora c’è Francesco che capisce, che accetta, che accoglie, che include, che benedice, che rassicura, che perdona, insomma che fa tutto al posto di Gesù Cristo, meglio (diciamo la verità) di Gesù Cristo, perché è più buono, perdona più facilmente, capisce di più certe situazioni, insomma è un uomo di mondo, amico di massoni e radicali, uno che bacia il Corano e si mette in testa la kippah per far vedere quanto va d’accordo con rabbini ed imam e quanto sono vere e buone e belle tutte le religioni, specie l’islam e il giudaismo. Invece il cattolicesimo, se non farà un serio sforzo per rinnovarsi, rimarrà inesorabilmente confinato nelle cantine polverose, roba da mummie, come dice sempre, con brillante lepidezza e con amabile spirito faceto, il signor Bergoglio, dall’ambone di Santa Marta e anche da tanti altri microfoni, compresi quelli sugli aerei, a diecimila metri d’altezza e oltre, situazioni nelle quali è particolarmente ispirato e "francescano", e perfino capace di celebrare un matrimonio in quattro e quattr’otto: detto e fatto, e un uomo e una donna, che convivevano da molti anni senza essere sposati, lui li mette perfettamente a posto di fronte al buon Dio; ma quale penitenza, ma quale rincrescimento per aver tardato tanto, no, solamente sorrisi, compimenti e strette di mano.

E invece no.

La Chiesa, la vera Chiesa di Gesù Cristo, non può né tollerare la sporcizia, né permettersi il lusso di non parlare più della purezza, di non additare più la purezza, specialmente ai giovani, come un valore fondamentale: in quanto esseri umani, in quanto cittadini di una società ordinata, o che dovrebbe essere tale, e in quanto membri della Chiesa cattolica, che non è un club dove sono lecite tutte le opinioni, ma il Corpo mistico di Cristo, un riflesso del suo Vangelo, una anticipazione del suo Regno futuro. In questa Chiesa, che è la vera Sposa di Gesù Cristo, non può esserci posto per gli Andrea Contin o i Luigi Capozzi, ma nemmeno per le suore come Teresa Forcades o come il gesuita James Martin. Non stiamo proponendo delle liste di proscrizione, non stiamo suggerendo che i loro superiori dovrebbero cacciarli a pedate nel sedere, per lo scandalo che danno, gli uni con la loro vita dissoluta, gli altri con le loro teorie permissive e totalmente eretiche. Non c’è alcun bisogno di cacciarli, perché costoro sono già fuori dalla vera Chiesa di Cristo. Per dir meglio: non sono mai stati dentro. E questa non è una nostra opinione personale: questo è quanto dice il Vangelo; quanto dice la vita di Gesù Cristo; quanto ha sempre insegnato il Magistero ecclesiastico, custodendo fedelmente il Deposito delle fede, nell’arco di millenovecento anni. Gesù non ha mai respinto i peccatori, ma non li ha neppure illusi che il peccato non sia il peccato; e non li ha mai illusi che la conseguenza del peccato non sia la dannazione eterna. Gesù si accompagnava ai peccatori, ma per convertirli e ricondurli sulla retta via; si accompagnava con loro, non li accompagnava nei loro peccati, che è cosa ben diversa. All’adultera disse: Vai, e d’ora in avanti non peccare più. Ma Gesù, cosa volete, nessuno è perfetto, aveva anche Lui qualche limite: non capiva a sufficienza la complessità delle situazioni, aveva la tendenza — horribile dictu — a giudicare: vi dico che quel peccato non sarà perdonato. Una volta disse perfino, figuriamoci, che i seminatori di scandali farebbero meglio a legarsi una pietra al collo e gettarsi nel mare. Eh, via: un po’ troppo crudo, un po’ troppo brusco, non è vero? Ed eccoci arrivati, necessariamente, inevitabilmente, al bivio: o si sta con Gesù Cristo, e si accetta il suo Vangelo, e si vive della sua Parola, oppure si sta col signor Bergoglio e la sua chiesa, con Paglia e Galantino, con Sosa e Martin, e con tutte le suor Forcades e le suor Lucia Cram (quest’ultima divenuta "celebre" per aver detto che Maria e Giuseppe facevano sesso come tutte le coppie "normali") di questo mondo), con La Civiltà Cattolica che esalta il film prediletto di Bergoglio, Il pranzo di Babette, una contro-ultima cena senza Cristo e senza Eucarestia, e con Famiglia Cristiana che mette in copertina Laura Boldrini, Enzo Bianchi (falso prete e falso teologo), Matteo Renzi (quello sì che è un vero cattolico; vuoi mettere con quel cialtrone di Salvini, che mostra il Vangelo e pure il Rosario nei suoi comizi elettorali) e il prete eritreo Mussie Zerai, il migliore amico degli scafisti, chiamandolo "un nuovo Mosè che salva il suo popolo dalle acque" (a spese dell’Italia e non certo del Vaticano, ma questo è un dettaglio e a chi volete che importi; intanto la neochiesa chiede l’otto per mille ai contribuenti, sostenendo di farsi in quattro per aiutare i bisognosi).

