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Presi al laccio dal diavolo

Quanto alla domanda che tanto ci tormenta, e che tormenta un grandissimo numero di persone: la domanda su come sia potuti accadere che il clero abbia deviato così tanto dalla Verità di Cristo, che abbia tradito così gravemente la Parola di Dio, e che il popolo cristiano abbia ceduto con tanta facilità alle lusinghe del mondo, fabbricandosi, ipocritamente, una nuova dottrina, falsa e menzognera, nella quale perfino i peccati mortali diventano cose di nessun conto, o si nega addirittura che siano peccati, e si chiama Dio stesso a benevolo e compiacente testimone della impenitenza finale delle anime, assicurando – assurdamente – che ciò nonostante la misericordia divina accoglierà tutti e porterà in paradiso tutti, la risposta a queste domande, in fondo, è molto, ma molto semplice: terribilmente semplice.

Abbiamo cercato di entrare nella mente dei cardiali massoni, degli arcivescovi corrotti, sodomiti e avidi di denaro, che vanno ad abitare in bellissimi palazzi mentre predicano la "chiesa dei poveri" e ordinano agli italiani più svantaggiati, quelli che abitano nei palazzoni di periferia dei quartieri degradarti, di non aver paura e di accogliere festosamente, come angeli del Signore (sono le parole testuali di monsignor Lauro Tisi, vescovo di Trento, nella cosiddetta Epifania dei Popoli), i codiossetti migranti, quelli stessi che li terrorizzano con la loro criminalità e la loro prepotenza, e che li obbligano a rintanarsi in casa come animali spaventati. Abbiamo anche cercato d’immaginare quali meccanismi psicologici possano aver spinto fior di teologi a imboccare la strada dell’eresia e dell’apostasia, affermando caparbiamente, e in perfetta malafede, di aver solo "approfondito" e "sviluppato" una migliore comprensione della immutabile Verità divina: quanta ambizione, quanta superbia intellettuale, quanta vanità professionale possano averli spinti a disprezzare secoli e secoli di Tradizione, per costruirsi un Gesù Cristo tutto loro, ma, a loro giudizio appunto, più credibile, come dice il gesuita spagnolo Busto Saiz, quasi che Gesù Cristo dovesse adattarsi e venire incontro ai nostro desiderata, e non già noi andare verso di Lui e uniformare la nostra volontà alla Sua, come Lui ha fatto verso quella del Padre celeste Infine, abbiamo provato a metterci nei panni di tutti quei preti, e, talvolta, anche di quei monaci e di quelle monache i quali, messi da parte ogni pudore, ogni modestia, ogni senso della misura, si abbandonano continuamente a parole, gesti e comportamenti che scandalizzano i fedeli, li riempiono di disagio e di amarezza, le quali tuttavia non toccano per niente i baldanzosi sacerdoti "moderni", pieni di sé e convinti di combattere la buona battaglia per il salutare, doveroso rinnovamento ecclesiale. Ma la risposta che cercavamo, in realtà, era sempre stata lì, sotto i nostri occhi, come sotto quelli di chiunque avesse voluto vederla.

Ci son tornate alla mente le prime quattro terzine dell’XI canto del Paradiso dantesco, quello di san Francesco: e lì c’era la risposta che cercavamo:

O insensata cura de’ mortali, / quanto son difettivi silogismi / quei che ti fanno in basso batter l’ali! // Chi dietro a iura e chi ad amforismi / sen giva, e chi seguendo sacerdozio, / e chi regnar per forza o per sofismi, // e chi rubare e chi civil negozio, / chi nel diletto de la carne involto / s’affaticava e chi si dava a l’ozio, // quando, da tutte queste cose sciolto, / con Bëatrice m’era suso in cielo / cotanto glorïosamente accolto.

In questi versi, che abbiamo letto decine di volte, c’è la risposta; c’è tutto: per quali vie le anime si smarriscano e in che modo, allontanandosi da Dio, sprofondino sempre di più nell’infelicità, oltre che nel fango, perché il solo bene consiste nel volgersi verso Dio, o in ciò che, gradualmente, a Lui conduce. E la radice di tutti questi vizi, di questo disordine morale,è sempre la stessa: la malattia dell’ego, l’ipertrofia dell’ego. In quel: Io voglio, c’è l’origine di tutti i mai, di tutti i peccati; mentre l’origine della salvezza consiste nel dire: Eccomi, Signore: sia fatta non la mia, ma la Tua santa volontà. Carrierismo sfrenato, ambizione cieca, smania di potere, lussuria incontenibile, avidità insaziabile, cupidigia di onori e di ricchezze, spregevole pigrizia e accidia voluttuosa: ecco qui i vizi capitali, ecco il ritratto di una umanità che non si cura di piacere a Dio, ma che vuol piacere unicamente a se stessa, affermare se stessa, al di sopra di tutto e di tutti, con qualsiasi mezzo, anche i più deplorevoli e degradanti. Tutti i mali e tutta l’infelicità del mondo vengono dall’oblio di Dio e dalla assolutizzazione dell’ego; tutti i beni vengono dalla metanoia, dalla conversione dell’uomo, seguendo il cammino opposto: da da se stesso a Dio.

