
Per reagire: manovra in tre tempi
22 Gennaio 2018
È vivo solo chi si riconosce nello specchio di Dio
22 Gennaio 2018Gesù Cristo metteva in guardia contro la voce dei falsi pastori, i quali, in realtà, sono lupi rapaci o semplicemente dei mercenari, per nulla preoccupati del gregge, e che mai si sognerebbero di rischiare la vita per difenderlo dagli assalti del nemico (Gv 10, 1-10):
In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio.
I vescovi sono i successori degli Apostoli e il papa è il successore del capo degli Apostoli, san Pietro, al quale Gesù Cristo ha affidato la sua Chiesa nascente, la sua Sposa diletta, affinché la conservi, la protegga, la propaghi, e non tralasci alcuno sforzo, né scansi alcun pericolo, pur di portare a compimento la missione che gli è stata affidata per la diffusione della Verità e la salvezza delle anime: Chi crederà e verrà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato (Mc, 16,16). Ora, le pecorelle del gregge di Cristo, i semplici fedeli, devono poter riconoscere nella voce dei loro pastori, la voce stessa di Gesù: nulla infatti i vescovi e il papa devono aggiungere o togliere, nulla devono cambiare, e tanto meno inventare, che non sia nel Vangelo di Gesù e che non corrisponda fedelmente sia alle Parole, sia allo Spirito con cui Gesù, il Verbo Incarnato (padre Sosa Abascal pensa davvero che il Verbo di Dio avesse, o abbia, bisogno dei registratori, per arrivare fedelmente sino a noi?) si è espresso e ha manifestato la sua gloria, offrendo se stesso alla morte in remissione dei nostro peccati. Perché Gesù Cristo non è venuto nel mondo per fare un giretto turistico o per regalarci qualche pillola di saggezza, come sembra di evincere ascoltando l’insulso chiacchiericcio di tanti pseudo teologi della "svolta antropologica" e tanti sacerdoti e vescovi di tendenza modernista, vale a dire non cattolici, bensì eretici, se si vuol chiamare le cose con il loro nome; né, meno ancora, è venuto per rassicurare gli uomini che possono restare nei loro peccati, tanto la misericordia del Padre è così grande da accogliere anche i peccatori impenitenti, come si evince dalla scandalosa esortazione apostolica Amoris laetitia e da tante altre, troppe dichiarazioni, anche estemporanee, del falso papa Bergoglio, ma è venuto perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,17). Ma il mondo si salva solo se si vuole salvare; altrimenti è condannato.
Per fare un confronto con le pseudo omelie del neoclero e del falso papa, nelle quali si parla sempre e solo di politica, di migranti da accogliere, dell’ambiente da rispettare, e mai, dico mai, di Dio, dell’eternità, della grazia e del peccato, ci piace riportare un estratto del discorso tenuto dall’ultimo vero papa cattolico e apostolico romano, Pio XII, agli uomini dell’Azione Cattolica la domenica 12 ottobre 1952, nel trentennale della loro unione; discorso che recentemente e molto opportunamente è stato riproposto dal sito Riscossa Cristiana, a edificazione delle anime e quale materia di riflessione per tutti quei cristiani i quali non si sono scordati che credere nel Vangelo equivale a sostenere una diuturna battaglia contro le forze del Male, le quali con ogni mezzo e con ogni astuzia tentano di contrastare la diffusione della Verità nel mondo:
Oggi non solo l’Urbe e l’Italia, ma il mondo intero è minacciato.
Oh, non chiedeteci qual è il « nemico », né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un « nemico » divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio : Dio è morto; anzi : Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il « nemico » si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra.
Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra.
Voi vedete, diletti figli, che non è Attila a premere alle porte di Roma; voi comprendete che sarebbe vano, oggi, chiedere al Papa di muoversi e andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare la rovina e la morte. Il Papa deve, al suo posto, incessantemente vigilare e pregare e prodigarsi, affinché il lupo non finisca col penetrare nell’ovile per rapire e disperdere il gregge (cfr. Io. 10, 12); anche coloro, che col Papa dividono la responsabilità del governo della Chiesa, fanno tutto il possibile per rispondere all’attesa di milioni di uomini, i quali — come esponemmo nello scorso febbraio — invocano un cambiamento di rotta e guardano alla Chiesa come a valida ed unica timoniera. Ma questo oggi non basta: tutti i fedeli di buona volontà debbono scuotersi e sentire la loro parte di responsabilità nell’esito di questa impresa di salvezza.
Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! L’umanità odierna disorientata, smarrita, sfiduciata, ha bisogno di luce, di orientamento, di fiducia. Volete voi con la vostra collaborazione — sotto la guida della sacra Gerarchia — essere gli araldi di questa speranza e i messaggeri di questa luce? Volete essere portatori di sicurezza e di pace? Volete essere il grande, il trionfante raggio di sole che invita a destarsi dal torpore e a fortemente operare? Volete divenire — se così a Dio piacerà — animatori di questa moltitudine umana, in attesa di avanguardie che la precedano?
