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Basta chiacchiere buoniste: il cristiano è un soldato

A quelli della nostra generazione, che hanno appreso, da bambini, le verità cristiane attraverso il Catechismo di Pio X, un concetto era ben chiaro: che essere cristiani significa militare; significa essere dei soldati di Cristo. Senza enfasi e senza retorica. Nessuno pensava alle Crociate, nessun ci esortava ad andare in guerra; però ci veniva insegnato che la vita è una guerra, una guerra incessante fra il bene e il male; che non è possibile restar neutrali, come gl’ignavi di dantesca memoria; che bisogna prendere partito e che il cristiano prende partito per Cristo, che è il bene, e, nello stesso tempo, è anche la Verità.

Il carattere militante dell’essere cristiano non era una infiorettatura retorica, uno svolazzo letterario: era la trasmissione di una verità di fatto. Nel Catechismo della Prima Comunione e Cresima (Edizioni Paoline-Centro Catechistico, Roma, 1957) – le quali, allora, si ricevevano a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, e non di qualche anno, come avviene ora con la discutibile motivazione che il ragazzo deve essere maturo per ricevere la Cresima, come se, frattanto, potesse ricevere la Comunione da immaturo — c’era una paginetta dedicata al "carattere", inteso in senso teologico, cioè come dono della grazia di Dio, e non in senso psicologico. Eccola (p. 32):

IL CARATTERE

Il fiero e splendido giovinetto che vedi nella figura [un bellissimo ragazzo vestito e armato da guerriero medievale, coi capelli rossi e dallo sguardo fiero, la spada sguainata e lo scudo levato, e con la Croce ricamata sulla veste e un’altra impressa sullo scudo stesso] è simbolo dell’anima in grazia, la quale, nel Battesimo e nella Cresima, viene come rivestita d’una splendida divisa, propria dei cristiani e dei soldati di Gesù Cristo. Una terza "speciale divisa" è riservata ai sacerdoti, a coloro cioè che ricevono l’Ordine sacro.

Ecco perché il BATTESIMO, la CRESIMA e l’ORDINE si ricevono una volta sola. Oltre che darci la grazia santificante, questi tre Sacramenti imprimono nell’anima un SEGNO SPECIALE, detto CARATTERE che non si cancella più e che consacra per sempre al servizio di Dio.

55. Che cos’è il carattere?

Il carattere è un segno distintivo spirituale che non si cancella mai.

56. Quale carattere imprimono nell’anima il battesimo, la cresima e l’ordine?

Il Battesimo imprime nell’anima il carattere di cristiano; la Cresima quello di soldato di Gesù Cristo; l’Ordine quello di suo ministro.

Dunque, negli anni ’50 e ’60 un bambino di otto o nove anni sapeva che cos’è il "carattere" in senso cristiano, cioè uno stato di grazia, l’ingresso della pienezza soprannaturale nella vita dell’anima; sapeva che il carattere si acquista per mezzo dei Sacramenti e si conserva, quando esso va perduto a causa del peccato, mediante il sacramento della Confessione; e sapeva che esistono tre Sacramenti, il Battesimo, la Cresima e l’Ordine, che sono come i gradini successivi di una sala che conduce l’anima verso una possesso sempre più saldo della vita di grazia. Sapeva, infine, che tutto ciò non è facile e scontato; che richiede impegno e lotte; che passa attraverso sacrifico e penitenza. Sì: perché la Chiesa, allora, insegnava il valore profondo, irrinunciabile della penitenza; predicava la penitenza e vi insisteva affinché fosse chiaro che, senza di essa, l’anima non potrebbe mai trovarsi nelle condizioni giuste per aprirsi al mistero e al dono della grazia. Pertanto, un bambino di otto anni sapeva quel che la maggior parte dei cristiani al giorno d’oggi — vorremmo sbagliarci, ma temiamo di non sbagliare affatto — ignora quasi completamente: che avere la fede cattolica è un dono e, nello stesso tempo, un impegno per tutta la vita; che quell’impegno è indelebile e inestinguibile; e che, a un dato momento, potrebbe richiedere anche il cimento supremo, ossia il martirio.