Sembrerebbe così chiaro, così semplice, di una evidenza addirittura cristallina: e lo è, infatti; ma lo è solo per l’anima che abbia già fatto in sé una certa pulizia, che abbia saputo praticare una vita moralmente sana, aprendosi a ricevere la grazia di Dio; mentre per l’anima confusa, obnubilata, impazzita, nulla è chiaro, tutto è confuso, e anche la verità più evidente si perde in un mare di nebbia, in una babele di stimoli e sollecitazioni, uno più disordinato dell’altro, uno più distruttivo dell’altro. E la civiltà moderna, costruita in aperta opposizione a Dio, secondo un progetto deliberatamente anticristico, si è industriata e s’industria in ogni modo ad accrescere tale confusione, ad infittire la nebbia, a fare in modo che l’anima si smarrisca completamente, correndo dietro a mille immagini di bene fugaci ed ingannevoli, restando ogni volta amaramente delusa, e tuttavia incapace di comprendere la ragione profonda di quella delusione. L’anima delusa crede e s’illude che la fortuna le sia stata avversa, che la prossima volta troverà quel che cercava, cioè la piena realizzazione di se stessa, il massimo del bene e della gioia: e invece rinnova incessantemente gli sessi errori, le stesse imprudenze, le medesime follie. 

Qualcuno potrebbe pensare che stiamo esagerando un poco, che stiamo caricando le tinte per amor di retorica; che questo quadro sia un tantino esagerato. Ebbene, prendiamo uno qualsiasi degli ambiti in cui si esplica la vita degli uomini, sia individuale che collettiva: per esempio, l’ambito estetico. Che cosa c’è di più istintivo, di più tipicamente e genuinamente umano, del desiderio del bello, e quindi della sua ricerca incessante? Chi, potendo scegliere, preferirebbe la bruttezza alla bellezza; preferirebbe vivere in una brutta casa, in un brutto quartiere, in una brutta città, indossando abiti brutti, ascoltando musica brutta, leggendo libri brutti, facendo cose brutte, e, addirittura, industriandosi per imbruttire la propria persona, e lasciandosi attrarre, anche sessualmente, da persone brutte, talvolta perfino orrende? Eppure, è esattamente quello che fanno milioni e milioni di persone. Vivono in case anonime, squallide, senz’anima; in quartieri dall’aspetto sordido, intasati di traffico, popolati di piccoli criminali; in città disordinate, caotiche, rumorose, inquinate; vestono abiti volutamente sfregiati, ad esempio pantaloni pieni di strappi e buchi, lasciando scoperte gran parte delle gambe, anche in pieno inverno, col freddo, quasi giocando a fare i miserabili, gli straccioni (come se la miseria fosse un gioco); passano ore ad ascoltare musica rock pesante, o assordandosi ai mega concerti di tipo satanico, bevendo alcolici senza misura e impasticcandosi o drogandosi; leggono libri pornografici, pieni di violenza, o fumetti horror popolati di spettri, vampiri, mostri e lupi mannari; passano il tempo libero facendo cose che imbruttiscono la mente e l’anima, ad esempio guardando film ripugnanti, che trasudano sangue e sesso, crudeltà e morte, oppure gonfiandosi i muscoli, in palestra, con abbondanti assunzioni di pasticche ormonali, senza gioia, senza pace, sudando e soffrendo, con rabbia, come se fossero incalzati da un demone che li perseguita; rendono deforme e persino ripugnante la propria persona, gonfiano mostruosamente le masse muscolari, si fanno "rifare" il viso assumendo un aspetto animalesco, felino, volpino, si coprono di tatuaggi stupidi o raccapriccianti, feroci o cannibaleschi, si tempestano di anelli e di piercing, anche sul naso, sulle palpebre, sulle labbra, sulla lingua, sulle parti intime; qualcuno arriva al punto di lasciar crescere le unghie fino a proporzioni incredibili, a limarsi i denti come delle belve feroci, di raparsi a zero solo metà della testa, lasciando crescere l’altra metà dei capelli, secondo le acconciature più strane e impensabili, altissime, colorate di verde, di rosso, di viola, insomma assumendo delle fattezze orribili, demoniache, e cercando la compagnia di mostri simili a loro, con i quali si accoppiano come bestie, congiungendosi contro natura, drogandosi e infliggendosi percosse, ferite, umiliazioni. E in tutto ciò, col permesso di padre Sosa Abascal, che nega la sua esistenza, crediamo si possa intravedere l’ombra del diavolo.

