
Nessuna paura
16 Febbraio 2018
Vi accuso di spregevole tradimento
16 Febbraio 2018Ci siamo interrogati a lungo su che cosa possa aver prodotto l’imponente fenomeno culturale che è sotto gli occhi di tutti: un vasto settore del clero cattolico che non si sente più italiano, che se ne frega di quel che pensa la maggioranza degli italiani, del loro disagio, della loro legittima e sacrosanta preoccupazione, e che ha occhi, orecchi e soprattutto cuore solo per i cosiddetti migranti, per i falsi profughi, dei quali è pronto a scusare e giustificare ogni atto di delinquenza, ogni comportamento prepotente e incivile, perché, poverini, sono dei disperati che fuggono da guerra e fame, anche se non è vero niente, è una favola creata da Soros & Bergoglio, basta guardarli, tutti maschi giovani e sani come pesci, niente affatto denutriti, niente affatto feriti dalle granate, che hanno lasciato indietro, vigliaccamente, le madri, le le fidanzate, i bambini e i vecchi. Altro che il pius Aeneas, che fuggì da Troia in fiamme portando sulle spalle il vecchio padre, Anchise, e tenendo stretto per mano il figlioletto Ascanio; e che, quando si accorse che la diletta sposa Creusa non era più con loro, tornò indietro, ripercorse le strade già invase dal nemico, rischiò cento vole la vita nel vano tentativo di ritrovarla. Questi non si sono fatti alcuno scrupolo di piantare le famiglie nel bisogno e nel pericolo, se è vero che si trovavano nel bisogno e nel pericolo; ma è evidente che non è così, basta guardare i luoghi di provenienza: gli spacciatori nigeriani vengono da una zona tranquilla di quel Paese, dove non ci sono né guerre, né terrorismo, né carestie: e allora, come la mettiamo?
Però il neoclero progressista non demorde, non si arrende: continua a ripetere, come un mantra, la favola bella e commovente dei disperati in fuga da guerra e fame, che noi dobbiamo accogliere, che noi dobbiamo ospitare, che noi dobbiamo amare, che noi dobbiamo integrare (come se loro lo desiderassero…), che noi dobbiamo vedere come se fossero degli angeli mandatici incontro dal Signore Iddio: parola di monsignor Lauro Tisi, arcivescovo di Trento, bergogliano d.o.c. e tipico esponente di questo neoclero che ad altro non pensa se non ai diritti, veri o presunti, di questo esercito d’invasori islamici camuffati slealmente da profughi, i quali forzano i nostri confini, ogni giorno, spacciandosi per scampati a terribili persecuzioni, e che fanno leva sul nostro buon cuore e sul senso di colpa, che proprio il clero progressista, insieme a una schiera d’intellettuali di sinistra, da molti anni si è fatto un dovere d’instillarci, asserendo che, se l’Africa è povera, se il terzo Mondo è povero, disperatamente povero, ciò accade perché è sfruttato dalle nostre multinazionali, e quindi (sic: qui la logica zoppica alquanto, ma che importa; costoro sono teologi della pancia e sociologi del sentimento, non persone capaci di un pensiero razionale) che noi siamo corresponsabili, siamo colpevoli a nostra volta, e ora dobbiamo rimediare, dobbiamo riparare, per esempio offrendo case, alberghi, tutto quel che serve a questa gente affinché s’installi il più comodamente possibile in Italia. Né mancano i casi limite, i casi paradigmatici, come quello del professore di Treviso che, dopo aver ospitato per anni sei "profughi" in casa sua, ora se n’è andato via con la moglie, ospite di uno di codesti peti progressisti, per lasciare la casa tutta intera ai suoi giovani ospiti di colore, e ciò pur avendo, il professore, quattro figli suoi. La valenza pedagogica di atti come questo rimane, peraltro, misteriosa: in virtù di quali meriti, di quali sacrifici, di quali atti suscettibili di essere premiati, quei sei giovanotti si son visti regalare l’uso di una casa che, se non è spuntata come i funghi in una notte, deve essere costata anni di lavoro, di sacrifici, di rinunce? E’ per insegnare quale principio morale che quei giovani, che non hanno mai lavorato, che non hanno fatto nulla per questo paese, se non premiare il fatto di presentarsi da clandestini e di pretendere accoglienza, che ora si vedono premiati con una casa, la quale, per milioni di italiani poveri o impoveriti dalla crisi, resta al di là della barriera dei sogni, pur con tutta la buona volontà e la voglia di lavorare di questo mondo?