Nessun masochismo in ciò, nessun autolesionismo, nessuna mania suicida, conscia o inconscia: psicanalisti, tranquillizzatevi; freudiani e junghiani di tutto il mondo, rilassatevi: semplicemente, seguire Gesù Cristo significa prendere la Croce, e la Croce può voler dire anche il martirio, se non in senso fisico, in senso morale. Quello che stanno subendo, oggi, i Francescani e le Francescane dell’Immacolata, è l’equivalente di un martirio morale: e il bello, anzi il brutto, il bruttissimo, è che lo stanno subendo ad opera della loro stessa Chiesa, ad opera del papa; e che lo stanno subendo in un silenzio assordante e nell’indifferenza di tutto il mondo cattolico. Nessun intellettuale di grido, nessun cattolico di peso si è rivolto al papa, per chiedergli: Ma che cosa hanno fatto? Di che cosa sono colpevoli, infine? Anche ammesso che il loro fondatore abbia delle responsabilità, perché tanto accanimento contro tutti quei giovani e quelle giovani, pieni di zelo e di fervore religioso? I Grillo, i Melloni, i Cardini, gli amici ed ammiratori del papa, coloro che ne intonano le lodi ad ogni pie’ sospinto, perché non gli hanno mai chiesto: Santo padre, qual è la ragione per cui i Francescani e le Francescane dell’Immacolata subiscono un trattamento così duro? Preferiscono volare più in alto, quegli illustri personaggi, e non amano immischiarsi nelle basse faccende di alcune centinaia di religiosi e religiose, probabilmente dalla cultura assai modesta rispetto alla loro, e, per giunta, guardati con sospetto perché, si dice, troppo attaccati all’Immacolata e al carisma di san Francesco e di padre Kolbe. Ah, sì, san Francesco: stavamo quasi per dimenticare: nessuno deve oscurare il carisma francescano di papa Francesco; nessuno può esser e più francescano di lui: che sia questa, la ragione recondita della loro persecuzione?

Questa vicenda ci ricorda che il cristiano è un soldato impegnato in una guerra su tre fronti: perché gli attacchi possono venire dall’esterno, cioè dai nemici della Chiesa che stanno fuori di essa; da dentro la Chiesa, perché le mele marce ci sono anche fra il clero, e, anzi, vi sono dei casi illustri, e più frequenti che non si creda, come quello della pluridecennale persecuzione che subì padre Pio da Pietrelcina, i quali attestano che i peggiori nemici della vita cristiana e della santità possono essere proprio dei consacrati indegni; e infine gli attacchi vengono, e vengono quotidianamente, da dentro ciascuno di noi. Nessuno è immune dalla tentazione, nessun uomo e nessun cristiano; neppure i Santi lo sono. La vera differenza fra i Santi e tutti gli altri è che essi, davanti agli attacchi delle tentazioni, non cedono, resistono e vincono: ma non vincono con le loro povere armi umane, bensì con le armi invincibili che dà loro la grazia, perché essi confidano in Dio e in Dio soltanto, mentre gli altri confidano in se stessi, ed è così che cadono miseramente, proprio quando si ritengono più forti. Nessun uomo è forte, davanti alla tentazione; nessun uomo o donna è così forte da poter resistere e vincere il peccato, fino a quando conta unicamente su se stesso. La natura umana è debole, è fragile, è incostante: fondare su di essa le speranze di condurre una vita immune dal peccato, è come voler costruire una casa sul fango di una palude. I Santi sono coloro i quali sanno umiliarsi, sanno spogliarsi del loro io, delle loro passioni egoistiche, dei loro appetiti disordinati, per donarsi interamente a Dio; e Dio li ama e li ricompensa offrendo loro la vita di grazia, che contiene tutti gli strumenti necessari per resistere alla tentazione e per essere d’aiuto e di conforto anche al prossimo. Il santo è colui che si è fatto ultimo per amare e per servire Dio e il prossimo: è l’uomo nuovo di cui parla san Paolo, che si è spogliato della sua dura scorza di egoismo per rinascere all’amore gratuito di Cristo.

La situazione che si è creata ai nostri giorni è, per certi aspetti, inedita. Gli attacchi esterni contro la Chiesa e contro i cristiani non sono diminuiti, anzi, in certe zone del mondo, e specialmente nell’area a maggioranza islamica, hanno raggiunto il culmine dell’intensità; in Europa, invece, e in genere nell’Occidente post-cristiano e secolarizzato, non si tratta più di attacchi, né, tanto meno, di persecuzioni, ma di sottile ironia, di velato disprezzo, di carriere che non procedono, di meriti che non vengono riconosciuti, di gesti e parole che devono essere repressi (un predicatore cristiano che leggeva per strada la Lettera ai Romani di san Paolo, a Londra, è stato arrestato, portato in prigione e ammonito a non offenderle mai più le persone omosessuali); inoltre, della sofferenza morale di dover vivere in una società che celebra ogni giorno un peccato mortale, come l’aborto, chiamandolo "conquista di civiltà" e praticandolo in perfetta tranquillità e quasi con indifferenza, senza che più nessuno ne parli, o sollevi il problema.