Questo è il modo di essere di una umanità che si è allontanata da Dio e che è stata abbandonata dalla stessa legge naturale: di una umanità che ha scelto la via della morte, perché smarrire il senso del bello fino a questo punto equivale a cercare inconsciamente la propria distruzione. Noi non possiamo vivere senza bellezza, così come non possiamo vivere senza giustizia, senza verità e senza bontà: non sarebbe umano, dunque non sarebbe un andare verso la vita, ma verso la morte. E delle cose simili si potrebbero osservare se passiamo dall’ambito estetico a quello filosofico, dominato da un pensiero futile, o miope, o sofistico, o menzognero, che invece di fare luce la spegne, e precipita l’uomo nelle tenebre del dubbio, dell’angoscia, dello smarrimento esistenziale;  oppure all’ambito scientifico e tecnico, ove si sviluppa sempre più una scienza mostruosa, che conduce esperimenti diabolici e realizza strumenti di morte; e così via, da un ambito all’altro, nessuno escluso, sempre con le stesse dinamiche: astrusità, oscurità, sovvertimento dei valori, gusto di scandalizzare, piacere perverso di rovinare, sporcare, distruggere ogni cosa e, nello stesso tempo, derisione del bene, della pace, dell’altruismo e dell’amor di Dio.

E ora torniamo ai cardinali sodomiti, agli arcivescovi massoni, ai preti narcisisti ed esibizionisti. Ciascuno di essi è stato preso al laccio dal demonio, secondo la propria debolezza: sugli uni ha fatto presa con la lussuria; sugli altri, con la superbia intellettuale e con la brama di potere; sugli altri ancora, con la vanità puerile, con la superficialità, con la smania di cose nuove. E non si è limitato a questo: ha voluto, il diavolo, che ciascuno dei suoi servi si facesse zelante diffusore di una contro-morale e di una contro-religione. Ai cardinali sodomiti ha insegnato, oltre che ad oltraggiare i corpi di altri esseri umani, compresi i bambini, anche a predicare, con scritti e con parole, una nuova forma di tolleranza, secondo la quale gli istinti sono buoni in se stessi, ed è logico e naturale che ciascun essere umano cerchi la propria "realizzazione" sulla propria misura e le proprie inclinazioni, non secondo la legge naturale e ancor meno secondo la legge di Dio; ne ha fatto, insomma, dei consumati maestri di relativismo, dei pessimi maestri di edonismo libertino. Ai monsignori massoni ha insegnato a perseguire il disegno di una chiesa nuova e diversa, con al centro non più Dio, e tanto meno Cristo, ma l’uomo, mascherando la smisurata, infernale superbia di esso dietro il paravento del dovere di andare incontro ai reali bisogni degli uomini, e specialmente degli ultimi (magari intascando uno stipendio di 35.000 euro al mese per predicare la "chiesa dei poveri", come nel caso di monsignor Maradiaga, grande amico e sostenitore della svolta "francescana" di Bergoglio). Ai preti narcisisti ed esibizionisti ha mostrato la via per coltivare e coccolare illimitatamente il proprio ego, trasformando la chiesa in un teatro, e il pulpito in un palcoscenico per allestire l’incessante spettacolo di se stessi: ne ha fatto dei poveri uomini che dicono sempre: io, io, io,  che non parlano quasi più di Dio, né del peccato, della grazia, del Giudizio, della vita eterna, ma solo di problemi sociali, di lotta allo sfruttamento, di dignità e diritti della persona: miseri ventriloqui del loro signore e padrone occulto, lui, sempre lui, sempre lo stesso da che l’umanità esiste, il medesimo che ha tentato, con successo, i nostri antichissimi progenitori. Di tutti costoro, dai più rozzi ai più raffinati, dai più ignoranti ai più colti, ha fatto le proprie scimmie, prendendoli al laccio, uno dopo l’altro, ciascuno secondo le sue debolezze, i suoi bassi istinti, la sua cieca cupidigia. Ed è così che sta trasformando la Chiesa nella sua chiesa, nella sinagoga di satana.  Non ci riuscirà, naturalmente: sarà sconfitto, stavolta in modo definitivo; e i suoi servi saranno distrutti insieme a lui. Ma quanto male potranno fare, nel frattempo: quante sofferenze, ingiustizie, angosce, disperazione; quanti suicidi, materiali e morali. Il diavolo non sa costruire alcunché, ma distruggere, sì: è la sola cosa che sappia fare; e sa anche insegnarla benissimo, seducendo gli uomini secondo le brame disordinate dei loro cuori impuri. Nel frattempo, la cosa più importante che possiamo e che dobbiamo fare, è pregare: pregare sempre, senza stancarci mai, perché Dio illumini questa umanità allo sbando, perché rincuori quanti ancora lo temono e lo amano, conceda loro la forza, il coraggio e la speranza di andare avanti, nonostante tutto, sulla via della Luce. E pregare anche per loro, per quei miserabili che si son lasciati prendere al laccio, si son lasciati traviare, dietro ingannevoli miraggi di felicità. Ricordandoci sempre che nessuno è immune dalla tentazione, che tutti possiamo cadere: preghiamo anche per noi stessi, dunque, con fervore, affinché il diavolo non trovi in noi il terreno fertile della superbia e della presunzione. Padre nostro… non c’indurre in tentazione. Amen.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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