Ora, se si decide di stare con la Chiesa di Gesù e nella Chiesa di Gesù, certo si dispiace al mondo, ma si fa, o almeno si tenta di fare, con il suo aiuto e con la sua grazia santificante, la sua volontà. E a quel punto tornare a parlare della purezza è necessario, è indispensabile: perché gran parte dei mali che affliggono sia la Chiesa, sia la società tutta, viene proprio dal dilagare della lussuria, peraltro scientificamente "pilotata" dall’alto, al preciso scopo di distruggere le famiglie, disgregare le relazioni stabili, disorientare e traviare soprattutto i giovani. La Chiesa, quella vera, e il clero, quello vero, perché ci sono ancora tanti bravi sacerdoti e religiosi, deve tornare a parlare di santa Margherita da Cortona, di Laura Vicuña e di Maria Goretti; deve tornare a parlare del curato d’Ars e di san Pio da Pietrelcina e di tutti i Santi e le Sante che hanno vissuto in purezza e hanno predicato la purezza; e lasciamo che a trovare il loro amico Bergoglio ci vadano la signora Boldrini con le ciabatte aperte (la stessa che si affretta a coprirsi i capelli con il velo, se deve parlare con un capo islamico) o la "teologa" Emilce Cuda, vestita come una majorette e i tacchi a spillo; e lasciamo che i preti gay-friendly costruiscano un Presepio con degli uomini nudi davanti alla sacra Famiglia, a simboleggiare la liberazione omosessuale; e che Famiglia Cristiana o Madre si riempiano di servizi e di pubblicità con foto di donne in bikini. Che costoro facciano a modo loro; i veri cattolici seguono un’altra strada. E le vere insegnanti di religione cattolica non si presentano in classe tutte truccate e tirate a lucido secondo l’ultimo grido della moda; e le vere cattoliche e i veri cattolici non si presentano in chiesa, e davanti all’Eucarestia, in tenuta da spiaggia, gambe e braccia scoperte, ma con quella modestia e quel pudore che si addicono a dei cattolici sempre, e in un luogo sacro più che mai. E lasciamo che gli altri, e i neopreti e i neoteologi più forte di tutti, ci accusino di essere dei retrogradi, dei bigotti, dei baciapile: dicano pure; da loro, sono altrettanti complimenti e attestati di serietà e coerenza. Del resto, sappiamo che sono solo dei miseri conformisti: fondamentalmente, gli stessi che esageravano, qualche anno fa, parlando dei peccati del sesso (quello secondo natura, cosa non indifferente) come se fossero i più gravi di tutti, e che ora caldeggiano i matrimoni gay in chiesa, con relative adozioni di bambini. Sguazzino pure nel fango. Noi non ci riteniamo migliori, se non per una cosa: sappiamo che la natura umana è fragile, e perciò invochiamo l’aiuto di Cristo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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