Ma torniamo alla domanda iniziale. Molti preti progressisti ritengono giusto e doveroso vedere in qualsiasi straniero, e quanto più straniero, quanto più scuro di pelle, tanto meglio (un vero e proprio razzismo alla rovescia) dei fratelli, degli angeli, dei santi, e vedono, invece, in quegli italiani che non sono d’accordo con questa invasione mascherata e si preoccupano per la nostra identità, per la nostra civiltà, per la nostra religione, per il futuro dei nostri figli, dei nemici veri e propri. Ecco cosa c’è scritto, per esempio, sulla porta della canonica di Vicofaro, provincia di Pistoia, dove il parroco, don Massimo Biancalani, da tempo ospita una comunità di "rifugiati": VIETATO L’INGRESSO AI RAZZISTI. Poi, non contento, la scorsa estate ha postato delle immagini dei suoi giovani e baldi negri che sguazzano in piscina, perché, poverini, loro non sono abituati al gran caldo che fa in Europa (si vede che ci sono abituati i pensionati italiani poveri che non possono permettersi, non diciamo la piscina, ma neanche l’aria condizionata), e, per buona misura, ha accompagnato le gioiose fotografie con questa scritta: E oggi… piscina! Loro sono la mia patria, i razzisti e i fascisti i miei nemici!
In queste poche righe c’è tutto un concentrato, un intero universo di deriva teologica e pastorale della neochiesa: in un certo senso, sono preziose, perché recano una testimonianza che aiuta a capire i meccanismi psicologici e culturali che stanno alla base di simili atteggiamenti. Dunque: don Biancalani dichiara di non avere patria; o meglio, dichiara che la sua patria sono i giovani negri ospiti della sua comunità. Subito dopo dichiara che i razzisti e i fascisti sono i suoi nemici, e questa è la parte davvero notevole. I razzisti, a quel che è dato di capire, sono tutti gli italiani ai quali non appare così chiaro per quale ragione l’Italia debba essere invasa e sommersa da milioni di africani e altri stranieri, provenienti da civiltà del tutto aliene alla nostra (altro discorso è, ad esempio, per gli europei dell’Est). Quanto ai fascisti, costui non s’è accorto, ma si trova in buonissima compagnia, che il fascismo è morto da settant’anni, e che quanti ne parlano come se fosse vivo, lo fanno perché hanno bisogno di qualcuno da odiare, qualcuno da zittire, qualcuno da insultare. In ogni caso, sia i "razzisti" che i "fascisti", nell’ottica di don Biancalani, sono italiani. Conclusione: i miei fratelli non sono gli italiani, a meno che la pensino come me; gli altri, quelli che dissentono, sono miei nemici. Esatto, proprio così: miei nemici. E già è triste sentire un italiano che parla così di altri italiani: si sente odore di guerra civile, si sente il gusto del sangue che deve scorrere. Ma se a dire così, poi, è un prete, un sacerdote cattolico, la cosa diventa ancor più triste: ma come! un prete che sa odiare con tanta facilità e disinvoltura? Questo non è il linguaggio della Chiesa; è il linguaggio di Marx; neppure: è il linguaggio di Lenin, di Stalin, dei rivoluzionari marxisti più estremisti e sanguinari. Oppure, se si vuole, è il linguaggio dei sanculotti, il linguaggio degli enragés del 1793: quelli che se ne andavano per le strade di Parigi recando le teste dei ghigliottinati in cima ad una picca, per proclamare quanto sono belle la liberté, la fraternité e l’egalité. Ma, si dirà, il cattolico deve odiare il male, deve odiare il peccato. Certo. Però, oltre al non trascurabile dettaglio che è tutto da dimostrare che non essere d’accordo con l’invasione dell’Italia equivalga ad un peccato, resta il fatto che una cosa è il peccato, altra cosa è il peccatore. E se Bergoglio, in quella famigerata intervista, ha detto: Chi sono io per giudicare?, non ci risulta che Gesù Cristo abbia mai detto: Odiate i vostri nemici; tutto al contrario, ha detto: Amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi odiano e che vi perseguitano. Ma don Biancalani non è della scuderia di Gesù Cristo; è della scuderia di Stalin. A lui non importano le anime dei suoi parrocchiani (pazienza che non g’importino le opinioni dei suoi connazionali), a lui importa solo il benessere dei "suoi" negri, e portarseli in piscina quando fa caldo. Benissimo.