Il secondo fronte, quello della Chiesa, si è fatto più che mai minaccioso; ora non si tratta solo di singoli pastori sviati, di singoli sacerdoti che hanno perso la vocazione, e che rendono la vita dura a qualche loro sottoposto, o, magari, a qualche parrocchiano; no: si tratta di qualcosa di infinitamente peggiore: si tratta di una apostasia generalizzata che parte dai vertici della Chiesa stessa, culminata nell’esplicita eresia del (falso) papa Bergoglio, che minaccia di trascinare milioni e milioni di anime verso la perdizione, avendo completamente sovvertito l’ordine del bene e del male, giustificato il peccato senza pentimento, e praticamente ignorato il ruolo insostituibile della grazia divina. Parla ancora della grazia santificante, la neochiesa dei nostri giorni? No, per la semplice ragione che non parla nemmeno del peccato, o, se ne parla, ne parla solo per dire che la misericordia di Dio è così grande, che qualunque peccato può essere perdonato. Il che è vero, ma solo a condizione che il peccato sia seguito dal pentimento e dalla penitenza del peccatore; altrimenti, è vero il contrario: che il peccato ostinato e consapevole è l’autostrada per l’inferno. Ma anche dell’inferno, la neochiesa non parla più; e alcuni suoi esponenti hanno spinto la loro audacia fino ad asserire che nemmeno il diavolo esiste. Il che è come dare dei matti o degli imbecilli a centinaia di sacerdoti esorcisti; e, al tempo stesso, è come svuotare di significato l’Incarnazione e la Passione di Gesù: se il peccato non c’è, o se non è poi così pericoloso nelle sue conseguenze, e se non c’è l’inferno, cosa mai è venuto a fare, sulla terra, Gesù Cristo? Perché è stato crocifisso, perché è morto e poi risorto? Se si tolgono il peccato, il diavolo e l’inferno, tutto ciò non ha più alcun senso, e il cristianesimo si riduce a una bella favola in cui evapora la cosa essenziale: che Gesù Cristo si è fatto uomo per poterci redimere, caricandosi del peso dei nostri peccati.

Il terzo fronte, quello interno, è, se possibile, ancora più minaccioso del secondo. Perché la tentazione è antica quanto è antico l’uomo, basti pensare al Peccato originale dei nostri progenitori; mai come oggi, però, gli uomini sembrano aver smarrito la nozione stessa del bene e de del male, e, di conseguenza, mai come oggi hanno abbassato le difese nei confronti della tentazione stessa, e anche di quel nemico che per padre Sosa Abascal non esiste, cioè il diavolo, ma che san Pietro, nella prima delle lettere apostoliche che portano il suo nome, descrive come un leone ruggente che si aggira in cerca di anime da divorare. Ora, è chiaro che chi non crede che il nemico esista, che il pericolo esista, è in una condizione di pericolo assai più grave, si potrebbe dire quasi disperata, rispetto a chi sa che il nemico c’è, e che esiste la concreta possibilità di esserne colpito. Andare alla guerra disarmati, e fiduciosi avviarsi verso le linee nemiche come se si andasse a una scampagnata fra amici, equivale a un suicidio: e questo è ciò che sta accadendo, oggi, nei confronti della tentazione e del peccato. A tanto si è giunti per il diffondersi capillare, sistematico, implacabile, del modello di vita edonista e materialista e per l’adozione dello stile consumista, nonché per l’abnorme crescita della cultura dei diritti individuali, non accompagnata da una corrispondente cultura dei doveri, per cui sembra che tutto sia lecito, tutto sia concesso e tutto sia dovuto nella ricerca della "felicità" di ciascuno. A volte, invece di "felicità", si parla di "realizzazione": lo fanno specialmente psicologi, sociologi e più o memo improvvisati "maestri di saggezza" e perfino maestri di (pseudo) spiritualità; ma nessuno di essi sa cosa sia veramente la felicità, e meno ancora cosa voglia dire realizzarsi. Realizzarsi, per tutti costoro, equivale a rivendicare la liceità di ciò che piace, qualunque cosa sia; poiché negano che esista una morale assoluta e un concetto universale di bene, respingono l’idea che la realizzazione di ciascuno sia inseparabile dal perseguimento del Bene, del vero bene, del bene che, per esser tale, deve esserlo per tutti e non solo per un singolo soggetto, magari a spese di altri soggetti. La Chiesa, in questa fase di dissoluzione morale, sta brillando per la sua assenza, o peggio. La neochiesa di questi ultimi anni si è unita al coro insulso e ingannevole dei falsi maestri di felicità e di saggezza e ha fatto a gara con loro nel giustificare, e, ultimamente, perfino nel sollecitare le persone a cercare da sé la propria "felicità" e la propria "realizzazione", senza tenere in alcun conto la morale cristiana, anzi, perfino la morale naturale: ad esempio, giustificando pienamente, e addirittura esaltando, la pratica omosessuale, come se fosse la cosa più normale e più giusta cui un cristiano possa indulgere (padre James Martin, gesuita); discorso poco diverso per il divorzio, le unioni di fatto, l’aborto, l’eutanasia. E questa è, forse, la colpa più grave di cui si sta macchiando il neoclero: incoraggiando il vizio e il peccato, sta spingendo le anime verso l’abisso…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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