Ecco la voce del vero pastore, che parla a nome di Gesù, secondo la volontà di Gesù, senza nulla aggiungere, né togliere; che esorta, che sprona, che incoraggia, che ammonisce, che benedice; soprattutto, che mette in guardia contro le insidie dell’antico nemico — del quale, a partire dallo sciagurato discorso di apertura di Giovanni XXIII del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962, quello contro i famosi "profeti di sventura", i papi e i vescovi parlano così di rado, e i sacerdoti, nelle loro omelie, e i catechisti nelle loro ore di lezione, praticamente mai, in nome di un cattolicesimo tutto facile e festoso, dove non ci sono nemici ma solamente amici, dove il terrorismo islamico non esiste neppure (parola di Bergoglio) e dove la risposta allo sgozzamento di un prete cattolico, sull’altare, mentre sta dicendo la santa Messa, da parte degli assassini islamici, è invitare tutti gli islamici che lo vogliono a venire in chiesa, alla santa Messa, a pregare il loro Dio e a leggere brani del Corano, il libro nel quale sta scritto che Gesù non è il Figlio di Dio e che chi lo afferma è un bugiardo e un eretico; un cattolicesimo nel quale perfino il giudizio finale e l’inferno sono assenti, e così pure è assente il diavolo, il nemico per eccellenza: parola di Sosa Abascal, l’attuale generale dei gesuiti (cfr. i nostri articoli: Profeti di sventura? Ma se sono la voce di Dio…, ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia l’11 maggio 2017; e Che ci sta a fare un gesuita che nega il diavolo?, pubblicato l’11 gennaio 2018). Che cosa manca del tutto nelle parole del neoclero, così melliflue e sdolcinate, che promettono tutto a tutti, anche la licenza per i peccatori di restare nel loro peccato? Manca la dialettica; manca l’ombra: c’è solo la luce; manca la possibilità dell’eresia, dell’apostasia, della tentazione, del peccato, della dannazione e dell’inferno: manca la coscienza che la vita è lotta, e la vita del cristiano lo è doppiamente, perché deve fronteggiare di continuo gli assalti del male, quello che viene dal mondo e quello che viene dall’interno di se stessi. Insomma, manca la coscienza del pericolo; e anche, vorremmo dire, della serietà della vita. Sarebbe come se dei genitori, al figlio di nove o dieci anni che esce di casa da solo, per la prima volta, non facessero la benché minima raccomandazione; come se non gli dicessero di fare attenzione alle macchine, di non dare retta al primo sconosciuto che gli si avvicina, ma di andare dove vuole e tornare quando vuole: sarebbero dei genitori incoscienti, se non peggio, non è vero? Ebbene: tale è la pastorale, tale è la pedagogia della neochiesa: nessun pericolo per le anime, va tutto bene, è tutto a posto, siamo tutti belli e bravi, anzi, meravigliosi, così come siamo; e se qualcuno, per caso, non osserva affatto i Dieci Comandamenti, che volete farci?, vuol dire che la vita lo ha ferito, poverino, e allora il compito della chiesa (con la minuscola: quella falsa) non è di rimetterlo sulla retta via, ma di "medicarlo" e "accompagnarlo", perché la chiesa è un ospedale da campo dove si aggiustano le giunture slogate e si danno i punti alle ferite, ma non ci si prende cura delle anime, né le si ammonisce quando si trovano in grave pericolo. È una strana chiesa, non è vero? E sono degli strani pastori, codesti pastori che non mettono in guardia, non parlano mai del male, e che, anzi, si burlano e mettono in cattiva luce i profeti di sventura: non è vero? Forse che i profeti della Bibbia sono stati mandati da Dio a dire agli uomini solo ciò che era gradito ai loro orecchi? Solo ciò che faceva loro piacere? Non sono forse stati lapidati, trucidati, crocifissi, proprio perché venivano a dire la Verità, che è sempre sgradita alle anime vili e pigre, sprofondate nel vizio? E all’ultimo di essi, il più grande di tutti, Giovanni il Battista, venuto appositamente per preparare la strada a Gesù Cristo, non è stata mozzata la testa, per aver detto al re Erode: Non ti è lecito tenere con te la mogie di tuo fratello? Era dunque anche lui un profeta di sventura?
Sì; lo sappiamo; è dura cominciare a vedere Giovanni XXIII, il "papa buono", canonizzato nel 2014 insieme a Giovanni Paolo II, sotto questa nuova luce. Del resto, chi lo ha canonizzato, lui e papa Wojtyla? Il falso papa Bergoglio: la neochiesa che vuole canonizzare se stessa. Anche noi, come tanti, come tutti, siamo cresciuto nell’idea della bontà, della santità di papa Giovanni; ne avevamo sempre sentito parlar bene. Era quello dell’eterno sorriso, quello della carezza ai bambini (in un famoso discorso riportato dalla radio; in realtà, lui non carezzò mai alcun bambino): come poteva non essere un papa "buono"? Non è questa la sede per aprire un discorso che sarebbe vastissimo; resta il fatto che l’elezione di Giovanni XXIII, nel 1958, e poi l’indizione del Concilio, nel 1962, sembrano segnare un fatto nuovo nella storia della Chiesa: come se in essa fosse penetrato qualcosa di estraneo, uno spirito nuovo, ma buono solo in apparenza, più luccicante che convincente; uno spirito audace, per non dire temerario e non sempre ortodosso, che vuole andar d’amore e d’accordo con tutti, a cominciare dai nemici della Chiesa; che proclama abbracci e baci con tutti, con le false religioni, con chi rifiuta e combatte Cristo, il tutto in nome della "bontà" e nella negazione dei pericoli cui è sempre esposta la Chiesa, se i suoi membri non vegliano e non pregano. Eppure, è così: dal conclave del 1958 ha avuto inizio quella deriva dottrinale, pastorale e liturgica, ma soprattutto morale, che sta trascinando la Chiesa sempre più lontano dalla sorgente d’acqua viva che è la Parola perenne di Cristo, in nome di parole d’ordine tutte e solamente umane, come quelle che i neovescovi e il falso papa non si stancano di ripetere: parole come giustizia, solidarietà, inclusione, rispetto della natura; mai parole che riportino fedelmente la sola Parola che conta: il Verbo di Dio…
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