Ora molti ricorderanno che, un bel giorno, o un brutto giorno, uno di quei ragazzi venne beccato dalle forze dell’ordine a spacciare droga nei giardinetti cittadini. Interpellato sull’episodio, il buon prete misericordioso e progressista si affrettò a dir la sua: che le espulsioni non servono a nulla: e si trattava, allora, nemmeno di espulsione, ma di trasferimento del disgraziato in un’altro centro di accoglienza. Di porgere le scuse alla comunità, agli italiani, perché uno dei suoi ragazzi, per i quali lui personalmente s’era impegnato a garantire il buon comportamento, andava per le strade a delinquere, nemmeno l’ombra. L’arroganza di questi preti è tale che non li sfiora neppure l’idea che, in casi simili, il minimo che si possa fare è domandare scusa. No, ma quando mai: loro sono sempre in credito; loro sono sempre in cattedra; loro sono moralmente migliori di chiunque altro, e nessuno può fare la predica a loro, mai, per nessuna ragione al mondo, ma sempre e solo loro, agli altri, specie ai razzisti e ai fascisti. Poi aggiunse che, quel ragazzo, lui lo aveva già preso a calci del sedere, come se la partita fosse unicamente fra loro due, e non ci fossero, per esempio, i padri e le madri dei ragazzi che vanno a comperare la droga dalla mafia nigeriana, per conto della quale il baldo ragazzotto, nigeriano pure lui, si era messo a spacciare, in attesa che l’Italia gli riconoscesse lo status di rifugiato, così, tanto per ringraziare dell’ospitalità e per far sapere quale cittadino modello sarà, una volta che quel permesso gli verrà accordato. E anche qui ci pare che i conti non tornino. Perché costoro, qualunque atto criminale compiano, sono sempre scusati; qualunque provvedimento contro quelli di loro che infrangono le leggi e che creano danno e pericolo per la società, "non serve", "è inutile", "è controproducente": Però non abbiamo mai visto tanta sollecitudine per le vecchiette che si facevano pescare a rubare pane e formaggio al tempo della crisi, del pensionato che veniva pizzicato a nascondere in tasca una confezione di prosciutto e che il padrone del supermercato aveva cuore di denunciare alla polizia. Per quella vecchietta e per quel pensionato, e stiamo parlando di fatti estremamente reali, accaduti a decine e centinaia negli ultimi anni, specie fra il 2011 e il 2013, nessuno Biancalani si è eretto a difensore; nessun prete progressista ha spezzato una lancia in loro favore: quanto a portarseli in piscina, poi…
Resta da capire da dove i neopreti progressisti e migrazionisti hanno appreso il loro modo di sentire e di pensare, perché non pensiamo che tutti quanti fossero lettori di Marx, Engels e Che Guevara, anche se è un fatto – poco noto e pochissimo studiato, ma certo – che, a partire dagli anni ’50, numerosi comunisti si sono infiltrati nei seminari, per ordine dei servizi segreti sovietici, al fine d’importarvi le idee comuniste. Ebbene, crediamo di avere la risposta: dalle riviste missionarie – non tutte, ovviamente; ma parecchie – a loro volta suggestionate dalla "teologia della liberazione"; a sua vola suggestionata, quella sì, direttamente ed esplicitamente, dal marxismo, del quale asseriva di condividere l’analisi economica e sociale di fondo. Chi abbia sfogliato certe riviste missionarie a partire dagli anni ’70 del Novecento, e le confronti con i numeri delle stesse riviste fino agli anni ’60, capirà di che cosa stiamo parlando. E non solo la teologia della liberazione e il marxismo, ma anche la "negritudine" e, in generale, l’indigenismo: insomma l’ennesima versione, aggiornata e condita in salsa cattolica, della favola bella del "buon selvaggio" di Rousseau, il solo puro, buono e innocente, in mezzo a una civiltà corrotta e sprofondata nel vizio: quella europea. è storia vecchia, d’altronde. Risale a un vescovo del XVI secolo, Bartolomé de Las Casas, il creatore della "leggenda nera" anti-spagnola e pro-indigena delle Americhe. Anche i gesuiti del 1600 e 1700 stravedevano per i "loro" protetti indigeni e, delle loro missioni del Paraguay, avevano creato uno Stato nello Stato, non privo di pregi e di meriti, e tuttavia caratterizzato da un grosso equivoco di base: che l’indigeno fosse moralmente migliore del bianco, purché lo si preservasse dalla corruzione della civiltà. Erano i don Biancalani di due o tre secoli fa. Teologia della liberazione, buon selvaggio russoviano, marxismo malamente travestito e ridipinto da cristianesimo: ecco gli ingredienti principali che aiutano a capire lo stravolgimento del Vangelo da parte dei neopreti migrazionisti e internazionalisti. L’internazionalismo l’hanno ricevuto, per trasmissione diretta, dai teologi della liberazione, i quali l’hanno ricevuto da Marx: la sola patria del lavoratore è il proletariato; il solo nemico, la borghesia. Ed ecco che i don Biancalani credono di aver fatto la scoperta del secolo: ossia che il Vangelo di Gesù Cristo dice, più o meno, le stesse cose del Manifesto del partito comunista. Qualcuno, però, dovrebbe spiegare a questi preti, non solo arroganti, ma anche profondamente ignoranti, che la Chiesa è ecumenica, cioè universale, non internazionalista: sono due concetti profondamente diversi, che solo una colossale ignoranza può scambiare per equivalenti; se non lo capiscono, non tenteremo neanche di spiegarglielo. Diremo di più: don Biancalani e i suoi amici dovrebbero rileggersi attentamente quel passo del Vangelo in cui Gesù dice alla donna siro-fenicia: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani (Matteo, 15, 26). Ed è vero che poi, davanti alle preghiere e alla fede commovente di lei, alla fine le concede la grazia implorata, cioè la guarigione della figlia malata: ma resta il concetto base: Non è bene dare il pane, destinato ai propri figli, al primo sconosciuto. Sono parole di Gesù, il quale non aveva l’abitudine di parlare per scherzo su questioni così serie; non di un razzista o di un fascista. Oppure don Biancalani vuol per caso accusare di razzismo e fascismo anche il nostro Signore?
Alle suggestioni ideologiche progressiste e terzomondiste si aggiunga, per spiegare il fenomeno in questione, un altro fattore, tipico dell’intera società italiana: il disprezzo dell’italiano "diverso" e l’esaltazione acritica dello "sfruttato" e del "perseguitato", anche se costui non è, a ben guardare, né sfruttato, né perseguitato; non più di quanto lo siano, in altre forme ovviamente, i cittadini delle società europee e occidentali, presi nelle spire del turbo-capitalismo. Quando i profughi, quelli veri, con vecchi, donne e bambini, erano italiani, l’Italia non pianse troppo sul loro destino, tutt’altro: e stiamo parlando dei profughi dall’Istria, da Fiume, dalla Dalmazia del 1945-1947. Quelli che i don Biancalani dell’epoca, e i compagni del "Migliore", chiamavano "fascisti", e che fuggivano dalla foibe. E come sarebbero trattati oggi, se la loro tragedia si ripetesse, o se si ripetesse una tragedia analoga, lo si può dedurre da quel che si è visto e sentito, a Macerata, nel corteo "antifascista" e antirazzista" dei giorni scorsi, dove i giovanotti dei centri sociali, per solidarietà, par di capire, coi poveri nigeriani divenuti oggetto di razzismo dopo l’assassinio e lo squartamento di Pamela Mastropietro, cantavano allegramente: Quanto è bello far le foibe da Trieste in giù. A forza di coltivare la mala pianta dell’odio contro i propri fratelli, molti italiani hanno finito per desiderare la morte di chiunque non la pensi come loro, e, contemporaneamente, per idealizzare il diverso, lo straniero, quanto più diverso e quanto più scuro di pelle possibile, così, tanto per esser certi che non ha niente a che vedere con gli italiani razzisti e fascisti.
Giunti a questo punto, ci permettiamo una sola, ultima domanda: che c’entra tutto questo, questo modo di sentire e di pensare, questo furibondo e sbandierato razzismo alla rovescia, questo odio dei propri connazionali che hanno idee diverse, con il Vangelo di Gesù Cristo?
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